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Le cassiere della Coop

Fino a qualche tempo fa, ero un cliente affezionato della Coop, in particolare dei prodotti a marchio Coop. Un mio amico che venne a trovarmi mi disse che a casa mia solo i televisori non avevano il classico ogo rosso. Da qualche tempo non è più così, nel senso che i prezzi sono aumentati e gli stipendi no, con la logica conseguenza che anche per fare la spesa ho dovuto cercare punti vendita meno cari.

Però c’è qualcosa che mi manca, della Coop, e sono le signore della cassa. Hanno fatto di tutto per ridurne il numero. Prima il machiavellico Salvatempo, la pistolina a salve che se non puntata alla perfezione può farti spendere cifre imprevedibili:  eri convinto di aver introdotto il codice del sugo al pomodoro e invece hai beccato lo schermo 43 pollici più dietro. E quando ti tocca il controllo, figlio mio, sono guai. Non perché tu abbia rubato, ma perché saranno loro a rubarti almeno una mezz’oretta.

Poi, come se non bastasse,  è arrivata la cassa fai dai te, quel circuito infernale in cui se vuoi usare i buoni pasto devi chiamare l’addetto, se appoggi male il pane devi chiamare l’addetto, se non vuoi sacchetti (ma perché non vuoi i sacchetti? Se sicuro? Facile sia necessario l’arrivo dell’addetto). Nei centri commerciali portarsi il sacchetto da casa evidentemente è considerata una operazione tipica dei rapinatori e dei serial killer. Ho un sacchetto portato da casa, fate quel che vi dico  e nessuno si farà male.

Però per fortuna loro sopravvivono ai maldestri tentativi di ottimizzazione aziendale
Con quell’aria di mamma stanca che però sorride comunque quando passa la confezione di biscotti in offerta e sospira chiamando la mitica assistenza quando un codice a barre non passa. Da qualche parte nella Coop c’è un uomo o una donna pagata per conoscere a memoria il prezzo di qualunque prodotto: se la cassiera è in difficoltà, interviene lui. Non so darmi altre spiegazioni, se i prezzi fossero online ci sarebbe bisogno del mitico uomo dell’assistenza so-tutto-io. O magari hanno solo una password per accedere al database e ce l’ha lui.

Ad ogni modo, sinceramente non so se la riconoscibilità delle cassiere della Coop sia dovuta a una particolare selezione del personale, oppure se al contrario è il ruolo che in un certo qual modo ti modella come persona.
Tanto per cambiare, hanno sempre una cinquantina d’anni. Se sono più giovani ne mostrano di più, se sono più anziane ne mostrano meno. La divisa è costituita dalla maglietta rossa e dalle meches. Le cassiere della Coop hanno sempre le meches, o quel tocco di colore chimico che è praticamente obbligatorio se si hanno tra i quaranta e i cinquanta anni e si è donne. Ogni tanto c’è qualche uomo, a dire il vero, ma io evito sempre le file degli uomini. Non reggono lo stress, non gestiscono con flessibilità la gestione dei bollini, vanno in tilt se gli chiedi una ricarica. La cassa non è adatta a personalità semplici come quelle maschili, loro vanno bene alla catena di montaggio, il multitasking che richiede il ruolo di cassiera li mette in crisi.

Le cassiere della Coop invece sopportano, contano i venti euro degli anziani in monete da 10 e 5 centesimi (dove diavolo recuperano tante monetine gli anziani? Mica possono prenderle dalle fontane, con i reumatismi che hanno!). Accettano  che si lasci qualche prodotto se i contanti non bastano, ricordano di passare la carta Coop.

Mi mancano un po’, le cassiere della Coop, anche perché le ragazze del posto dove vado adesso nella metà del tempo non solo passano tutti i prodotti ma pesano pure frutta e verdura. Non perché siano più efficienti, ma perché sono più controllate dai datori di lavoro. E in parte io sono complice di questo meccanismo oppressivo.

