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Canale 5? No grazie, Rai 5

Tra le conseguenze dell’abbondanza bulimica del digitale terrestre (vediamo quanto durerà: anche trent’anni fa c’erano tante emittenti private, poi ne sono rimaste solo tre con i risultati nefasti che conosciamo) c’è anche il fatto che si corre il rischio di perdersi in mezzo a tanti canali.

Trascurando quelli devoti al telemarketing e a poco altro, sono infatti apparsi nuovi canali interessanti prima disponibili solo via satellite: Rai News, che trasmette il miglior telegiornale, Rai Movie, che trasmette solo film, Rai Gulp e Rai Yo Yo, che trasmettomo programmi per ragazzi e cartoni per i più piccini, Rai Premium dedicato alle fiction. E poi i nuovi canali telefilm di Rai 4 e la cultura di Rai 5. Senza contare la valida programmazione di Cielo, Dee-Jay Television, Repubblica Tv e una serie di nuovi canali Mediaset (l’unico valido è tuttavia Iris, anch’esso dedicato al cinema).

Insomma, il digitale terrestre rimane povero dal punto di vista dell’interattività (vi ricordate Gasparri che diceva che con il digitale sarebbe stato possibile richiedere servizi comunali o comprare biglietti?) ma se non altro abbonda nell’offerta. Qualcosa è cambiato, da quando scrissi questo post.

Siccome c’è sempre qualcuno pronto a offrirsi di pensare per noi, i soliti noti hanno inventato la programmazione automatica. Con la compiacenza dei produttori di televisori e decoder, basta schiacciare un tasto e tutti i canali vanno in ordine. Quale ordine? Quello di Raiset, ovviamente, il duopolio che pensa per noi da vent’anni. Addirittura per alcuni televisori non c’è alternativa, o prendi la loro lista o niente. Per fortuna io ho avuto la possibilità di scegliere. E al tasto 4 ci ho messo Rai 4, al tasto 5 Rai 5, spostando Rete 4 dove merita (tasto 24).

PS Per ora Italia Uno è al 26, ma in tutta sincerità ammetto che potrebbe guadagnare posizioni. Sia perché trasmette i Simpsons, sia perché è l’unico canale finora a trasmettere film e telefilm in lingua originale (basta schiacciare sul tasto audio del telecomando, se non lo sapevate).

Scrivi con lo scrittore

Si chiama "Scrivi con lo scrittore" l’iniziativa dell’associazione "Libri e dintorni", realizzata con il patrocinio del Comune di Bologna e del Quartiere Reno, che prevede una serie di appuntamenti con scrittori locali e non.
Ogni serata prevede la lettura di alcuni brani del testo selezionato con l’accompagnamento musicale di chitarra, flauto, tastiere, oltre al confronto con l’autore stesso guidato da Ettore Bianciardi, docente ed intellettuale bolognese. Ma la vera novità, rispetto ad altri appuntamenti letterari, è che i partecipanti potranno essi stessi cimentarsi nella scrittura: ogni sera infatti lo scrittore ospite proporrà un incipit di un racconto. Chi vorrà potrà proseguire il racconto e farlo pervenire ad una giuria: per i migliori ci sarà la soddisfazione di vedere pubblicato il proprio lavoro in una raccolta di successiva pubblicazione.

Mercoledì 31 marzo presenterò il romanzo "Ballata in sud minore", edito da Zerounoundici Edizioni. Il romanzo è caratterizzato dagli elementi tipici del romanzo adolescenziale di formazione, posti in un contesto tutt’altro che edulcorato, e cioè la provincia di Taranto dei primi anni novanta. Uno stile che non rinuncia all’umorismo per raccontare un ambiente difficile in cui le passioni giovanili dei protagonisti si intracciano con la crisi industriale, l’inquinamento, la criminalità. Temi purtroppo ancora estremamente attuali a vent’anni di distanza dalle vicende raccontate.
Appuntamento mercoledì 31 marzo alle 21 presso la Sala Falcone e Borsellino di via Battindarno 123 a Bologna, ingresso libero. http://www.scriviconloscrittore.org/

Siamo salvi. Da che?

Il Taranto si è salvato e rimane in C1 (o come cavolo si chiama adesso) con la beffa di vedere i cugini del Gallipoli salire nella serie superiore (complimenti) mentre noi continuiamo a rosicare.
Pensando ai tifosi ventenni che gioivano in curva a Sorrento, ho pensato: porca miseria, molti di loro non hanno mai visto il Taranto in serie B. A parte quelli che allo stadio ci andavano nel carrozzino accompagnati da papà, e quelli che la serie B l’hanno vista in videocassetta.
Mamma mia.
Non c’è niente da fare, c’è chi passa dalle stelle alle stalle (penso agli amici di Messina, dalla serie A ai dilettanti), chi vince sempre (le squadre milanesi e la Juve) chi galleggia in una lunga, ossessiva, morbosa mediocrità. Indovinate in quale categoria siamo noi tifosi del Taranto. Dite che dovremmo avvisare quei ventenni in curva? E perché mai. Al limite saranno loro a spiegarlo, fra vent’anni, ai loro figli. Sempre che questi ultimi non tifino Milan, Inter o Juve: più facile e, diciamolo, anche più appagante.

