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Era finita

Racconto premiato dal concorso “Come la tecnologia digitale ha cambiato la nostra vita” indetto da Repubblica nel 1999

La notte per me era stata lunga e silenziosa, come al solito.
Non dormivamo più insieme da tempo, ormai, da quando aveva deciso di cacciarmi via dalla sua camera da letto.

Il primo timido sole mattutino mi lasciò intuire che tra breve sarebbe arrivato. E così fu: apparve in pigiama, lo sguardo assonnato, la barba incolta. Bellissimo come sempre. Mi si avvicinò, guardandomi con aria distratta, e bastò un leggero tocco delle dita a farmi sentire elettrizzata. Cominciai a parlargli, ma lui non mi dava ascolto. Avrei voluto che non avesse occhi che per me, che si perdesse in me, e invece lui era sempre così distratto. Mi faceva sentire un inutile soprammobile…Il nostro rapporto sembrava destinato a finire irrimediabilmente.

Finalmente si girò a guardarmi, intensamente. Il mio sguardo magnetico si perse per un breve istante nel suo, sentii di essere finalmente riuscita a conquistare  i suoi magnifici occhi blu. Lo vidi avvicinarsi verso di me. Protese la sua mano, stava per toccarmi, rimasi rigida come sempre…Temevo e agognavo quelle cinque dita…Dapprima impallidii, poi fui colta da un terribile rossore. No, non potevo lasciarmi manipolare così da un uomo. Non ne aveva il diritto! Mi disse che ormai ero diventata vecchia…

Vecchia! A me!

Dopo tutto quello che c’era stato fra noi! E poi lui aveva molti più anni di me…Sapevo che fra noi sarebbe finita, ma non in quel modo orribile…Il suo tocco mi aveva messa in subbuglio, non riuscivo più a coordinare le parole…Era finita…
Lo guardai tornare tranquillamente a fare colazione, cinico e implacabile come sempre. Eppure eravamo stati così felici. Era finita…Mi guardò di nuovo, e fu sufficiente un gesto della sua mano a farmi sentire svuotata di ogni energia.
Tutto si fece buio, per me. Era finita.

Probabilmente mi avrebbe sostituita con un modello 20 pollici con Televideo

Sempre dietro

Sempre dietro. Sempre in seconda fila. Un destino segnato, il mio, sin dal primo giorno. Un destino ineluttabile, crudele, a cui non posso ribellarmi e a cui, tuttavia, non mi adeguo.

Perchè mi lamento, dici? Perchè? Fai in fretta a parlare, tu. Tu non sai, e neanche immagini, cosa significa stare dietro, sempre. In movimento o da fermi il mio destino è segnato, io sto dietro, senza neanche poter mostrare la mia vera pelle. Sempre dietro, a subire incredibili pressioni, eseguendo il mio lavoro con tutta l’elasticità di cui sono capace. Eppure non ho neanche il diritto di capire che strada sto seguendo, cosa mi appresta di fronte…Compiangimi, forza, già immagino il patetico sorriso che mi rivolgerai, accarezzandomi come le prime volte che mi vedesti. Tanto tu sai che ti starò sempre sotto, che non opporrò resistenza alle tue pretese…Non posso neanche legarti a me, come facevo con il tuo bambino.

Chissà, forse l’hai generato proprio grazie a me quel bambino…Cos’hai da ridere? Sei un uomo senza cuore, anche se, lo devo ammettere, hai un bel sedere… Avanti, chiudi la porta e vattene. Sei un peso di cui voglio liberarmi. Sì, perchè anch’io voglio provare la libertà… Sempre che esista la libertà per un povero sedile posteriore come me.

E adesso smettila

E adesso smettila, dai, non puoi proprio lamentarti di me. Semmai io, io dovrei lamentarmi! Ho dato il benvenuto in casa a tutti i tuoi amici. Anche perché io il benvenuto ce l’ho proprio scritto in faccia, è parte di me, non posso farci niente. E loro? Non hanno saputo fare di meglio che calpestarmi, senza ritegno, senza un minimo di senso di colpa poi. Ho sopportato il loro peso con dignità e fermezza. Sono sempre stato fuori dai tuoi affari privati, non ho mai avuto la possibilità di superare la fatidica soglia, sempre fedele.

Qualche volta mi hai fatto entrare, è vero. Ma per cosa? Per sbattermi sadicamente, senza pietà, per scuotermi con violenza, forse per sfogarti di chissà quali delusioni. E adesso hai pure il coraggio di lamentarti, di dirmi che sono ormai vecchio, spelacchiato, opaco. Parlo poco, lo so, sono un tipo sintetico, e con questo? Bella riconoscenza. Dai, avanti, vai in fondo, piuttosto che sentire le tue lamentele preferisco andarmene a vivere in garage. Però fammi una cortesia, non essere ipocrita.

Il prossimo tappeto che metterai sul pianerottolo comprarlo senza scritta stampata sopra.

Scacco matto

Che drammatica sciagura.

Quando la vita sembra seguire il felice corso che la benevola provvidenza gli ha destinato, quando schemi e regole prefissate sembrano avere la meglio sugli imprevisti scherzi del fato, due semplici parole possono annientare tutto. La battaglia era stata terribile. Quante morti, quanta distruzione. Dalla torre si potevano osservare i campi squadrati dove l’irreale tranquillità che segue i grandi sconvolgimenti lasciava i protagonisti di quello scontro immobili, rigidi, incapaci ormai di movimento. Persino quei fieri animali compagni dell’uomo in tante lotte e dall’uomo così facilmente manovrabili, i cavalli (quelli sopravvissuti), di solito così saettanti, rapidi nei loro salti, pronti a lanciarsi per primi nella mischia, se ne stavano fermi, esterrefatti.

Persino il viavai di pedoni che caratterizzava le zone del centro era stato interrotto da quella incredibile sciagura.

La guerra aveva sconvolto ogni simmetria, ogni ordine predefinito: solo il campo sembrava pronto a nuovi duelli e nuove sfide, quasi si sentisse estraneo alle sconfitte cui puntualmente faceva da scenario. La sciagura era arrivata improvvisa, imprevista, scioccante: i reali erano ancora circondati dai loro uomini di fiducia, e la regina in particolare sembrava più scintillante che mai nei suoi abiti  magnificenti: la battaglia sembrava così lontana dai fasti di corte…

Eppoi, imprevedibile e imprevista, la sciagura, sintetizzabile in due parole…
…scacco matto.

Io ti ucciderò

Io ti ucciderò.
Sarò crudele, spietato, implacabile. Voglio vedere il tuo sangue schizzare fuori dai tuoi miserevoli, leggiadri arti.
O è forse mio, quel sangue?
Ti ucciderò.
L’ultima notte trascorsa insieme è stata orribile. Sai che non sopporto il modo in cui mi tocchi, in cui ti fai sentire vicina, in cui sembri impossessarti del calore del mio corpo, della vita che mi scorre nelle vene…

Vuoi dei figli, vero? È per questo che mi fai soffrire così? Il mattino dopo posso ancora vedere i tuoi segni sulla mia pelle…Mi fai sudare, mi fai dibattere nel letto continuamente, su e giù…Ma non durerà a lungo. Sì, perchè io ti ucciderò. Ormai non sopporto più neanche i rumori che fai,

i tuoi movimenti così rapidi e imprevisti,
i tuoi impossibili voli pindarici…
Io ti ucciderò. Ti farò a pezzi, e nessuno potrà punirmi.
Nel nostro paese non è un reato uccidere una zanzara.