Se divento ricco, spendo tutto in viaggi, beneficienza, e torno a fare la spesa alla Coop.

Farsi fighi

Ci sono applicazioni che attraverso appositi filtri ti fanno sembrare vent’anni più giovane, altre che rivitalizzano il colore della tua pelle, altre ancora che ti rendono più sexy.

Una volta bisognava avere un po’ di competenze con Photoshop per rendersi più gradevoli in fotografia, adesso uno smartphone basta e avanza. Però io mi domando: a che pro? Perché va bene crearsi un avatar piacente, ma nella realtà poi quelli siamo e rimaniamo, non so se mi spiego.

Non vi amareggia lo sguardo deluso di chi, dopo aver visto le vostre foto su Instagram, si aspettava di trovarsi di fronte alla sosia di Monica Bellucci e realizza invece che quel fisico in apparenza così seducente sul web appartiene in realtà alla mamma dei Barbapapà? Quanto tempo riuscite a trattenere il respiro per tenere dentro la pancia e gonfiare i pettorali come avete fatto in quella foto da playboy in riva al mare la scorsa estate?

Una ventina di anni fa, mi faceva sorridere quando nei programmi dei convegni vedevo le foto da splendidi trentenni di relatori ormai vicini alla sessantina: ma in fondo un pizzico di vanità ci può stare, e in alcuni casi era solo trascuratezza, perché vent’anni fa non ci facevamo un autoritratto ogni due ore. Si riciclava sempre la stessa foto e pazienza se all’accoglienza la guardia non ti riconosceva.

Questa esplosione dei social sta generando effetti incontrollabili. Mi si dirà: che male c’è ad abbellirsi un po’? Magari si tratta di persone in cerca dell’anima gemella. Ecco, proprio a voi mi rivolgo. Siate onesti. Se a qualcuno piacete in quella foto in cui siete spettinati, sovrappeso e con le rughe da stress, quel qualcuno di persona vi apprezzerà ancora di più. Se non vuole conoscervi, non avete perso niente. Come minimo usa gli effetti per farsi figo anche lui o lei. Giocate sull’effetto: però dai, non l’avrei detto, mica male in fondo, quasi quasi.

Poi, un modo per migliorare c’è sempre. Si chiama sport, vita sana, dieta equilibrata. Eh lo so, con la app si fa prima.

O i punti, o i soldi

Le raccolte punti sono strumenti di promozione semplici. Compri un prodotto, raccogli un punto. Quando ne avrai tanti o tantissimi, per premiare la tua fedeltà, ti farò un regalo, che io sia il produttore di una merce o il gestore di un negozio.

La mia generazione è cresciuta con la tazza del Mulino Bianco, la tovaglia del Mulino Bianco, i piatti del Mulino Bianco, la radio a forma di Mulino Bianco, il Mulino che si apriva e conteneva la cancelleria. Si è capito insomma quali erano i biscotti che andavano per la maggiore negli anni Ottanta. 

Il funzionamento era quasi infantile: compravi merendine, raccoglievi punti, ricevevi un regalo, lo mostravi agli amici per dimostrare di essere degno di inclusione nel loro clan. Purtroppo però i sistemi semplici negli anni tendono a corrompersi.

I punti da ritagliare sono stati sostituiti da strani codici da utilizzare online: i cambio di una quantità impressionante di tuoi dati personali, puoi ricevere un messaggio che ti dice che non hai vinto. Capite che il meccanismo è corrotto, qui siamo alla lotteria, non all’onesta raccolta punti. Oppure, peggio ancora, puoi avere accesso a una app che ti propone giochi talmente scarsi da metterti nostalgia del tuo vecchio Sinclair ZX Spectrum. 

Sul fronte delle catene di grande distribuzione, la tecnologia ha dapprima sostituito forbici e colla alla raccolta con schedine di plastica che tracciano tutti i nostri acquisti e ci restituiscono dei punti. Bene. Almeno si dà fine al dramma di aver smarrito la busta che raccoglieva tutti i ritagli, nascosta nella credenza o nel ripiano alto della libreria.

