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Il monitoraggio dei problem-maker

Alcune urla pisicurezzauttosto veementi provocano un attimo di sgomento nel settore nord-orientale. L’addetto alla sicurezza incaricato recupera la freddezza e con uno scatto repentino riporta la situazione sotto controllo. Intanto due problem-maker più a sud, già precedentemente attenzionati per alcuni comportamenti non proprio ortodossi, entrano in conflitto, ma per fortuna la rissa è sedata immediatamente prima che possa degenerare. Nel settore generale si ripropone un problema già tante volte segnalato alle autorità, e cioè le carenze di alcuni addetti alla sicurezza, che anziché preoccupasi dei problem-maker loro affidati si distraggono trastullandosi con il loro smartphone. La loro inadeguatezza è manifesta e la loro formazione assolutamente carente, ma purtroppo il sistema di controllo vigente non prevede la possibilità di sostituzione. Per non parlare di quelli che in servizio chiacchierano fra loro anziché monitorare l’evolversi della situazione e ancora quelli ormai avanti degli anni chiamati a sostituire i titolari pur non avendo i requisiti fisici previsti per il ruolo.

L’ordine con cui i problem-maker usufruiscono delle attrezzature nel settore occidentale è improvvisamente messo in discussione da un ribelle, ma in questo caso gli addetti alla sicurezza sono pronti e intervengono con tempismo, sebbene uno di loro abbiamo evidentemente provato a fare il furbo garantendo al suo assistito una posizione che non gli compete.
Un altro tentativo di fuga, l’ennesimo, prova a scardinare le difese della sicurezza sul limite orientale, approfittando di una fase di stanchezza di un addetto che è chiamato alla sorveglienza di diversi problem-maker, alcuni dei quali già conosciuti per il loro carattere burrascoso che più volte li ha portati a tentare l’evasione. Il loro tentativo è velleitario, vengono immediatamente ricondotti nei limiti preposti e sedati con l’ausilio di calmanti ad alto contenuto di saccarosio.

Benvenuti in una giornata al parco non più tesa di tante altre da un addetto alla sicurezza di due bimbe…

I papà e la tivù dei piccoli

tivvuAlla fine è successo anche a voi, siete diventati papà. E dopo i primi mesi trascorsi attaccati a mammina, ecco che i pargoli acquistano autonomia, si rendono intraprendenti, cominciano a nutrirsi di strumenti televisivi di indottrinamento di massa. Ed è bene che vi prepariate, perché è roba che picchia 24 ore al giorno su cinque o sei canali, per non parlare di quelli tra voi talmente ricchi da comprarsi anche i canali a pagamento (non è il mio caso, se non si è capito dal rancore sottinteso).
Avete presente le teorie sulla parità dei sessi, sulla costruzione sociale del genere, sulla libertà di crescere liberi da cliché? Bene, dimenticatele. Perché gli autori dei programmi per bambini queste teorie non le conoscono. Se avete una figlia femmina, la parola chiave sarà: principessa. Non architetto, ingegnere, e nemmeno astronauta. Vuoi mettere tutta quella fatica sui libri per trovare poi un lavoro sottopagato o dover fuggire all’estero, quando puoi trovarti un bel fusto e farti mantenere tutta la vita? Certo dovrai magari per un po’ occuparti delle faccende domestiche (Biancaneve e Cenerentola) ma poi vivrai felice e contenta. Oppure dovrai fare lo sforzo di baciare un rospo, che però ti sistemerà per sempre. Ancora meglio se tua madre ti toglie questa incombenza e il re se lo sposa lei, come succede a Sofia la principessa.
Certo, qualche eccezione c’è. Come la dottoressa Peluche. Che non è un’attrice porno anni settanta. Dimenticate quelle cose, siete papà ora. È una simpatica aggiustatrice di giocattoli, ma attenzione, è di colore. Evidentemente s’è trovata un lavoro visto la carenza di principi nel suo quartiere. Che poi il lingua originale è Doc McStuffins, e a quanto mi risulta non aggiusta i peluche. Davvero i traduttori stavano pensando ad altro. A CUI NON DOVETE PENSARE VOI. Siete papà ormai.
E già che siamo in tema, ricordate che la mamma di Peppa Pig è una porcellina. Non una maiala, e nemmeno una porcellona. Anche se, considerando il perenne sorriso soddisfatto di suo marito, probabilmente un po’ porca è. Ma rimanga tra noi. E le Wings, nonostante gli abiti striminziti, il trucco vistoso e i tacchi a spillo non fanno il mestiere più antico del mondo. Sono fatine. Ricordatevelo, perché il giorno che i vostri figli troveranno nascosto in un cassetto quel vostro vecchio dvd che non avrebbero dovuto scoprire, spiegherete loro che quello è un film di fate, solo per bambinoni un po’ più grandi.
Se invece avete un figlio maschio, probabilmente i suoi modelli televisivi saranno il postino, il pompiere, il costruttore edile e il vichingo. Considerando che non ci sono da anni concorsi pubblici e vista la crisi dell’edilizia, probabilmente indossare un copricapo con le corna e assediare i porti a bordo di velieri a vele non sarà poi una cattiva idea, un domani.

