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Babbo Natale e il diritto di recesso

Per Babbo Natale si avvicinava un altro gennaio di duro lavoro. Com’erano lontani i tempi in cui, rientrato al Polo Nord dopo la notte del 25 dicembre, poteva godersi una meritata vacanza!

Caro Babbo Natale, la maglietta che mi hai portato non si abbina bene al colore dei miei capelli, ti chiedo di sostituirla al più presto con quella di cui ti mando una foto.

Caro Babbo, la tua auto radiocomandata ha un raggio di azione di pochi metri. La consegnerò ai tuoi elfi, ti prego di cambiarla con una con un radiocomando più potente.

Caro Babbo, l’abbonamento alla pay-tv dura solo sei mesi, io te ne avevo chiesti almeno 12. Mi mandi il codice per il rinnovo automatico?

Non c’erano solo il diritto di recesso e le richieste di reso. I bambini che gli scrivevano erano sempre meno numerosi, ma le richieste sempre più complesse da realizzare. C’era la ragazzina che voleva un documento allegato sottoscritto in cui Santa Claus dichiarava che nessun elfo con meno di 160 anni era stato impegnato nella produzione del giocattolo; quello che gli rimandava indietro il maglione di cachemire perché non voleva essere partecipe dello sfruttamento di poveri animali indifesi; quell’altro che si lamentava perché i giocatori del biliardino erano rossi e blu, mentre nessuno mostrava una etnia africana.

Per non parlare del numero crescente degli infortuni: l’anno precedente gli avevano sparato addosso quindici volte. Un vecchio rancoroso non solo non si era scusato, ma aveva ribadito che Babbo Natale non avrebbe preso una pallottola nel calcagno, se non avesse invaso la proprietà altrui. L’associazione patriottica Padroni In Proprietà Private Esclusive l’aveva diffidato dal ripresentarsi nel quartiere di villette a schiera che si distendevano tra magazzini e capannoni. Da quelle parti i forestieri erano tollerati solo se lavorano molto e parlavano poco! E quel vecchio con la slitta volante aveva tutta l’aria di essere il solito tassista, non del mare ma del cielo. Becero trafficante di esseri umani, chissà quanti clandestini nascondeva in quel sacco!

Oltre tutto non aveva completa disponibilità delle renne, perché doveva consegnarle alla Befana per il 6 gennaio. La commissione per le pari opportunità, infatti, gli aveva inflitto una multa pesante. L’uomo trainato da una slitta con le renne, e la donna in groppa a una scopa? Questo è patriarcato!

E meno male che le renne gliele avevano lasciate: una commissaria voleva sostituirle con un aeroplanino elettrico, più ecosostenibile.

Davvero valeva la pena continuare a donare, in un mondo in cui nove bambini non avevano latte e il decimo prima di bere controllava che le percentuali di lattosio non superassero i valori di soglia? Babbo Natale sospirò sconsolato. Non sempre comprendiamo il senso del viaggio, ma non per questo dobbiamo fermarci.

Prima di partire, però, controllò bene che il sacchettino in cui raccoglieva i bisognini delle renne fosse ben saldo. Gli sarebbe servito a concimare il Natale dell’associazione P.I.P.P.E (“Padroni In Proprietà Private Esclusive”) e magari anche a rassicurare con una prova fumante la commissaria ecologista, preoccupata per l’impronta climatica delle sue renne.

Buon Natale!

Godetevi questa vita, se non vi piace non ce la sostituiranno con un’altra.  

Prima noi

[In chiesa]

Non penserà certo di sedersi qui, eh? Siamo già abbastanza stretti. Poteva svegliarsi prima. Poteva arrivare in orario, o in anticipo. Poi, chissà da dove viene? Non mi pare nemmeno di riconoscerlo. Magari non è nemmeno della nostra parrocchia. Io di sicuro non mi faccio più in là, se ne stia in piedi in fondo alla navata.  Ecco, lì, lì davanti c’è un posto. Ah, no, ora che guardo meglio, quel posto è occupato da Concetta, sicuramente lo terrà per il nipote che arriva sempre un po’ in ritardo. D’altronde, se Concetta è arrivata al momento giusto, avrà pure il diritto di riservare il posto per il nipote, no?

[Sull’autobus]

Che salti la fermata, l’autista, non vede come siamo ammassati uno sull’altro? Non è mica colpa nostra se l’autobus è così pieno. Dovrebbero passarne di più. Ecco, li vedo, pretendono di salire, si avanti c’è posto dicono loro, che vadano loro avanti allora, io di qui non mi muovo, ma figurarsi. Non c’è più rispetto. Aspetteranno la prossima corsa. O faranno un po’ di strada piedi, non è che adesso tutto il mondo debba salire proprio su questo autobus perché loro hanno deciso di prenderlo proprio adesso. Ma tu guarda che mondo.

[Al centro sociale]

L’abbiamo costruito noi, questo posto, io me le ricordo bene le pesche di beneficenza, e la fatica che abbiamo fatto a svuotare cantine, e le collette. L’abbiamo costruito con il sudore della nostra fronte, e quanto ci siamo battuti per averlo dal Comune! Non è stato facile, proprio per niente. Abbiamo dovuto convincere sindaco e assessori, e tutto il tempo che abbiamo trascorso per imbiancare, e sistemare le sedie. Me la ricordo ancora la festa di quando portammo qui il primo mangiadischi. E adesso? Adesso dovremmo condividerlo? Vorrebbero fare dei corsi di italiano, dice quel funzionario con la puzza sotto il naso che ha il coraggio di ricordarci che questa è una sala pubblica? Certo che lo sappiamo, questa è la nostra sala pubblica. E i loro corsi di italiano se li facciano a casa loro. Noi abbiamo i nostri balli di gruppo, la sala ci serve. Ma insomma.

Non siamo razzisti, siamo solo un po’ s****zi.