Poi però qualche genio deve essersi reso conto che in questo modo stava uccidendo un mercato che prosperava da decenni: quello dello scambio di punti. Nonne che compravano prodotti fatali per il loro diabete solo per consegnare i punti al nipotino, si sono viste ignobilmente tagliate fuori da quel mercimonio di affetti. Colleghe che barattavano ferie e turni domenicali in cambio di una manciata di punti, improvvisamente si sono viste private di quella contrattazione sindacale alternativa.

Che fare, allora, si sono detti i cervelloni del marketing? Semplice. Reintroduciamo i punti, con l’unica accortezza di rendere i bollini adesivi, che quando arrivavano quei fogli appiccicaticci in sede centrale venivano accolti con lo stesso entusiasmo riservato all’antrace o ai proiettili in busta. Concediamoli come un bene prezioso: signora, li vuole i bollini? Ci tiene davvero? No perché al direttore non va bene che li prende e poi li passa a quello dietro, eh?

E poi, il capolavoro finale. I bollini servono a ricevere prodotti insulsi, assolutamente inutili per la quotidianità di una famiglia media, come le tazze avvolte dalla gomma disegnate dal designer giapponese, o i bicchieri che se attraversati dalla luce solare generano effetti che neanche tre canne ma di quelle buone. Non solo: rifiliamo queste rimanenze di magazzino ai clienti, e gliele facciamo pure pagare!

Devo dire che poi, nella scelta di questi prodotti, si intravvede un maschilismo un po’ becero visto che sembra che il loro destinatario finale sia sempre e sola la casalinga uscita fuori da un fotoromanzo anni Cinquanta.

Vuoi l’insalatiera in cristallo che non ci sta in frigo né in lavastoviglie e conserverai per sempre imballata sulla vetrinetta del soggiorno? Paga! Vuoi il roast beef set stiloso da depositare in cima al mobile più inaccessibile della cucina e lasciare consegnare in discarica alle future generazioni? Paga! Oltre tutto si chiama “I love cooking” anche se in verità sappiamo bene che in casa tua amate talmente cucinare che il momento più bello della settimana è quando chiamate la pizzeria d’asporto per ordinare. 

A tutto questo diciamo basta. Basta ai bicchieri colorati, alle insalatiere smaltate e ai rost beaf set acquistati con pochi bollini e un mucchio di soldi. Ci sono modi più dignitosi di usare il denaro, per esempio con il gratta e vinci, procurandosi pillole per la ricrescita dei capelli o acquistando criptovalute da usare per comprare file digitali unici perché garantiti da un NFT su una block-chain (se non avete capito nulla dell’ultimo passaggio meglio così, ma non prestate la vostra carta di credito a vostro figlio).

Se sarò costretto fonderò un partito che ha solo due punti in programma: abolizione delle raccolte punti che chiedono soldi, introduzione nella parità di genere nei regali. Basta portafiori, piatti e caraffe, vogliamo in regalo schede sd, fumetti e biglietti per lo stadio. Eccheccacchio.

 

Chiavistelloni VS Aperitonti

Longobardi e bizantini, guelfi e ghibellini, fascisti e comunisti: siamo sempre stati divisi in fazioni, ma l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha mescolato le carte in tavola. Sì perché adesso siamo tutti chiavistelloni, tifosi del lock-down, della chiusura sotto chiave, o aperitonti, che bramiamo il ritorno allo spritz del venerdì sera. Con varianti assolutamente insolite: a voler aprire può essere il reazionario nostalgico del regime che punta il dito contro la plutocrazia bancaria, come l’intellettuale di sinistra che grida allo scempio della Costituzione, accusa i poliziotti di fascismo e fa quello che alla sinistra riesce da sempre meglio: massacrare i governi di sinistra. 
Ho provato a delineare una tipologia di questi individui evitando espressamente di citare, per quel minimo di tatto che mi pare si debba salvaguardare anche quando si fa satira, quelle categorie che evidentemente sono a favore di una o dell’altra fazione perché più direttamente coinvolte (è ovvio che un medico voglia tener chiuso, perché ci tiene a tornare a salutare i figli a casa, e che un ristoratore voglia aprire perché i suoi figli vuole sfamarli: su questo c’è poco da scherzare).