PS Lo so, lo so, ci sono delle valorose eccezioni, da Pocahontas a Ribelle, passando per Tiana. Per non parlare della mia preferita, Fiona. Ma sempre aristocratiche sono. Insomma l’idea che ci provino a insistere su ruoli nobiliari stereotipati rimane, specie per quanto riguarda la Disney. E per i maschi le cose non migliorano: qui se non sono nobili sono insulsi. L’eroe per quelli della mia generazione era l’intrepido Zorro. Adesso c’è quel palestrato salutista di Sportacus che mangia solo mele, ha gli stessi baffetti di Zorro ma il carisma di un Don Diego in pigiama.

L’inserimento

Immagine tratta da picjumbo
Immagine tratta da picjumbo

La parola inserimento, fino a qualche anno fa, per me era collegata soprattuto al centrocampista che si apre un varco nella difesa avversaria e chiama la palla per puntare al gol. Oppure mi faceva venire in mente un distributore di tagliandi per la sosta e le monetine da inserire.
Ai tempi del liceo si diceva fosse protetto da San Serit chi cercava di farsi spazio, anche piuttosto aggressivamente, all’interno di una conversazione, di un gruppo di amici, di una comitiva.
Oggi non è più così.
Oggi per me l’inserimento è quelle lunga, dolorosa e faticosa gimkana che ogni genitore deve affrontare prima che si aprano le porte del paradiso, con su scritto “Asilo nido a tempo pieno”. Sì perché l’inserimento è quella procedura per cui, per dare modo al piccolo di ambientarsi, si fa in modo che l’ingresso sia graduale. Un giorno, due, tre, penserete voi. Illusi. L’inserimento dura settimane, a volte mesi. Si comincia con un’ora, con la mamma, poi un’ora e mezza, poi due ore da soli, poi due ore e trantacinque, e via andare questo stillicido di orari impossibili (dalle 17 alle 18,30, dalle 9,35 alle 12, fino all’ora di pranzo ma non oltre…).
Per carità, nessuno mette in dubbio che l’ingresso non debba essere traumatico. Ma un ingresso così lento ed esasperante fa venire il sospetto maligno e infondato che il trauma vogliano evitarselo soprattutto le educatrici, che dopo due mesi di ferie non sopporterebbero di ritrovarsi i bambini tutti insieme.
Non lo so, è un mestiere delicato, sicuramente hanno ragione loro. Ma allora perché non concederci tutti un po’ di inserimento? Al rientro a settembre, per esempio, dovremmo aprire l’ufficio relazioni con il pubblico gradualmente: prima un’oretta, ma senza dipendenti, così, solo per far ambientare i cittadini, per fargli conoscere gli spazi. Poi due ore, tre ore, accettando però solo i cittadini che sono stati già in ufficio gli anni scorsi; i nuovi non possono entrare fino a ottobre inoltrato. E poi, se il cittadino dà un po’ in escandescenze (sapeste…) si telefona ad un parente e si invita a venirselo a riprendere.
Secondo me sarebbe un’ottima idea; e sia chiaro che lo faccio solo nell’interesse psico-attitudinale dei cittadini e per evitare traumi che potrebbero interferire con il loro sviluppo emotivo e cognitivo. E a fine giugno chiudiamo l’ufficio. I cittadini che insistono per ricevere i servizi possono rivolgersi sempre rivolgersi ad un campo estivo.
L’idea mi piace. Preparo un piano da sottoporre alla giunta.

