Archivi tag: sport

Dieci cose che so sul calcetto

In questi giorni di pandemia sto leggendo tante, troppe inesattezze sullo sport che è ragione di vita per tanti impiegati sovrappeso.
È arrivato il momento che io scriva le dieci cose che so sul calcetto.

Calcetto1. Se il calcetto è fatto bene rischi malattie veneree, altro che Covid
2. In una vera partita di calcetto ci sono droplet grandi quanto l’Isola d’Elba
3. La marcatura a zona è roba per omofobi
4. Dopo i quarant’anni intercettare la palla è da maleducati
5. Dieci uomini che tornano a casa senza doccia possono fare saltare le centraline Arpae nel raggio di chilometri
6. Prima di sanificare i guanti dei portieri occorrerebbe sanificare i portieri, e vi assicuro che non è facile per niente
7. Sulle canotte colorate ci sono tracce di microorganismi che gli scienziati credevano estinti dopo il Mesozoico
8. La scivolata è vietata nel calcetto (no, non ridete, questa è vera)
9. Impedire a un attaccante di starsene disteso per terra, a guaire, fino a quando non gli viene assegnato il rigore vuol dire offendere la sua sensibilità
10. A noi non serve il tampone. Con i riflessi calanti che ci ritroviamo, noi ci tamponiamo già decine di volte a partita.

Cortili

Era il Maracanà esaurito in ogni ordine di posti dove vinsi la Coppa Intercontinentale con il Taranto, segnando di testa, in rovesciata e persino di tacco. Era la tana dei gangster dove alla guida della mia squadra di agenti speciali sventrai le organizzazioni criminali consegnando alle patrie galere i miei nemici giurati. Era il pianeta azzurro (o forse lillà, i colori non sono mai stato il mio forte) dove atterrai con la mia astronave riorganizzando la rivolta contro l’impero di Mingor e i suoi druidi assassini.

in_moto_con10lire

Era il cortile di casa mia.

Se devo identificare un luogo della mia infanzia, non avrei dubbi nell’indicarlo. Complice una fantasia ipertrofica, in quel cortile ho trascorso intere giornate, vivendo avventure mozzafiato di cui ero regista, interprete e unico spettatore. Quando qualcuno mi vedeva saltare, gridare o addirittura prendere a calci palloni immaginari, chiedeva a mia madre se andava tutto bene, e lei sì, rassicurava che quel figlio non era affatto matto, non del tutto almeno, solo giocava in maniera piuttosto originale.

Crescendo ho affiancato alla fantasia una serie di discipline sportive reali: ciclismo – con i miei cugini e i mie fratelli giravamo in tondo quel cortile per giornate intere, e vinceva chi metteva i piedi per terra per ultimo – calcio – la porta era sotto la finestra di mia sorella, ma quando studiava non si potevano chiudere le persiane e quindi toccava tirare solo rasoterra – pallacanestro.

Come nelle migliori tradizioni hollywoodiane, mio padre assecondò la mia passione mettendo un canestro in cortile. Solo che il cortile era un po’ sghembo, per  cui ero bravo a tirare da fuori da sinistra, mentre da destra potevo riuscire solo con il sottomano. E però dovevo giocare con un ridicolo Super Santos, troppo leggero, perché le piante di mia nonna soffrivano troppo i rimbalzi di un vero pallone da basket.

E poi ancora in quel cortile hanno visto la luce piste per le gare di ciclotappo, epiche sfide con le biglie, persino partite di pallavolo (alle ragazze piaceva). Era in quel cortile che mio padre installava il suo enorme plastico per treni elettrici, e rimaneva deluso nel rendersi conto che non mi entusiasmava vedere il treno girare in circolo e preferivo mettere un po’ di pepe alla sceneggiatura lasciando una macchinina bloccata sul tragitto e guardandolo deragliare.

Se c’è un frustrazione che provo come giovane papà è il fatto di non poter dare alle mie figlie un cortile. Negli appartamenti non ci sono. Alcuni hanno il giardino, altri uno spazio condominiale, ma un cortile è un’altra cosa. A Bologna i cortili sono quei giardini meravigliosi all’interno di palazzi signorili dove si affacciano studi notarili e cliniche odontoiatriche per vip,  e dove un bambino con una palla verrebbe allontanto con male parole e rinchiuso in riformatorio, in caso di recidiva.

