Archivi tag: verità

Il mercimonio del sapere

Il titolo è altisonante perché cominciare con un “la mia laurea non vale un c****” era troppo forte, ma il messaggio è quello: dopo Vasco, un altro Rossi si laurea in Scienze della Comunicazione, stavolta a Urbino. I personaggi sono popolari, simpatici, meritano il successo che hanno: ma perché svilire così chi quella laurea se l’è faticata con cinque anni di studi faticosi? E poi, cavolo, un minimo di pertinenza ci vuole: un conto è laureare Enzo Biagi, uno che può essere considerato senza tema di smentita un maestro della comunicazione, un conto è laureare uno che va forte in moto!!E’ uno sportivo, dategli la laurea in discipline motorie al massimo, no? Vasco Rossi è un grande musicista, siamo d’accordo, diamogli la laurea del dams, o quella in lettere, se vogliamo considerarlo (e potremmo) un poeta. Ma perché sempre comunicazione
La verità è che queste lauree sono strumenti commerciali utilizzati dalle aziende universitarie (questo sono) per farsi pubblicità Senza spendere troppo. Sono spesso quelle più piccole o quelle private a esagerare con questo abuso: difficilmente la Bocconi darà la laurea honoris causa a Iva Zanicchi per Ok il prezzo è giusto, da qualche parte in qualche università “rampante” probabilmente ci stanno pensando. La cosa triste è che il corso di comunicazione in questo modo viene presentato come una specie di scuola per Saranno Famosi, un modo elegante di accedere al mondo della televisione senza passare per il reality.
Non è così, ragazzi: la comunicazione si studia seriamente come la fisica nucleare. Certo questo discorso sarebbe più coerente se i rettori cominciassero a regalare anche lauree in biologia (alla Falchi per il contributo dato alla conoscenza del corpo umano) o in astronomia (a Tremonti, uno che negli ultimi anni ha fatto vedere le stelle a mezza Italia)…

It wasn’t me!

Chi come il sottoscritto adora le avventure dei Simpsons avrà riconosciuto senz’altro la citazione: non sono stato io!, infatti, è l’espressione più frequentemente usata da Bart Simpson, il figlio maggiore scapestrato e discolo del cartoon americano. Colto sempre con le mani nel sacco, di fronte anche all’evidenza più indiscutibile, il piccolo eroe ha sempre la straordinaria faccia tosta e il sorriso angelico per dire “non sono stato io”. Le scenette in cui è coinvolto fanno sorridere anziché irritare perché alla fine i guai combinati da Bart non sono (quasi) mai irreparabili, perché si tratta di un bambino che in quanto tale più che essere un bugiardo ha una visione molto selettiva della realtà, perché alla fine Bart si pente e ammette le sue malefatte alle persone a cui vuole bene.
Se a dire “Non sono stato io”è un bambino di undici anni, anche se la sua colpa è evidente, occorre lavorare sul piano formativo, educarlo, incoraggiarlo alla verità. Senza fare tragedie. Ma se a dire “non sono stato io” è l’esercito della più grande potenza del pianeta che dopo aver trivellato di colpi un’autovettura e aver ucciso uno dei passeggeri, quel Nicola Calipari che stava compiendo eroicamente il suo dovere, se di fronte ad una realtà innegabile questo esercito inventa dei giri di parole che, alla fine, stringi stringi, lo scagionano da ogni colpa, cosa si può fare? Educarlo? Formarlo? Non credo sia così facile. Forse, però, se lo lasciamo solo, capirà che non si mente agli amici. Lo capirebbe anche un bambino di undici anni…

No Martini, no party.

In Papa Arinze c’ho sperato poco, dirò la verità. Era una specie di sogno che covavo ma che sapevo non si sarebbe realizzato: non dirò che la chiesa è razzista perché non è vero, ma certo qualche imbarazzo un pontefice nero l’avrebbe creato, ne sono sicuro. Non ho coltivato questo sogno con molta convinzione perché sapevo di avere poche possilità di vederlo realizzato, ma neanche ero pronto ad una simile delusione. Ratzinger? Ratzinger? Se me lo avessero detto un anno fa avrei pensato ad uno scherzo di cattivo gusto. Ho pregato per Martini con tutte le mie forze, ma non è bastato, e non riesco a unirmi al coro di entusiasmi. Addio matrimonio per i preti, addio donne sacerdote, addio sacramenti per i divorziati, addio maggiore collegialità. Non dirò che si apre un nuovo medioevo, ma certo se penso al cardinale Ratzinger penso alla nostalgia per la messa in latino con il sacerdote che volge le spalle all’assemblea; penso all’idea di cristianità come unica e sola verità (il che lascia intendere che le altre sono solo menzogne); penso al rifiuto della modernità. Il cardinale Ratzinger è un assolutista, nel senso che si oppone non solo al pensiero debole ma più in generale a quel relativismo che da Einstein in poi ci ha insegnato che tutto è relativo, persino il tempo, figuriamoci le idee.
Se penso al cardinale Ratzinger. Ma adesso non devo pensare più a lui, devo pensare a Benedetto XVI, e dargli fiducia. Che Dio ci benedica, ne abbiamo bisogno.