Le feste di compleanno dei bambini, ovvero del tramonto della cultura occidentale

pallonciniI sociologi e gli economisti trascurano colpevolmente un elemento essenziale per capire la realtà contemporanea e analizzare le involuzioni del costume: i compleanni dei bambini. I compleanni dei bambini drenano quantità esorbitanti di risorse che se quantificate giustificherebbero i rallentamenti e i cali del PIL: si tratta infatti di spese allo stato puro e non di investimenti, come qualche analista superficiale vuol farci credere. Fateci caso, i bambini sono tanto meno numerosi quanto più frequenti sono le feste di compleanno: questo spiega la crescita zero dei nordisti, che a questo falò simbolico di quattrini sono affezionati, rispetto per esempio alle popolazioni al di là del Mediterraneo, che più che contare gli anni dei figli contano i figli una volta l’anno, per verificare che ci siano ancora tutti. Non solo: la nascita sempre più numerosa di bidonville alle periferie dei grandi centri urbani è facilmente identificabile nelle aree dove più a lungo e con maggiore virulenza si sono diffuse le feste di compleanno,che per fortuna attecchiscono meno in campagna e sulle montagne.
Vediamo di capire quali sono le manifestazioni più frequenti di questi disastrosi rendezvous.

La festa di compleanno vintage

La festa in questione cerca di ricreare le atmosfere di trent’anni fa che ho evocato in questo articolo. Festa in casa, con le pizzette e i popcorn sul tavolo, i bicchieri di plastica con il nome scritto con il pennarello, la mamma che cerca di organizzare un girotondo e musica dello Zecchino in sottosfondo. Tutto bene, dunque? Se per voi va bene ricomprare il televisore che i ragazzini hanno utilizzato per il tiro al bersaglio con le frecce, si. Ah già, non sono frecce, ma quel che resta della collezione di stilografiche. Se per voi non è un problema sostituire il lampadario al quale si è aggrappato uno degli ospiti gridando “Spaidermeeen” e se siete veloci quando si tratta di spegnere incendi (capiterà, fidatevi, capiterà), allora tutto bene. Ma come è evidente i risparmi sono una pia illusione per il semplice fatto che i bambini di trent’anni fa si sentivano audaci se sbirciavano nello sgabuzzino con le scope e i detersivi del genitore del festeggiato. Quelli di oggi i detersivi li usano per organizzare un veloce calcetto saponato e se li rimproverate vi rispondono che potete chiamare anche la polizia, se volete. Sanno bene che più di tre anni il giudice non glieli darà e con l’indulto è una passeggiata di salute.

La festa di compleanno selvaggia

Variabile della festa di compleanno vintage con cui l’accomunano i risultati (danni, querele, incidenti), questa festa si caratterizza per il fatto che i genitori dopo aver mollato i piccoli terroristi se la svignano alla chetichella, fingendo di non vedere lo sguardo impanicato della mamma del festeggiato. Tornano un paio d’ore a recuperare i figli, e dal loro punto di vista in fondo si tratta di una scelta sagace, visto che di solito tutti i bambini al loro rientro sono ancora vivi. Di solito.

La festa di compleanno in outsourcing

Volete la festa di compleanno? Volete sfogare i vostri istinti repressi, piccole scimmie, e dare una volta per tutte ragioni ai darwiniani? E sia. Vi affitto un capannone industriale che la furbizia del commmerciante ha riempito di gonfiabili, e porca miseria casa mia non la devastate. Soluzione ottimale (personalmente l’ho utilizzata più volte), se non fosse che il commerciante guadagna molto più adesso con quei sacconi gonfi d’aria di quanto non guadagnasse producendo serramenti per il mercato americano, e di ciò se ne accorgerà il vostro conto a fine festa.

La festa di compleanno in cloud

Come sopra, solo che porca miseria con quel che costano, conviene condividere le risorse hardware. Per cui festeggiate almeno tre o quattro bambini contemporaneamente, e se capita anche un battesimo e una festa di laurea per condividere le spese. Se l’Italia non è fallita nel 2011 è grazie a voi, patrioti, altro che Monti.