Il chiavistellone pro da settimane è ossessionato dalle curve, le cerca su Internet e poi le pubblica a casaccio, pazienza che la sua scarsa conoscenza delle lingue l’abbia portato a confondere la curva epidemica con l’accelerazione da 0 a 100 km di una McLaren. Finalmente la sua passione per la cronaca nera, o meglio per le disgrazie altrui, trova un suo audace compimento: cerca deceduti su Internet solo per dispensare rip a destra e manca, minaccia di morte dal balcone i maledetti podisti agitando lo stura lavandino e ha chiamato i carabinieri perché ha scoperto che quella smorfiosa del piano terra esce senza guanti e mascherina.
Probabilmente è un pensionato che finalmente ha un motivo valido per presentarsi al supermercato un’ora prima dell’apertura, e ha paura di morire perché non si è mai sentito così vivo.
Il chiavistellone passion non è mai stato tanto felice; ha trovato nella quarantena il senso della sua vita. Legge, guarda la tv per ore, è in vacanza da tre mesi e l’unica sua preoccupazione è che tutto ciò potrebbe finire. Pubblica su Internet solo foto di cibo e di tanto in tanto qualche articolo allarmistico sul calo dello scorte di lievito, giusto per ricordare al mondo fuori che si sta sacrificando per il bene comune.
Plausibilmente il candidato tipo è una maestra di scuola elementare che non ha fatto nemmeno cinque minuti di didattica a distanza, perché per lei il rapporto umano è tutto e che non fa nemmeno lo sforzo di inviare i compiti a casa perché non ha Internet, e nessuno può obbligarla a connettersi. Ha una ricrescita tale che ormai solo le doppie punte sono rimaste nere, vive in simbiosi con la sua tuta acetata e le pantofole di peluche, tra la sua passione riscoperta per la cucina vegana e le passeggiate con Renato. Renato è il suo Yorkshire Terrier, l’unico essere vivente che non l’ha mai mandata a spendere – insieme ai gerani – perché non sa parlare, ma in compenso si domanda tutti i giorni perché mai il suo inferno dei tre mesi estivi con la padrona quest’anno sia cominciato così presto. 

Il chiavistellone light tendenzialmente si fida della scienza e pensa che se avessimo chiuso tutto per bene quando era il momento, altro che quasi duemila aziende aperte solo a Bergamo in deroga, nel pieno dell’epidemia, forse ne saremmo già usciti. Si preoccupa soprattutto per il sistema sanitario e crede che in un paese civile un regime così duro non sarebbe stato necessario. Poi si ricorda di quelli che ai posti di blocco dicono di essere infermieri o ambasciatori per evitare l’etilometro, e si rassegna.

E veniamo al fronte opposto, quello degli aperitonti. Cominciano in senso in verso, cioè con la versione light. L’aperitonto light vorrebbe aprire bar, ristoranti, aeroporti, centri commerciali, ma non perché preoccupato di una deriva antidemocratica o per difendere l’economia. No, l’aperitonto light è uno dei milioni di operai che non è stato a casa nemmeno un giorno, perché la sua azienda ha dichiarato di produrre beni essenziali anche se realizza apriscatole per mancini. Eccheccacchio, dice l’aperitonto, ma proprio solo io? L’unica cosa che lo consola è sapere di non essere affatto solo; anche suo cugino la cui azienda produce cerniere per corpetti bdsm si è fermata un solo giorno, ma perché il custode è morto di covid e nessuno aveva a portata di mano le chiavi di riserva del magazzino.