Nostalgia di pixelloni

Nell’era delle immagini ad alta risoluzione, delle fotocamere da milioni di pixel e delle televisioni larghe un metro e mezzo, ieri sera mi sono riscoperto quasi commosso di fronte all’ultimo baluardo degli anni ottanta che ancora sopravvive: il televideo. Nemmeno la versione per il digitale terrestre, più accurata graficamente ma lenta e macchinosa, e riuscito a spodestare quel sistema che da vent’anni rappresenta per molti italiani l’unica lettura giornaliera. Certo però che la grafica è veramente da archeologia: l’immagine che mi ha colpito infatti avrebbe dovuto rappresentare una ragazza (purtroppo i televideo delle emittenti locali sono infarciti di pubblicità di telefoni erotici, fatucchiere e taroccanti). E che ragazza! Quadro cubi inclinati a disegnare le labbra, con un livello di dettaglio che in confronto un mosaico bizantino è un full HD, un unico colore per il viso, rosa, con meno sfumature di un punto croce. Però il televideo sopravvive consapevole, e forse un po’ orgoglioso, dei suoi limiti che non ne precludono il successo.

Vent’anni fa

Quando ripenso ai miei 13 anni, a quell’età in cui ti svegli al mattino un po’ diverso da com’eri quando sei andato a coricarti, in cui le energie ti esplodono e senti il modo ai tuoi piedi, salvo crollare in depressione per un brufolo, ebbene, quando penso ai miei tredici anni, mi vengono in mente alcune immagini.
Il gol di Van Basten agli europei, uno dei più belli di sempri.
I fratelli Abbagnale alle olimpiadi di notte (scomodo fuso orario di Seul, ci toccherà anche a Pechino).
Un campo scuola estivo a Ostuni, gli esami di terza media, i giochi della gioventù, Indietro tutta in tivù.
Ma soprattutto Sabrina Salerno e i suoi video che scuotevano quell’energia di cui sopra.
Oggi Sabrina compie 40 anni e in tivù non ce n’è (comprensibilmente) più traccia: ma i tredicenni di allora ricordano e ringraziano con affetto, e rivolgono gli auguri alla pop-star più effimera e indelebile di tutti i tempi.

40 anni di Beatles

Quella del 68 è stata un generazione che ha avuto il merito di conquistare il dominio culturale "generazionale" sui loro genitori ed il demerito di non mollarlo più nè per i figli, nè, ormai, per i nipoti.
Quando parlo di dominio culturale mi riferisco alla capacità di conquistare spazio sui media, nella politica, nell’arte, in modo da imporre i propri gusti: i sessantottini smontarono secoli di musica "alta" e ci piazzarono i Beatles, trasformando in musica d’elite persino quei generi, come il jazz, nati nei ghetti poveri. Dopo vent’anni hanno cominciato con il revival, disprezzando la musica anni 80 dei loro figli (musica commerciale, musica vuota, musica usa e getta, vuoi mettere John Lennon).  Vi ricordate i vari "Vent’anni dopo", "Sapore di mare", "Una rotonda sul mare"? Ora, quarant’anni dopo, uno potrebbe pensare che c’è stato un ricambio generazionale, che magari si ripropongono i programmi nostalgici, ricordando gli anni ottanta. Macché.
Sempre e comunque Beatles, di cui si festeggiano il quarantennale dell’uscita si Sgt.Pepper, sempre e comunque noi si che sapevamo vivere, noi sì che abbiamo cambiato il mondo, noi si che ci sapevamo fare. Ma basta! I Beatles sono stati un grande gruppo, ma questo non vuol dire che David Bowie, Queen, U2 e Rem (i primi che mi vengono in mente in un percorso post anni sessanta) non valgano nulla. Quando andranno in pensione i sessantottini che sui giornali si interrogano se siano meglio i Beatles o i Rolling Stones? Quando lasceranno cadere la penna gli sceneggiatori che ricordano e vivono solo di Piper, Bandiera Gialla e Woodstock? Secondo me è ancora presto.
Prepariamoci anzi ad un convegno "68, cinquant’anni dopo" fra una decina d’anni. A organizzarlo, sempre i soliti arzilli sessantottini inchiodati alla poltrona…