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È un problema tuo

Quando si ha a che fare con la pubblica amministrazione la prima, sgradevole impressione è che la maggior parte dei dipendenti cerchi di evitare le responsabilità. Non mi compete, non me ne occupo io, chieda in un altro ufficio. Purtroppo è così, inutile prendersi in giro. Se si supera il confine tra dipendenti e cittadini si può osservare la situazione dal punto di vista dei primi, e comprendere molte cose.

Di fronte alla difficoltà, ai contenziosi, agli scontri, lo Stato si rivolge ai suoi (e sottolineo “suoi”) collaboratori dichiarando: è un problema tuo. Sei un agente di polizia che ha cercato di sventare una rapina, come lo Stato ti chiede, e nel farlo hai ferito il ladro? Se quest’ultimo ti fa causa per danni, è un problema tuo. Sarai tu che dovrai pagare un avvocato per difenderti, perdere giornate di lavoro, tempo, vita. Sei un medico che hai cercato di salvare la vita ad un paziente, con un intervento rischioso, come lo Stato ti chiede, e nel farlo gli hai procurato una invilidità permanente? Se quest’ultimo ti fa causa, è un problema tuo. Lo stesso discorso si può fare per l’ingegnere che si oppone ad un abuso edilizio, il ragioniere che si pretende di riscuotere le tasse, l’ufficiale di stato civile che si oppone di registrare alla nascita un bambino che i genitori vogliono chiamare Turbominchia.

Se ti fanno causa, il problema è tuo: per lo Stato poliziotti e ladri, medici e pazienti a caccia di quattrini, impiegati ed imbecilli sono uguali. Non entra nel contenzioso, anche se i primi hanno agito in suo nome. Se ci pensate è assurdo, ma è così che vanno le cose: lo Stato non difende i suoi difensori.

Anzi, con gli anni i numero di cause. grazie a certi avvocati disperati che provano a far cassa intentando cause ai comuni perché gli alberi non si sono spostati all’arrivo dei loro assistiti, è aumentato a dismisura. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Nessuno è tanto eroe da rischiare un intervento chirurgico che poi, se va male, ti può costare la casa. Gli agenti di polizia che sparano ai malviventi ci sono solo nei film, e qualunque impiegato, se può, per prima cosa cerca di evitare lo scontro, con il “non è di mia competenza”, oppure concede anche più quello che dovrebbe. Non per corruzione o vantaggio, ma per paura. Perché anche se hai ragione in ogni caso i soldi devi anticiparli tu, e nessuno ti restituirà il tempo perduto. E perché può anche capitare, e capita, di trovare sulla tua strada un magistrato del TAR che sta combattendo a modo suo una battaglia e per farlo è disposto anche al sacrificio di qualche disgraziato che incontra per strada, come di recente è accauduto nelle querelle sui diritti civili (unioni omossessuali prima, adozioni poi).
Per uno Stato così non vale la pena sacrificarsi. Ed è un problema nostro.

L’era del senza

Per anni ci hanno riempito la testa con messaggi che reclamizzavano la presenza di ingredienti magici nei prodotti che acquistavamo. Dalle pro-vitamine all’omega 3, l’elenco fatto di strani nomi che vagamente ricordavano termini scientifici o medici, è sterminato.
Poi evidentemente qualcosa nel meccanismo si è rotto. Noi non ce ne siamo accorti, ma siamo entrati nell’era del senza. Ai primordi di questo passaggio c’è la madre di tutte le privazioni, il senza zucchero: improvvisamente caramelle, gomme da masticare, bevande e dolci perdevano il loro elemento caratterizzante di sempre (e acquistavano l’aspartame sui cui effetti collaterali c’è più di qualche dubbio, ma questa è un’altra storia).
Gli americani, più politically correct, usavano espressioni più ambigue, come "light", leggero: noi no, dritti al cuore del problema, senza zucchero. E anche la benzina che qualcuno ha provato a battezzare verde (uno degli ossimori più divertenti dello scorso decennio) da noi è sempre stata "senza piombo". Adesso, in piena era del senza, ecco i succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, gli yogurt senza conservanti, le brioche senza aromi, le vernici senza additivi, i formaggi senza grassi. Quasi sempre è roba buona, per cui ti chiedi perché diavolo ce li mettevano, quegli additivi.
Poi capisci che non è il caso di polemizzare: siamo nell’era del senza.
Il prossimo passo sarà pane senza companatico.
Passo che in tanti purtroppo hanno già fatto e non certo per sentirsi light.

8 giugno

Pietro Ricca è stato scagionato dall’accusa di ingiuria: la Cassazione infatti ha spiegato che dare del buffone non è un’offesa ma una critica politica. Specie se l’interessato è davvero un buffone.

Campagna per il riciclaggio promossa dall’Hera, che mostra come da bottiglie di plastica e cartacce si ottengono maglioni di pile. Crollano le vendite delle felpe sintetiche.

Di Pietro caccia coraggiosamente dal suo partito un senatore che si è fatto eleggere presidente di commissione con i voti del centrodestra. Poi il governo fa i conti in senato e lo riabbraccia calorosamente. Il figliol Prodi-go.

L’Italia è il primo paese in Europa per numero dei cesarei. Sotto accusa i medici che si discolpano spiegando che il parto naturale è terribilmente noioso.

La nazionale azzurra non si presenta in Germania all’appuntamento con i tifosi. Delusioni tra i fruttivenduli per la merce rimasta invenduta.