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No, anche il derby no

Io non lo so cos’è che spinge noi tifosi di calcio a continuare a soffrire, gioire, cantare, esultare e deprimerci per 22 giovanotti in mutandoni che rincorrono un pallone. Soprattutto dopo che ci siamo resi che spesso quei giovanotti buttano al vento milioni di euro, sono pessimi esempi dal punto di vista umano ma soprattutto sportivo, non hanno nessun attaccamento ai colori che indossano ma solo quello ad un contratto e alle remunerazioni collegate.

Ma tant’è, sono professionisti, se uno vuole la passione va a seguire i campionati di dilettanti dove odontotecnici e ragionieri se le suonano di santa ragione la domenica pomeriggio solo per il gusto di rincorrerre un pallone. Però un professionista è lautamente pagato per vincere, o almeno provarci. Non può chiedere 250 mila euro per fare gol nella propria porta, è qualcosa di intollerabile, impensabile, al di là di ogni soglia di ribrezzo. In un derby, poi! Secondo le ingagini della magistratura alcuni giocatori del Bari si sarebbero venduti per far vincere il Lecce. Si tratta di una profanazione indicibile, impensabile, come imbrattare con lo spray il Cenacolo di Leonardo o far squillare il cellulare alla prima della Scala e parlare ad alta voce con il cugino che chiede un consiglio sull’automobile usata da acquistare.

Non si fa, punto, non è immaginabile. E se pure come tifoso del Taranto potete immaginare quanta simpatia provi per il Bari (in Puglia tutti odiano il Bari tranne i baresi: quelli di città, perché spesso lo odiano pure quelli della provincia), in questo momento mi sento vicino agli amici baresi che sanno che la loro squadra si è venduta un derby.
Ci vorrà un bel po’ per smacchiare il Cenacolo da una traccia del genere, sempre che poi ne valga la pena: sospetto che ci siano altre centinaia di giocatori con lo spray in mano pronti a vendersi al miglior offerente.
Quasi quasi me ne vado a vedere ragionieri e odontotecnici nei campetti di periferia. Anzi, vado a giocare con loro, e al limite ci scommettiamo la pizza e la birra a fine partita.

Scommettiamo che…

La prima volta successe che avevo dieci anni, e da alcune immagini emerse che il Taranto, il mio Taranto, si era venduto una partita contro il Padova: tanto erano già retrocessi, tanto valeva arrotondare per le vacanze estive. Otto anni dopo (1993) ricordo di un’inchiesta per un’incredibile vittoria esterna del Taranto che si salvò all’ultima giornata dopo un’altra inattesa vittoria in casa contro il Pescara.
E c’ero in tribuna di fronte a quell’inutile 0-0 contro il Catania che ci impedì, nel giugno 2002, di ritornare in serie B, e anche di questa partita si parlò a lungo perché l’impressione che non tutti i giocatori del Taranto giocassero per vincere fu forte.
Ritorna il calcioscommesse, e noi ci finiamo come al solito dentro, per comprare o vendere partite poco cambia. Ovviamente sono ancora indagini per cui vale la pena aspettare prima di trarre le conclusioni, e magari osservare cosa fa la squadra in campo domani nella semifinale contro l’Atletico Roma.

Certo però che in certi momenti mi sento un personaggio di un feuilleton ottocentesco che si innamora di una donna di facili costumi, e per quanto si sforzi di convertirla, di farla sentire amata, di portarla sulla buona via, si ritrova continuamente tradito.

E come me le migliaia di tifosi “amanti del Taranto”. Speriamo che non ci faccia cornuti un’altra volta, ad essere mazziati siamo ormai abituati