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Qualcuno dica alla Disney di piantarla con Violetta e di darci Castle

Immagine tratta da www.castle.rai.tv. Tytti i diritti ABC Studios riservati
Immagine tratta da www.castle.rai.tv. Tytti i diritti ABC Studios riservati

Ritengo che il prodotto culturale che meglio di qualunque altro identifichi gli ultimi dieci anni – su per giù – siano le serie televisive. Per carità c’erano anche prima, ma volete mettere? Vogliamo paragonare la sceneggiatura di Lost – che può piacere o meno, ma a cui non si può negare l’enorme lavoro creativo sui personaggi – con la psicologia da oroscopo di Branko “quello tosto del Vietnam e quello carino intellettuale” di Simon & Simon? Vogliamo paragonare l’introspezione interiore che anima Lilly di Cold Case e i suoi colleghi con i coniugi Hart di Cuore e Batticuore dove l’unica cosa davvero di spessore era la messa in piega della signora Hart?

D’altronde quelle serie anni settanta, per quanto ripetute fino allo sfinimento, le guardavamo su televisori 14 pollici in bianco e nero, di quelle attuali possiamo scandagliare ogni singola inquadratura con i mostruosi prodotti multimediali che popolano i nostri salotti. E a tal proposito mia figlia, da poco avvicinatasi a questo mondo, ha esordito con una delle mie serie preferite, Castle. Una piuttosto soft e adatta anche ad una bimba di 5 anni (e dai, per quanto possiate essere sconsiderati non farete mica vedere i bambini torturati e in catene di Criminal Minds ai vostri figli, spero). Certo qualche commento di tanto in tanto devo farlo, “Papà secondo me l’hanno pugnalata” “Martina il calibro 38 è una pistola, vuole dire che le hanno sparato”, ma mia figlia segue senza troppi intoppi la trama.

Martina però è figlia di una generazione abituata a rivedere i telefilm a piacimento, quando ne hanno voglia, così le ho preso la prima stagione in dvd. Dieci episodi già visti e rivisti più volte. Solo che siamo alla quinta stagione, e in dvd non c’è traccia della seconda! Non è questione di negozi, proprio non è mai stato prodotto in Italia. Non capisco sinceramente le logiche dei distributori (Castle è della galassia Disney), ma un programma trasmesso con successo su Sky e Rai Due cosa deve fare per essere disponibile nei negozi? Ci sono gruppi di Facebook che ne chiedono la realizzazione e addirittura raccolte di firme, ma la serie è disponibile in praticamente tutta Europa tranne che in Italia.
A proposito di Cold Case, ho scoperto per esempio che le difficoltà per l’uscita in dvd è legata alla colonna sonora (meravigliosa) che accompagna ogni episodio: i diritti costano tantissimo ai produttori, ma alla fine i dvd sono usciti. E Castle? Chi pretenderà i diritti su Castle? Per chi non l’avesse mai visto, non è tratto da un romanzo; anzi, hanno pubblicato tre romanzi tratti dalle serie. Per cui la cosa non si spiega. Chi si oppone alla distribuzione italiana? Avrà fatto qualche sgarro a qualche industria di caffé? Non credo, bevono caffé in continuazione, nel distretto c’è persino una macchina espresso comprata da Nick. Non lo so, per ora registro gli episodi su hard-disk e comincio a valutare seriamente l’ipotesi pirateria.
Nel frattempo qualcuno dica alla Disney di piantarla con Violetta e di darci Castle.

P.S. Ma se i vari protagonisti di Law & Order, Criminal Minds, Castle, The closer, C.S.I. e compagnia bella alla fine di ogni episodio risolvono il caso arrestando i criminali, com’è che quelli di Cold Case o Cold Squad c’hanno sempre così tanti arretrati?
Il motivo è semplice. I casi che devono risolvere sono di venti o trenta anni fa: per cui la colpa è del Tenente Colombo, dell’Ispettore Kojak e di Starsky e Hutch, e se posso dirlo, un po’ lo sospettavo, con quelle basette e quell’abbigliamento imbarazzante lo capivo anche da bambino che non c’era da fidarsi di loro e che chissa quanti casi insoluti si sarebbero lasciati alle spalle.