Per fortuna per ora per Natale mi hanno chiesto bambole, pupazzi e altri regali prevedibili. Se un giorno mi dicessero: papà, vorrei un cortile, sarei costretto ad ammettere che Babbo Natale non può permetterselo.

Quarantenni in pantaloncino

dscA vent’anni vai al campo di calcetto in bici, con in tasca i soldi per pagare e un asciugamano sulla spalla.
A quaranta ci vai in auto, con un borsone con accappatoio, shampo, balsamo, crema idratante, phon, pantofole, cambio e cambio di riserva, bevande reidratanti.

A vent’anni speri che quella liceale carina passi per caso e osservi le tue gesta calcistiche.
A quaranta non ti muovi da casa prima di esserti accertato che il campo è in estrema periferia, isolato dal centro abitato e in posizione tale che nessuno, a parte gli altri nove in campo, possa vederti in pantaloncino.

A vent’anni difendi e attacchi con impeto e foga.
A quaranta ti difendi dai calcioni involontari di compagni sovrappeso e l’unica cosa che speri di attaccare è la massa grassa.

A vent’anni ti leghi i capelli per evitare che cadano davanti ai tuoi occhi.
A quaranta ti leghi il ginocchio per evitare che cada davanti ai tuoi occhi e a quelli dei compagni di squadra.

A vent’anni hai un idolo professionista, un campione che cerchi di imitare.
Anche a quaranta hai un idolo professionista, un campione che cerchi di imitare, solo che ormai fa l’allenatore o il commentatore sportivo.

A vent’anni giochi con scarpe da tennis scucite, una maglietta scolorita e un pantaloncino con l’elastico troppo largo.
A quaranta hai un completo originale, scalda muscoli, parastinchi e scarpe diverse a seconda del terreno di gioco.

A vent’anni devi proteggerti da tua madre che preferirebbe vederti a casa a studiare.
A quaranta devi proteggerti da tua moglie che preferirebbe vederti a casa a stirare.

A vent’anni si gioca finché non suona la campanella, anzi finché non ci cacciano.
A quaranta dopo un quarto d’ora c’è già il primo che ha domandato: quanto manca?

A vent’anni pensi che il meglio debba ancora venire.
A quaranta sai già che il meglio è già passato.

Ma nonostante tutto il quarantenne non molla, perché in fin dei conti è solo un ventenne che ha raddoppiato la posta.

PS. Se riesco ci vediamo la settimana prossima, ma se piove non rompete che sapete già che non gioco.

Tutti in campo, papà

Campo di calcioIl giovane papà generalmente fatica a trovare spazi adeguati alla attività sportiva, e non mi riferisco soltanto alla cyclette nascosta dietro l’armadio o al tappettino per gli addominali riposto in cantina. Ciò nonostante sa fare tesoro di quanto appreso negli anni felici in cui non aveva idea di quante taglie diverse di pannolini esistono in commercio. Vediamo una rapida rassegna di questi saperi da riscoprire all’occorrenza:

  • Marcamento a uomo. Oggettivamente, questo è il più scontato. Il figlioletto lo devi marcare come il più temibile dei fantasisti, quello che approfitta di un momento di distrazione per ridicolizzarti davanti alla squadra. Fuor di metafora, questo stile di gioco prevede di non perdere mai il contatto fisico con il piccolo, intervenendo spesso per frenarne le idee potenzialmente distruttive, mortificarne l’inventiva in termini di nuovi pericoli da sperimentare, far sentire di tanto in tanto i tacchetti tanto per ricordargli che lo stopper è lì e non lo molla.
  • Marcamento a zona Il problema del marcamento a uomo, Ça va sans dire, è che va in crisi quando i figli sono due. Allora si passa alla zona, che però richiede freschezza atletica e riflessi allenati. In questi casi per il difensore non c’è un attimo di pace, i suoi muscoli tesi devono scattare al primo segnale: mentre si impedisce ad una figlia di ingoiare un sassolino bisogna essere pronti a slanciarsi verso l’altra che prova fino a quanto può reggere l’altalena. In questo caso, il divide et impera di tradizione romana non vale: al contrario, i figli devono stare il più vicino possibili per ridurre la zona in cui il papà deve rimbalazare come uno yo-yo in mano ad un parkinsoniano sulle molle elastiche. Fa sempre comodo, in ogni caso, intervenire con la classica diagonale: intervento trasversale con il quale contemporaneamente si infila una figlia nel passeggino e, in scioltezza, si va a impedire all’altra di infilarsi un bastoncino in un occhio buttandolo in rimessa laterale, ehm, pardon, buttandolo lontano.
  • Scivolamento Lo scivolamento è quel movimento laterale con cui, nel basket, il difensore taglia la strada all’avversario frapponendosi tra lui e l’obiettivo. Avete mai visto i giocatori di pallacanestro muoversi come le Bangles in “Walk Like an Egyptian”?  L’idea è quello. Lo scivolamento è ottimo per bloccare l’accesso alla porta di casa, verso cui il figlioletto è sempre pronto alla fuga, ma anche per impedire l’accesso al computer portatile incautamente lasciato incustodito sul divano o più semplicemente per difendere l’ultimo lecca-lecca dalle mire della prole. Da non confondere lo scivolamento, che è un lavoro strategico metodico e lungo, con il tagliafuori, che invece è impulsivo, legato a fattori contingenti, tattico. Il tagliafuori è quella zampata con cui blocchi all’ultimo momento l’accesso al balcone, visto che sta diluviando, oppure fermi sul nascere una rissa tra la piccola e la bimba che le contende lo scivolo che c’ha il papà che scarica i camion al mercato ortofrutticolo (non scarica la merce dal camion, scarica direttamente i camion, reggendoli in spalla).
  • Palla accompagnata Nella palla a volo si accompagna la palla quando anziché indirizzarla con un colpo secco la si sposta con la mano aperta, come succede nella palla a nuoto. Si tratta insomma di un colpo illegale, ma che se funziona dà risultati sicuri: sono parenti vicini i passi nella pallacanestro, il fallo di mano nel calcio. Uno ci prova, se va bene è un punto sicuro, se non va certo non si rischia l’esplusione. Il giovane papà ricorre continuamente a questi falli tattici. Quando per esempio sostiene di non avere i soldi per lo zucchero filato, anche se ha appena prelevato dal bancomat. Quando dice di non trovare il dvd di “Barbie la principessa e la povera” che ha rivisto 15 volte (senza peraltro aver mai capito come diavolo va a finire perché le figlie si addormentano e si stancano prima e lui si vergogna di vederlo da solo). Non abbiate remore di questi innocui interventi ai limiti del regolamento. Le mamme sono molto più audaci nell’infrangere le regole, come quando comprono l’ennesimo pacchetto di figurine ma poi “non dirlo a quel taccagno di papà”, oppure quando strizzano l’occhiolino alle piccole alle quali hanno comprato un completo che costa da solo più di quanto il papà abbia speso per vestirsi negli ultimi cinque anni, tanto a quel tontolone racconteremo che era in saldo. Altro che fallo di mano: le mamme segnano usando tutte e due le mani per spingere il pallone in porta, e se l’arbitro fischia lo espellono e lo sostituiscono con uno compiacente.

Coraggio, giovani papà, per ora può bastare. Se permettete, vado a vedere come finisce “Barbie la principessa e la povera”.

Se non guardi vincono

(c) www.stabiachannel.it

E’ il sabato santo, c’è aria di bontà nell’aria, la primavera si affaccia invitante. Il giovane papà decide di rinunciare all’incontro televisivo JuveStabia -Taranto per portare fuori la figlia.
D’altronde quest’anno ha già assistito a partite di commovente bruttezza, autentici de prufundis per il gioco del calcio quali Andria-Taranto, Barletta-Taranto, Gela-Taranto Foligno-Taranto, partite talmente noiose da far apparire eccitante una televendita di bigiotteria. Incotri di calcio che sarebbe meglio seguire per radio, così almeno ti risparmi rl’inquadratura della gente che sbadiglia sulle tribune guardando l’orologio. Per cui in fondo il papà rinuncia a cuor leggero, a Castellammare, contro una squadra forte e in forma, il Taranto metterà in mostra il solito gioco inconcludente in grado di annoiare però anche l’avversario che stordito si accascia nel solito 0-0.
E invece? Invece il Taranto vince 3-0. In trasferta. Faccio notare che finora il Taranto aveva vinto in trasferta una sola volta, e con un solo gol di scarto (segnato a Lucca nei primi minuti prima della solita discesa nel ritmo catacombale). E invece di gol ne fa tre. Non che al giovane papà dispiaccia, per carità, l’importante è vincere. Ma dopo sette 0-0, proprio il giorno che esco dovevate svegliarvi?