La festa di compleanno in famiglia

Perché invitare i compagni di classe, quando c’è il nonno disponibile con i suoi divertenti aneddoti sul dopo guerra? A che servono gli amichetti, se c’è lo zio che riesce a rimanere sveglio durante quasi tutta la festa e i cugini con cui giocare? Certo, da piccoli voi avevate quindici cugini. I vostri figli ne hanno due, per cui, se volete allevare dei piccoli Hannibal Lecter, fate pure. Ma sappiate che un giorno lo psichiatra scoprirà come il serial killer festeggiava i compleanni ed essere papà del serial killer potrà alquanto seccante.

La festa di compleanno psicotica

La psicosi in questo caso è della madre che deve avere avuto un’infanzia davvero difficile, un’adolescenza turbolenta e che tutt’ora deve fare una vita abbastanza di merxa se per sollevarsi il morale deve spendere per la festa di compleanno quanto il marito guadagna in un anno. A queste feste di compleanno, alle folli spese per il locale si aggiungono folli spese per i cibi (che non interessano affatto agli invitati, se non come oggetti contundenti o per improvvisare simpatiche pozzanghere di fango à la Peppa), e la follia numero 1 delle feste di compleanno per bambini: si fa un regalo a tutti gli invitati! Spesso sono gli stessi nordisti che per anni hanno festeggiato il proprio compleanno alle spese degli amici (si veda qui), che per i figli impazziscono e decidono di fare un regalino per ciascuno degli invitati. La spirale deviante di questo tipo di feste è evidente, perché poi anche le altre mamme psicotiche compreranno regalini per gli invitati, e magari li compreranno anche solo per una visita dagli amichetti o per un incontro al parco… E voi cpaite che gli ottanta euro di Renzi li spenderete in fazzoletti di carta piangendo solitari di fronte al vostro estratto conto. Altro ch pareggio di bilancio. Che abolisca le feste di compleanno dei piccoli, la Merkel, se vuole davvero tenerci in Europa.

La variabile x: gli animatori

Da quanto sin qui scritto pare chiaro che se c’è una cosa di cui i piccoli invitati non hanno bisogno è l’animazione, perché sono piuttosto animati già di loro. E invece no, anche questo ci siamo inventati. Un povero disgraziato slavo sui trampoli che cerca di evitare le piccole saette e tra un saltello e l’altro rimpiange di non aver seguito lo zio in Montenegro. Un mago che fa giochi di prestigio con le carte e deve stare attento perché a farle sparire sono i piccoli che gli ruotano attorno punzecchiandolo. Una signora di mezz’età che da una vita disegna farfalle sui visi delle bambine, opera come un’automa di un film di Fritz Lang se gli mettete un anguria in mano ricopre di farfalle anche quella. Due clown che gonfiano palloncini, e se all’inizio deliziano gli ospiti con margherite e spade spaziali, dopo due ore propongono palloncini grigi e sgonfi, e sfanculano gli impiastri che fanno notare il declino della loro produzione con graziosi “Se lo vuoi è questo, sennò togliti dai piedi, mostro” (e come dargli torto?). Come si diventa animatori di festedi compleanno per bambini? I soliti accadimenti: un trauma da cui non ci si riprende, la perdita del posto di lavoro, l’abbandono da parte di una persona cara, una profonda depressione. O diventi alcolizzato o, se ti va male, ti dai all’animazione.

L’intepretazione del pianto

piantoAuguri, mamme.

Il giovane papà (sempre meno giovane, sempre più papà) ha deciso di festeggiarvi condividendo per voi un breve dizionario contenente la traduzione bambinese-italiano dei pianti più frequenti, secondo l’esperienza che si è potuto costruire in questi anni. Attenzione, però: i valori si riferiscono esclusivamente a pianti femminili (non è detto che i maschi piangano nela stessa maniera, si attendono verifiche in tal senso), e poi ogni bambino ha una percentuale di creatività che potrebbe portarlo a sovvertire queste interpretazioni.