Il blocco dei fessi

Siccome siamo in regime di par condicio, oggi dirò una cosa contro la sinistra e una contro la destra (in verità è solo un caso, non mi sono mai preoccupato della par condicio che non si applica, per fortuna, ai blog).
La prima è contro il blocco del traffico, un blocco che è sempre più il blocco dei fessi. Stamattina ho visto decine di suv, auto vecchissime, furgoncini e camion scorazzare allegramente per Bologna, nonostante il blocco totale del traffico. Tutte con a bordo solo il conducente. Li ho visti dal finestrino dell’autobus, perché per me infrangere una legge, oltre che incivile, è un peccato, dal momento che a Cesare va dato quel che è di Cesare.

Allora, o quando si impone una legge così restrittiva la si fa applicare rigidamente, rischiando anche di essere impopolari, oppure si dà un consiglio: se potete evitate l’auto, sennò pazienza. Ma non è giusto che a rispettarla siano solo gli onesti. Oggi oltre tutto è il giovedì santo e il blocco creerà non pochi problemi a chi voglia partecipare alle funzioni religiose. Ma evidentemente i 4 credenti praticanti rimasti a Bologna contano meno dei 40 mila tifosi del Dall’Ara.

E veniamo alla critica a destra: mentre si sfascia la costituzione disegnando un’Italia fatta di piccoli staterelli (credo nell’Al di là, e so che un giorno Garibaldi incontrerà Calderoli e Bossi, e quel giorno sarà memorabile), Storace lascia intendere che le prossime elezioni “potrebbero” essere falsate dalla presenza di un partito, guarda casa, di destra anche lui.

Non mi piace l’uso del condizionale ambiguo: fa intendere che se vince Storace va tutto bene, se perde le elezioni sono false e da rifare. Il mio è forse solo un brutto presentimento, e spero di sbagliare, ma davvero mi auguro di non dover aspettare fino all’incontro di Garibaldi con Storace per togliermi il dubbio…

Orgoglio zitello

Ieri non ho fatto gli auguri alle donne. Non è stata una dimenticanza, ma una scelta dovuta al fatto che oggi quando si parla di festa delle donna non si sa di preciso a cosa ci si riferisce. Ci sono le ultrafemministe che la considerano un festeggiamento per i risultati ottenuti: e allora se fai loro gli auguri si incavolano come iene, ti guardano beffarde e ti rispondono che ci sono più parlamentari donne in Italia che in Afghanistan, e che non c’è un piffero da festeggiare, porca miseria. Ci sono le tradizionali che invece dicono che la festa della donna non ha senso, perché non ha senso discutere di diritti e genere (e costoro spesso pensano, anche se non lo dicono, che tutto sommato la vita fatta di stare a casa, accudire la famiglia e dedicarsi agli hobby non era poi così male se paragonata alla vitaccia tutta ufficio asilo e supermercato di oggi). Ci sono le soddisfatte per le quali non serve più festeggiare questa ricorrenza perché ormai uomini e donne sono pari, nella vita sociale come in quella familiare. Di solito tra questo gruppo, minoritario, si annoverano le amanti del capo che hanno fatto carriera: non sempre, ma molto spesso. E poi ci sono loro, quelle che festeggiano davvero: strappano gli slip leopardati ai palestrati in discoteca, urlano frasi oscene uscendo in gruppi femminili e si radunano per parlare male di questi uomini che non le capiscono e, soprattutto, non le vogliono. Sono le esponenti di quello che io definisco l’orgoglio zitello, o Single Pride, se preferite. Ma allora mi domando: c’è bisogno di una festa per ammettere che vi piacciono gli spettacoli discinti un po’ volgarotti, tra bevuti e sberleffi? Noi uomini non abbiamo mai nascosto di apprezzarli, e abbiamo fatto “outing” molto prima di voi. La verità, forse, è che ancora una volta la parità l’abbiamo raggiunta, ma livellandoci verso il basso.

British tales

Gli inglesi – pardon: i britannici – non sembrano particolarmente interessati alla notizia dell’eterno principe che si risposa con Camilla. Tutto sommato è una cosa che risulta ovvia a tutti, poi, diciamoci la verità, Qui se resemble s’assemble, i due sono una bella coppia proprio nella loro ostentata bruttezza. Chi non pensò – siate sinceri – quando Carlo sposò Diana che lei era troppo bella e troppo giovane per lui? Chi non si chiese come mai quella fanciulla bella, elegante, intelligente si fosse innamorata di un uomo non proprio aitante ma di buona, buonissima famiglia? Allora si poteva insinuare. Oggi no, cavolo, se Carlo vuole stare con Camilla non può che essere per amore, non vedo altre spiegazioni. E allora che si sposino e siano felici, questi due nonnetti, anche perché ormai figli non ne possono certo avere, e questa è la buona notizia per i sudditi reali. Che però hanno altro a cui pensare: non solo seguire le vicissitudini più interessanti dei coniugi Beckham (e come dargli torto, nell’era dell’immagine) quanto picchiarsi e accoltellarsi a mezzanotte per l’apertura di un nuovo negozio Ikea dove – si dice – facciano degli sconti eccezionali sulle lampade da tavolo. Saperlo prima prendevo un areo low-cost e ci facevo un salto…