L’aperitonto business è preoccupato per l’economia. Ma non per il pil mondiale, chi se ne fotte. E nemmeno per i milioni di posti di lavoro che rischiano di andare bruciati. No, l’aperitonto business è preoccupato delle sue tasche, e solo di quelle. Ha ereditato diversi appartamenti con i quali, tra studenti in nero ammucchiati in quelli in periferia e air bnb per quelli in centro, vive di rendita da anni. Ha già ottenuto il bonus di 600 euro, il bonus baby sitter e i volontari gli portano la spesa a casa, ma gli girano lo stesso le scatole perché per colpa dei comunisti al governo la sua diciotto metri è attraccata da mesi in Liguria senza poterla usare. E poi è nervoso perché oltre tutto non va a prostitute da mesi e questa signori miei è dittatura.

L’aperitonto hard, infine, ha iniziato la sua avventura al grido di “è solo una influenza”. Una manovra di quei bastardi di big pharma per vendere i loro maledetti vaccini. Quando la gente ha cominciato a morire, ha iniziato a ripetere a tutti che i dati erano dati gonfiati, erano morti con il virus e non del virus, si è innamorato della parola infodemia e quando ha visto il video lanciato a febbraio da Ascom “Bergamo non si ferma”, girato per invitare a continuare ad andare al cinema e al bar, ha provato una eccitazione che neanche Pornhub sezione premium. Facciamo come in Francia, anzi no facciamo come in Inghilterra, anzi no facciamo come negli Stati Uniti. Alla fine è arrivato persino a elogiare quei c**attoni dei socialdemocratici svedesi che continuano a sfondarsi di aperitivo, tanto muoiono gli altri, io c’ho immunità di gregge. E se gli fai notare che negli altri paesi scandinavi i morti sono dieci volte di meno, ti grida feichgnius e ti toglie dagli amici. L’aperitonto più feroce è soprattutto quello che ha un impresa sì, ma totalmente sconosciuta al fisco: presentarsi per la prima volta allo Stato per chiedere soldi sarebbe scortese, suvvia.
Il modello femminile di questo gruppo invece è quello della mamma in carriera, la professionista abituata a vedere un paio di volte alla settimana i figli, che ha drammaticamente scoperto la loro esistenza e si è resa conto che hanno esigenze, pensieri, persino sentimenti. Prima ha bestemmiato in aramaico per la chiusura della piscina, del corso di Judo e di quello di lingue orientali morte, minacciando di cause legali i gestori e tempestandoli di e-mail ricattatorie, che tanto i bambini non si ammalano; per la chiusura delle scuole ha dato fuoco alla bandiera italiana in puro cachemire autografata da Briatore; quando ha scoperto che la babysitter era in quarantena è andata al maneggio, ha decapitato il cavallo del marito con un’ascia fatta in casa e ne ha spedito la testa a Conte. Esce di casa con la mascherina che le serve a nascondere un massaggia gengive in cuoio, che morde tutto il giorno per sfogare i nervi, mentre il marito gioca alla playstation e si lamenta dei figli che lo distraggono mentre completa l’ultimo livello di Final Fantasy VII Remake prima di ordinare la pizza.

PS. Se c’è una cosa che ho capito in questi lunghi giorni, è che questa orrenda crisi ci ha diviso non solo in chi vuole aprire e chi vuole chiudere, ma anche in quelli che si lamentano, da un lato, e quelli che piangono, dall’altro.
Sapete che vi dico? Vi auguro con tutto il cuore di continuare a lamentarvi.

La prima app del mattino

Da qualche mese uso i mezzi pubblici, autobus e treno, per andare a lavorare. In autobus di solito siamo in tre a non guardare lo smartphone tutto il tempo: io, un vecchio senza occhiali da vicino e l’autista. Sull’autista però non sono del tutto sicuro. A giudicare dalle frenate, in effetti, alcuni probabilmente mentre guidano usano lo smartphone, la griglia per il barbecue e già che ci sono fanno anche un po’ di addominali. Ma non distraiamoci.

