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Siamo alla frutta. O a dolce?

pranzo_servitoUno dei campi di battaglia in cui il sudista al nord si confronta (e si scontra) più frequentemente con gli indigeni padani è senz’altro la tavola. Sono tanti i motivi di dibattito, da rifiuto del meridionale di utilizzare olio che non venga dalla tanica dell’amico di papà, alla difficoltà del padano nel capire il concetto di “pasta con le patate”. Non ce la fa, l’uomo della nebbia, proprio non ce la fa. L’abbinamento carboidrato+carboidrato scardina i principi salutistici del nordista, pronto a giustificare un lipide+lipide+lipide in nome della tradizione, ma assolutamente incapace di cogliere la grandezza delle patate come condimento della pasta asciutta.

Ma il tema che oggi voglio affrontare è un altro, e riguarda la conclusione del pranzo. Si chiude con il dolce, come vorrebbe il sudista, o con la frutta, come sostenuto dalle popolazioni del grande freddo? Il nordista, come accade sovente, cerca la risposta tra i suoi libri  – nordisti –  e subito in merito cita il galateo che prevede che si serva prima il dolce. D’altronde Giovanni Della Casa era fiorentino. A parte il fatto che se fosse per il galateo dovremmo pranzare con due forchette, due coltelli, qualche molletta per le verdure e svariati cucchiai: praticamente occorrerebbe prevedere una lavastoviglie a disposizione per ogni commensale. Ma poi, qualcuno di voi sbuccia la mela con forchetta e coltello, come vuole il galateo? O prende le ciliegie con un cucchiaino, facendo attenzione a lasciar scivolare il nocciolo nel cucchiaino stesso prima di posarlo nel piatto? E allora, non tirate fuori il galateo solo per la storia del dolce, suvvia.

Da un punto di vista filologico, molto più notevole è semmai la posizione dell’indimenticabile “Il pranzo è servito”, che, a dire il vero, si concludeva con il dolce. Anche in questo caso, tuttavia, il sudista ha un’arma con cui rispondere: qualcuno di voi ha mai visto, ad un matrimonio, una macedonia nuziale? Persino il più dozzinale dei matrimoni nordisti, di quelli modelli tavola calda con antipasto frugale di mortadella e parmigiano, un solo primo (al limite un bis, ma nello stesso piatto: che scempio), un solo secondo (e non è mai il pesce), contorno e acqua naturale (succede anche questo, ve lo assicuro, succede), dicevo, nemmeno uno di quei matrimoni nordisti con pranzetto di durata inferiore alle tre ore (praticamente una merenda, per il sudista) si chiude con la frutta. E qualcuno ha mai soffiato le candeline sull’ananas? E dai.
La festa si chiude con il dolce. Prima del caffé e dell’eventuale liquorino. Se il pranzo è una festa, non si può concludere con un mandarino.

Si, lo so, il detto popolare dice “siamo alla frutta”, per indicare che abbiamo toccato il fondo. Ma è ovvio: chi è alla frutta è messo male, perché ha già capito che il dolce non è previsto dal menù.

 

Chi stona prega tre volte

A Pistoia l’ufficio liturgico ha predisposto un galateo da tenersi in chiesa. Una specie di raccolta di quei messaggi che a volte con umorismo (per parlare con Dio non serve il cellulare) a volte con minacciosi disegni (una bella x sulla ragazza sgambata) invitavano i fedeli ad un comportamento adeguato.
Niente telefonino, allora, niente coscia lunga in esposizione, puntualità, niente gomma da masticare. Evidentemente il problema si pone soprattutto per certi turisti, abituati a frequentare una chiesa come se fosse un bar, e non dei più raffinati. Ma non solo loro: ci sono abiti da sposa più sexy di una tutina di Eva Henger, e il cellulare ormai squilla anche ai sacerdoti più distratti, per non parlare del vecchio trucco di presentarsi in chiesa dopo il Vangelo per accorciare la celebrazione. Un richiamo all’ordine è doveroso, senza per questo tornare alla messa in latino come vorrebbero alcuni.
L’ufficio suggerisce non solo proibizioni, ma anche proposte positive: inviti a cantare, per esempio, perché chi canta prega due volte. E chi stona, quante volte volte prega? Tre. Due volte lui, e una il vicino che implora il Cielo che smetta subito.