Trapanature

sassolinoC’è una drammatica puntata di Peppa Pig di cui sento il bisogno di parlarvi. E siccome credo l’abbiano trasmessa almeno 600 volte, non corro il rischio di rovinare il finale a nessuno. Ebbene, durante l’episodio, quell’inetto, supponente, incapace suino che dovrebbe rappresentare il ruolo paterno (anche conosciuto come Papà Pig) per piantare un chiodo fa un buco nella parete grande quanto una finestra. Siccome del papà ha almeno la capacità di iniziativa, munito di calce e mattoni rimette tutto a posto e trova persino il tempo di fare il bagnetto ai due piccolini.

Ebbene, chi mi conosce sa che mi sento a mio agio con una matita, una penna, o – per essere più al passo con i tempi – con tastiera e mouse. Anche macchina fotografica e videocamera sono strumenti a me familiari, e non disdegno certo scopa, aspiravolere, pentole e ferro da stiro. Eppure.

Eppure con un trapano in mano tutte le insicurezze di una adolescenza mediocre riemergono da un passato che credevo sepolto. Non fa per me, il trapano. Il trapano non ha il tasto “annulla”, non permette di fare prove o correggere errori. Con il trapano è sempre “buona la prima”, e se non è buona ti arrangi. Diciamola poi tutta: fare un buco in una parete non è che sia poi un’impresa così difficile. Prendi le misure, acquisti una posizione quanto più eretta possibile, vai. Cosa diamine potrà mai succederti?
Potrà succederti di trovare sulla tua strada un sassolino. Praticamente, ogni tre buchi che faccio a casa mia, uno è interrotto da un incontro ravvicinato con un sassolino. Nel dopoguerra i costruttori non si facevano troppi scrupoli, e per tirare su una palazzina usavano quel che avevano. Non escludo di aver incrociato anche la sagoma di un cranio risalente al mesozoico e un frammento di un armatura medievale, nelle mie attività di perforatore. E insomma, quando trova il sassolino, il giovane papà deve trovare una soluzione, un workaround, come dicono gli informatici. Già immagino alcuni saputelli tra voi che fanno spallucce, pensando: dilettante, con il mio Diamond Seek and Destroy Professional nessun sassolino avrebbe opposto resistenza. E va bene, il vostro Trapanik Kill’em All 2000 probabilmente non si lascia impressionare, il mio è sindacalizzato e di fronte ad un sasso di traverso comincia a cianciare di mansionario e indennitò e incrocia le braccia. Per cui ho dovuto estrarre il maledetto sassolino prima che mi consumasse la punta come una matita colorata, e alla fine non dico di aver fatto una finestra come Papà Pig, ma di certo avevo un buco un po’ più grande del fisher che avevo pensato di usare. Ce ne sarebbero stati tre o quattro e neppure troppo stretti.

Vista la scarsa credibilità nei confronti delle figlie della sua immagine di intellettuale (e non solo delle figlie, ahimè), il giovane papà ripensa a Papà Pig, se ce l’ha fatta quel grassone perché dovrei fermarmi io, si dota di cemento a presa rapida e risolve la questione. Ta-dah. Sono soddisfazioni.

Per la signora del piano di sotto: se un forte rumore dovesse svegliarla nella notte, non sono i ladri. È il televisore delle mie figlie che ho appeso io.

 

Il marketing ai tempi di Peppa Pig

bimbeLa mattinata di sabato scorso è stata piuttosto intensa e abbiamo sfiorato un piccolo dramma familiare, ma se non altro mi è servita per ripassare due o tre concetti di marketing che credevo di aver dimenticato.