Il fatto è che io non uso lo smartphone sia perché a quell’ora del mattino mi sembra di violentare gli occhi, sia perché mi diverte guardare gli altri, che ipnotizzati come sono, non si accorgono di nulla. Gli uomini non sono molto interessanti, a dire il vero: prevedibili come un viaggio in ascensore in una palazzina a tre piani. Tendenzialmente schiacciano palline variopinte, rapiti da decine di diverse variazioni sul tema di Tetris, e le loro capacità intellettive si esauriscono tutte lì. Hanno degli schermi ad alta risoluzione e smartphone grandi quanto un vassoio, e li usano fondamentalmente per schiacciare palline. In alcuni casi anche per seguire i gol del giorno prima, a dire il vero. E poco altro: con i maschi finisce così. Probabilmente l’altro uso che fanno con il telefono è legato a qualche sito a luci rosse, ma in autobus ci risparmiano questo spettacolo, anche perché con l’altra mano devono tenersi aggrappati.

Ma è con le donne che ci si diverte. Ci sono le donne straniere che chiacchierano a voce alta in videochiamata. Immagino che dall’altra parte ci siano parenti, magari figli, ma proprio non riesco a spiegarmi perché quel momento di condivisione familiare, così intimo se vogliamo, debba essere vissuto sull’autobus 36. Dall’altra parte c’è tua figlia a Islamabad, forse: collegati in piazza Santo Stefano, dico io, sotto i portici, ai Giardini Margherita. Falle vedere qualcosa di carino alle tue spalle che non sia il solito pensionato che inveisce contro il governo, il sindaco e l’amministratore di condominio mentre continua imperterrito a inserire il biglietto nella macchinetta in senso contrario. Che poi, con queste videochiamate, è un attimo e l’immagine del tuo faccione decomposto del primo mattino, con le tracce di dentifricio accanto alle labbra e la bolla al naso può finire dall’altra parte del pianeta. Sono brutti momenti, dai. Da quando me ne sono reso conto sto sempre lontano dalle signore straniere con lo smartphone.

Poi ci sono le liceali, il futuro del nostro paese (davvero riponete qualche speranza in quei cretini che schiacciano palline scuotendo il telefono per massimizzare l’effetto?), con i loro capelli pettinati, i loro occhiali spessi, gli zaini sulle spalle e… Gli ultimi aggiornamenti su Pomeriggio 5, Amici, il Grande Fratello. Il futuro dell’Italia. Con un po’ di fortuna emigreranno in Francia dove serviranno in un caffè contestando il loro paese che non ha dato loro una possibilità. Le donne giovani a dire il vero tendenzialmente chattano. Che sia Messenger, WhatsApp o chissà quale altra applicazione, loro scrivono, scrivono, scrivono. Secondo me dovrebbero inventare un servizio online che si limita ad fingere di leggere, e rispondere ogni tanto “Quanto hai ragione” “Come ti capisco” “Su questo sono d’accordo” “lo dice anche il tuo oroscopo, oltre tutto” “anch’io”. Avrebbe più efficacia di tanti ansiolitici.