Condivido comunque, chissà che i vostri riscontri non siano analoghi:

  • Aaaaaaaaaaah (urlo lungo, ininterrotto, con lievi sobbalzi, tipo ritornello di Alanis Morrisette): perché vi ostinate a non fare quello che dico io?
  • A-ha, a-ha, a-ha (urlettini intermittenti come dei piccoli colpi di tosse): sono profondamente delusa, il mondo è peggiore di come me l’aspettassi e ho bisogno di coccole
  • A-ha, a-ha…(silenzio), a-ha, a-ha (silenzio) a-ha, a-ha (più forte). Su questo cari genitori dovete stare molto attenti, perché vuol dire che si sono fatte male sul serio. Di solito il silenzio serve loro infatti a verificare cosa cavolo è successo e perché.
  • Aaaaaah…ahhhhh….ohhhhhhh (urlo con diverse tonalità, trascinato, intervallato da singhiozzi, tipo assolo di tromba jazz improvvisato): sono una donna, benché piccola, e ho bisogno di attenzioni e di qualcuno che esegua i miei ordini. Dove diavolo siete quando ho bisogno di voi?
  • Eheheheheeeeeeh..eheheheheehhhhhhhh (colpettini crescenti e progressivi all’inizio con cavalcata finale e urlo, tipo assolo di Steve Harris e Dave Murray): quella vigliacca di mia sorella si è di nuovo impadronita del mio giocattolo preferito.
  • Uhi…ihi…ihii… (Piccoli miagolii, poco convinti, quasi infastiditi. Avvengono tipicamente nel sonno) Maledizione, dov’è finito il mio ciuccio e quanto ci mette papà a trovarmene un altro? Se stavolta mi sveglio davvero poi sono cavoli amari per tutti.

PS. La foto non è mia, l’ho presa da una banca dati online. Non sono così cinico da fotografare le mie bimbe quando piangono. Anche perché nell’agitazione potrebbero rovinarmi l’obiettivo.

L’ipocrisia del giovane papà

serenaDomenica mattina: nella sala parrocchiale attigua alla chiesa dove si sta celebrando la messa, un gruppo di papà controlla i piccoli teppisti qui relegati per impedire loro di dare fuoco alle navate con le candele votive, capovolgere i banchi con i nonni appisolati e correre verso l’altare scivolando sul pavimento lucido. Nella saletta gli spazi sono limitati, le possibili arme improprie costantemente monitorate, le bizzoche che guardano di traverso i piccoli rumorosi isolate al di là di una solida parete.
Tra i papà (e qualche mamma) la solita tipologia di accompagnatori: quello apprensivo che accompagna suo figlio maggiore anche sullo scivolo anche se ormai ha 12 anni ed è più grosso di lui, quello distratto che fissa lo smartphone lamentandosi della copertura 3g, quello divertito che osserva il suo figlio bullo che monopolizza gli spazi a discapito di tutti gli altri.
Io rivesto il ruolo di papà scrittore di insuccesso, quindi osservo, scruto, memorizzo e intervengo solo se necessario (in fondo non sono uno scrittore realista, di tanto in tanto mi concedo di interagire nella storia).
Il figlio bullo ha qualche centimetro più degli altri e lo ritiene sufficiente per spostare e spingere tutti quelli che invadono il suo campo. Più che spingere di fatti si limita al gesto appena accennato, una sorta di scostamento che resta comunque piuttosto odioso. La prima volta che spinge mia figlia Serena questa incassa sorpresa, barcolla e si allontana. La seconda volta lei gli lancia uno sguardo irritato, con quel misto di minaccia e rabbia di cui solo i bambini che si ritengono nel giusto sono capaci.
La terza volta schiva la spinta in anticipo, si sposta all’indietro e gli assesta uno spintone deciso. Non è un banale segno di prepotenza, stavolta, è proprio uno spintone che fa cascare da una piccola piattaforma il piccolo bullo, lo manda faccia a terra e lo fa esplodere in un pianto disperato.
Io mi avvicino, lo aiuto a sollevarsi, gli chiedo se si è fatto male (sii, urla il piccolo teppistello, bene, penso io), borbotto a Serena che non è bene spingere, la rimprovero e la allontano dalla scena del crimine.
In cuor mio vorrei sollevarle il braccio destro in segno di vittoria e andarmi a pavoneggiare di fronte al papà divertito, che è un po’ meno divertito e si è dovuto alzare per raccogliere il pargolo strillante. Non lo faccio, perché i giovani papà sono tutti un po’ ipocriti. Mi ripeto però che in un mercato del lavoro che sarà sempre più competitivo non è poi tanto sbagliato se Serena impara già da adesso a far valere la sua candidatura.