  1. Se operi nel commercio, devi analizzare il mercato e orientarti verso la clientela le cui caratteristiche la rendono per te più vantaggiosa. Trascura quelle meno redditizie, se necessario, ma non trascurare i tuoi clienti più affidabili. in un periodo di crisi un papà può rinunciare al giornale e al caffé, ma non rinuncerà ad allietare il fine settimana di sua figlia. Per cui devi avere assolutamente le patatine con la sorpresa.
  2. Non basta; devi avere le antenne sempre alzate e captare le tendenze dell’opinione pubblica. Cioè devi avere assolutamente le patatine di Peppa Pig. Perché se ci sarà in futuro un’etichetta per il secondo decennio del secolo, sara “l’era di Peppa Pig”.
  3. Le scorte vanno riassortite in fretta, e il magazzino gestito con flessibilità e raziocinio. Se avevi le patatine di Peppa Pig la settimana scorsa, ma per qualche motivo non ce n’è più traccia mentre quelle delle tartarughe Ninja sono ancora lì, svegliati! Le tartartughe sono il passato! Devi riempire in fretta la mensola di patatine di Peppa Pig! Se possibile, riempirne un settore intero.
  4. Se hai risposto affermativamente ai punti precedenti, allora devi comunicare alla clientela la tua condizione: hai una killer application, hai le patatine di Giuseppina Maialina, diamine tutti devono saperlo.

Il marketing nel mio quartiere è materia sconosciuta. La piccola Coop non ha mai avuto le patatine in questione, e nemmeno il negozietto di stranieri (magari sono pakistani e non mangiano il maiale, e nemmeno le patatine con l’effige del maialina. Hai visto mai. No, no, non ha senso, i pakistani vendono ettolitri di vinello, se è per questo). La Coop più grande ce le aveva, ma le ha finite. La Conad (siamo arrivati fino alla Conad! Alla fine mia figlia era esausta) ha una varietà di patatine assolutamente fuori dal mercato: Sponge Bob, Monster e Co., Hello Kitty. Sconfitti, abbiamo ripiegato su quest’ultima dopo un peregrinare di oltre un’ora.
Se qualcuno sa dove trovare le maledettissime patatine di Peppa Pig, me lo dica entro sabato prossimo. Fino a 200 km di strada posso farli.

Un papà lo riconosci

alla_coopUn papà lo riconosci perché è quello che si gode il suo impianto surround 5.1 che gli è costato tanti sacrifici per ascoltare i grugniti della famiglia Pig con il ritorno del subwoofer.

Un papà lo riconosci perché è quello che non ricorda dov’è il suo portatile ma ha una mappa mentale della maggior parte dei ciucci disseminati per la casa, compreso quello nascosto per le emergenze.

Un papà lo riconosci perché è quello che da quando qualcuno lo sveglia tre volte a notte ha risolto ogni forma di insonnia da stress professionale.

Un papà lo riconosci perché è quello che cambia canale quando c’è una scena di sesso in tivù e il giorno dopo prova a recuperarla su Youtube.

Un papà lo riconosci perché è quello che alla Coop usa il carrello al contrario (per chi non l’avesse capita, guadate la foto. Ta-da, bravi bravi, adesso tornate a leggere il resto)

Un papà lo riconosci perché l’ultimo numero di telefono in agenda che una donna gli ha passato era di una babysitter.

Un papà lo riconosci perché è quello che magari esce senza cellulare e occhiali ma ha sempre le salviettine e un pannolino d’emergenza.

Un papà lo riconosci perché è quello che ha cancellato Playboy dai preferiti e l’ha sostituito con Bimbibo.

Un papà lo riconosci perché è quello per cui una punizione non è più il tiro a rientrare di Platini ma i cinque minuti in un angolo per la figlia disubbidiente.

Un papà lo riconosci perché se una volta scriveva romanzi, adesso scrive battutine su facebook; se una volta coltivava l’orto, adesso innaffia una piantina sul davanzale; se una volta leggeva giornali, adesso sbircia i titoli del Televideo. [*l’autore di questo post non ha mai coltivato l’orto, ndr]

Un papà lo riconosci perché è quello contento quando piove, perché dentro di sé pensa almeno oggi niente parco.

Un papà lo riconosci perché è quello che è tranquillo quando arriva in ufficio perché sa che lì nessuno gli nasconderà le chiavi.

Un papà lo riconosci perché è quello rannicchiato in fondo allo scivolo con le braccia aperte, in attesa che dieci chili di felicità lo riconoscano e gli si lancino contro, e tutto il resto non conta.