E poi c’è lei, la mia vicina di posto che l’altro giorno mi ha spinto a scrivere questo post. Si è davvero impegnata tanto. Quando mi sono avvicinato a lei non ha nemmeno alzato lo sguardo, tanto era presa dall’applicazione. D’altronde, ho capito che era di fronte ad un passaggio decisivo: stava scegliendo le scarpe. L’app in questione infatti permetteva di vestire una specie di manichino, come quelle sagome che le nostre compagne d’asilo ritagliavano dai giornalini e incollavano sul cartone, per poi addobbare come alberi di Natale. Una volta scelte le scarpe (il top e i pantaloni attillati li aveva evidentemente già individuati prima che cominciassi a sbirciare), il dramma: nessuna delle borse possibili era adeguata. La mia vicina ha cominciato a selezionarne  diverse dapprima incuriosita, poi nervosa, alla fine in preda al panico: piccola, piccolissima, colorata, nera, in pelle, di cotone, grande, con tante tasche, senza, zebrata, scamosciata. Alla fine, insoddisfatta, ha deciso di cambiare scarpe, via gli stivaletti, ma a quel punto forse la gonna era più opportuna, e l’acconciatura? Non era forse il caso di raccogliere i capelli in una coda di cavallo, con un atteggiamento più sbarazzino piuttosto a quei capelli lunghi e mossi ma che richiedevano una borsa d’alta moda?

Non so sinceramente come sia andata a finire, è scesa continuando ad armeggiare disperatamente alla ricerca di una soluzione.
Speriamo che l’autista donna non scopra quell’app, altrimenti siamo finiti.

La ragazza con il pantaloncino in riva al mare

spiaggiaVorrei fare qualcosa per te, perché lo so che non è giusto.
Vorrei poterti dire che presto passerà, ma quel presto potrebbe essere tra quattro giorni e magari domani tu parti.
Vorrei poterti dire che quello che sta accadendo nel tuo organismo probabilmente ti farà vivere qualche anno in più di tuo fratello, ma tuo fratello sta sguazzando felice nel mare mentre tu combatti con un cerchio alla testa e ti domandi perchè doveva succedere proprio oggi.
Tu, ragazza malinconica con il pantaloncino in riva al mare.
Ma non dico niente perché si vede lontano un miglio che sei talmente incaxxata che potresti far volare in Nord Africa tre file di ombrelloni solo aprendo bocca. Non dico niente perché la verità è che una incavolatura così noi maschi possiamo solo immaginarla. Può capitarci per esempio di dover lavorare quando gioca la nazionale, ma insomma. Può succedere di ammalarsi il giorno prima di un viaggio prenotato da mesi. Può capitare di essere invitati ad una cena succulenta il giorno dopo una brutta gastroenterite. Però tutto ciò non rende a pieno il tuo stato d’animo, ragazza “indisposta” come dicono le persone per bene, che hai scoperto di non poter fare il bagno proprio oggi che ti hanno portato a mare. E chissà domani. Chissà.
Mentre quel cretino di tuo fratello, di tuo marito, di tuo padre o anche solo il tuo vicino di ombrellone si diverte beato, tu stai lì a soffire, e dire che oggi fa un caldo pazzesco. Parliamo pure di parità e chiacchiere vare, la verità è che il contributo più severo alla sopravvivenza della specie tocca proprio a te e alle altre donne, a voi che magari di figli non ne volete e non ne avrete mai, ma ciò nonostante una volta al mese potreste essere costrette ad essere al mare in pantaloncino.
E dire che hai pure qualche amica che riesce a fare tranquillamente il bagno, complice qualche ritrovato tecnologico di ultima generazione: vogliamo andare su Marte, riusciremo a fare andare al mare le ragazze in quei giorni lì. Si però quel ritrovato tecnologico con te evidentemente non funziona adeguatamente, o non ti rassicura abbastanza.

Ragazza malinconica con il pantaloncino in riva al mare, sei il mio eroe della giornata.
Perché avresti potuto restartene chiusa in albergo, avresti potuto rimanere sotto l’ombrellone a leggere Fabio Volo o Topolino (ma quest’ultimo solo se l’emicrania è leggera), avresti potuto nasconderti. Invece te ne stai lì, orgogliosa, fiera, ti bagni i piedi e guardi l’orizzonte speranzosa che un bel nuvolone appaia da sud e un violento acquazzone estivo rovini la festa a questa massa di strxxxi che si divertono, spensierati, alla faccia del tuo mal di pancia.