Tu non sei migliore di me

I genitori che picchiano i loro bambini non sono giustificabili mai e in nessun modo. Sono altri gli strumenti con cui bisogna educare.

al_parcoPerò ammetto sinceramente che qualche volta uno schiaffetto sul popò mia figlia se l’è preso, soprattutto quando disubbidendo mette a repentaglio la sua incolumità e quella degli altri. Lo so, è una sconfitta educativa, ma siccome sono stato un bambino vivace che ne ha buscate, dico anche che non è certo lo schiaffo a fare male (anche perché mia madre, come me, non era certo violenta) ma la teatralità dell’atto, l’umiliazione che sottolinea l’errore commesso e la punizione eseguita senza processo. Ci sono punizioni più efficaci (l’angolo della punizione, niente cartoni per un giorno, eccetera) ma nessuna, nella sua rapidità d’esecuzione, è così fulminante.
E io ancora ricordo bene quelle occasioni in cui ho preso uno schiaffo sul popò, mia madre mi ha anche raccontato che una volta le risposi: approfitta pure finché sono piccolo, perché quando sarò grande potrò darti le botte anch’io. E ripeto ancora, non si fa, ed è giusto che tutti lo ripetano.
Quello che non tutti ripetono è che però anche la situazione opposta è da evitare. Bambini che tiranneggiano i genitori, li umiliano in pubblico, impongono le loro scelte ad adulti che blaterano di scelte pedagogiche…Cosa cosa?
Bimbetto grassoccio (i bimbi odiosi sono sempre grassocci) si ostina ai giardini pubblici a salire sullo scivolo “contro mano”, e così facendo impedisce a tutti gli altri di giocare correttamente. Quando qualche genitore finalmente interviene a destituire il bullo sotto gli occhi della madre che giochicchia con lo smartphone, ecco che l’impiastro esplode in pianto, e la pedagoga dei miei stivali balbetta qualcosa sul fatto che, caro FilibertoTigerGiglio (i bimbi odiosi hanno sempre nomi demenziali) stasera dovremo affrontare il tema della gestione incontrollata della tua aggressività.
Stasera affronterete il tema? Cosa fate, una tavola rotonda con gli esperti? C’è un programma da seguire o improvvisate? Posso venire anch’io o è su invito? Tu devi ringraziare, abietto rifiuto di un lassismo rammolito da apericene e brunch, che io sia in grado di controllare la mia, di aggressività, altrimenti tuo figlio starebbe appeso all’albero per i lacci delle scarpe, giusto per vedere se così un po’ di sangue arriva al cervello e qualcosa si mette in funzione.

Io sbaglio quando sono troppo severo con mia figlia se vedo che non rispetta la fila e prova a passare avanti agli altri, ma tu, tu, abominevole rigurgito di un libertinaggio da inserto domenicale, che chiaccheri amabilmente con le amiche mentre tuo figlio sotto i tuoi occhi gioca a lanciare sassi contro le persone che passano, cercando di colpirle in faccia, tu non sei migliore di me.

E già di vedo difenderlo a spada tratta contro gli insegnanti che si lamenteranno che il bambino è maleducato, perché la colpa è la loro, incompetenti, che non sono in grado di modellare la sua creatività, già ti vedo consolarlo perché non trova un impego adatto alle sue capacità perché la colpa è sempre delle aziende che assumono solo gli amici, già ti vedo affrontare il tema della sua insoddisfazione da quarantenne disoccupato, perché la colpa è dello Stato che non ha saputo garantirgli le giuste opportunità. Se un giorno tuo figlio andrà ad ingrossare le fila di falliti che la colpa è degli stranieri, delle scie chimiche, del complotto sionista, portando al successo partiti che approfittano della rabbia di derelitti come lui, ecco, quel giorno ricordati che sullo scivolo non si sale contromano, e che avresti dovuto insegnarlo a tuo figlio al momento giusto.

Tutti in campo, papà

Campo di calcioIl giovane papà generalmente fatica a trovare spazi adeguati alla attività sportiva, e non mi riferisco soltanto alla cyclette nascosta dietro l’armadio o al tappettino per gli addominali riposto in cantina. Ciò nonostante sa fare tesoro di quanto appreso negli anni felici in cui non aveva idea di quante taglie diverse di pannolini esistono in commercio. Vediamo una rapida rassegna di questi saperi da riscoprire all’occorrenza:

  • Marcamento a uomo. Oggettivamente, questo è il più scontato. Il figlioletto lo devi marcare come il più temibile dei fantasisti, quello che approfitta di un momento di distrazione per ridicolizzarti davanti alla squadra. Fuor di metafora, questo stile di gioco prevede di non perdere mai il contatto fisico con il piccolo, intervenendo spesso per frenarne le idee potenzialmente distruttive, mortificarne l’inventiva in termini di nuovi pericoli da sperimentare, far sentire di tanto in tanto i tacchetti tanto per ricordargli che lo stopper è lì e non lo molla.
  • Marcamento a zona Il problema del marcamento a uomo, Ça va sans dire, è che va in crisi quando i figli sono due. Allora si passa alla zona, che però richiede freschezza atletica e riflessi allenati. In questi casi per il difensore non c’è un attimo di pace, i suoi muscoli tesi devono scattare al primo segnale: mentre si impedisce ad una figlia di ingoiare un sassolino bisogna essere pronti a slanciarsi verso l’altra che prova fino a quanto può reggere l’altalena. In questo caso, il divide et impera di tradizione romana non vale: al contrario, i figli devono stare il più vicino possibili per ridurre la zona in cui il papà deve rimbalazare come uno yo-yo in mano ad un parkinsoniano sulle molle elastiche. Fa sempre comodo, in ogni caso, intervenire con la classica diagonale: intervento trasversale con il quale contemporaneamente si infila una figlia nel passeggino e, in scioltezza, si va a impedire all’altra di infilarsi un bastoncino in un occhio buttandolo in rimessa laterale, ehm, pardon, buttandolo lontano.
  • Scivolamento Lo scivolamento è quel movimento laterale con cui, nel basket, il difensore taglia la strada all’avversario frapponendosi tra lui e l’obiettivo. Avete mai visto i giocatori di pallacanestro muoversi come le Bangles in “Walk Like an Egyptian”?  L’idea è quello. Lo scivolamento è ottimo per bloccare l’accesso alla porta di casa, verso cui il figlioletto è sempre pronto alla fuga, ma anche per impedire l’accesso al computer portatile incautamente lasciato incustodito sul divano o più semplicemente per difendere l’ultimo lecca-lecca dalle mire della prole. Da non confondere lo scivolamento, che è un lavoro strategico metodico e lungo, con il tagliafuori, che invece è impulsivo, legato a fattori contingenti, tattico. Il tagliafuori è quella zampata con cui blocchi all’ultimo momento l’accesso al balcone, visto che sta diluviando, oppure fermi sul nascere una rissa tra la piccola e la bimba che le contende lo scivolo che c’ha il papà che scarica i camion al mercato ortofrutticolo (non scarica la merce dal camion, scarica direttamente i camion, reggendoli in spalla).
  • Palla accompagnata Nella palla a volo si accompagna la palla quando anziché indirizzarla con un colpo secco la si sposta con la mano aperta, come succede nella palla a nuoto. Si tratta insomma di un colpo illegale, ma che se funziona dà risultati sicuri: sono parenti vicini i passi nella pallacanestro, il fallo di mano nel calcio. Uno ci prova, se va bene è un punto sicuro, se non va certo non si rischia l’esplusione. Il giovane papà ricorre continuamente a questi falli tattici. Quando per esempio sostiene di non avere i soldi per lo zucchero filato, anche se ha appena prelevato dal bancomat. Quando dice di non trovare il dvd di “Barbie la principessa e la povera” che ha rivisto 15 volte (senza peraltro aver mai capito come diavolo va a finire perché le figlie si addormentano e si stancano prima e lui si vergogna di vederlo da solo). Non abbiate remore di questi innocui interventi ai limiti del regolamento. Le mamme sono molto più audaci nell’infrangere le regole, come quando comprono l’ennesimo pacchetto di figurine ma poi “non dirlo a quel taccagno di papà”, oppure quando strizzano l’occhiolino alle piccole alle quali hanno comprato un completo che costa da solo più di quanto il papà abbia speso per vestirsi negli ultimi cinque anni, tanto a quel tontolone racconteremo che era in saldo. Altro che fallo di mano: le mamme segnano usando tutte e due le mani per spingere il pallone in porta, e se l’arbitro fischia lo espellono e lo sostituiscono con uno compiacente.

Coraggio, giovani papà, per ora può bastare. Se permettete, vado a vedere come finisce “Barbie la principessa e la povera”.