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“Generazione di fenomeni”: un documentario da raccontare

Puoi dire che un documentario è bello quando, dopo averlo visto, ti viene voglia di raccontarlo. Per carità, questo si può affermare tranquillamente di qualunque film e, azzarderei, dell’arte in genere.

Ma per il documentario è diverso, il documentario è un racconto di qualcosa di realmente avvenuto, che lo spettatore fa suo e decide di condividere. Con il documentario non c’è il rischio di spoiler, non c’è la possibilità di sviscerare troppo la trama.

Per me è andata così, dopo aver visto “Generazione di fenomeni” – di Paolo Borraccetti, disponibile su RaiPlay – ho cominciato subito a parlarne in giro. I contenuti credo li conosciate tutti, non c’è bisogno di perderci troppo tempo: in una decina d’anni, tra il 1988 e il 1998, la nazionale italiana di pallavolo raggiunse un tale numero di successi da meritarsi il titolo di squadra più forte del secolo. Non poco, soprattutto se si considera che prima di allora potevamo contare solo su un terzo posto agli europei nel 1948 e una finale mondiale nel 1978: eravamo insomma una squadra periferica ben lontana dai circoli dei più forti.

Fino a quel magnifico decennio, fino a quella generazione di fenomeni che, guidata da carismatico Julio Velasco, vinse tutto quello che c’era da vincere. A parte la medaglia d’oro alle olimpiadi, fuggita di un niente nel 1996.

Il film racconta quegli anni attraverso il racconto dei protagonisti e con le immagini di repertorio dell’archivio Rai. Lo stile è asciutto, pulito, a metà strada tra il libro di storia e l’articolo giornalistico, dando così risalto ai contenuti più che alla messa in scena. E di contenuti ce ne sono tanti, basta fare una ricerca su Google per rendersi conto di quanti aneddoti e leggende ruotano intorno a quei campioni, dalla veloce di Lucchetta nella semifinale contro il Brasile del 1990 alla maschera di Bovolenta dopo aver rimediato una gomitata in allentamento.

Il lavoro degli autori è stato quello di selezionare e organizzare le vicende nella consapevolezza che, con ogni probabilità, la maggior parte degli spettatori di questo film hanno già visto quelle immagini e conosciuto quei momenti. Il risultato è ottimo, perché non si scivola mai in quella retorica patriottarda che purtroppo ammanta certi prodotti analoghi: quello che ci viene presentato è un gruppo di uomini sicuramente di talento, ma non dei supereroi.

Tanto è vero che forse il momento più toccante riguarda proprio la sconfitta contro l’Olanda nella finale per la medaglia d’oro nelle olimpiadi del 1996, e devo essere sincero, nel rivedere quelle immagini una parte di me ha ancora sperato che quella difficile schiacciata di Giani finisse dentro. E invece.

Consiglio questo documentario a chi in quegli anni c’era, a chi è venuto dopo e ha scoperto la pallavolo con i successi degli anni successivi (siamo ancora i campioni del mondo in carica dopo il titolo del 2022, non dimentichiamolo), a chi ama i racconti sportivi, a chi crede che il documentario non sia un genere minore. Arriverete ad appassionarvi, a ridere e, in un paio di circostanze, anche a commuovervi.

Ma adesso basta perché è vero che sappiamo tutti com’è andata a finire ma il film dovete guardarlo voi.

Europei 2024

Italia-Albania

Cambiaso è un giocatore talmente famoso all’estero che prima del cambio il quarto uomo gli ha chiesto se giocava nell’Italia o dell’Albania.

Georginho finisce tra i crampi. D’altronde 90 minuti di passaggi all’indietro avrebbero estenuato chiunque.

Secondo me la Spagna afferra l’Albania, l’affetta alla julienne, la cuoce e la serve su un letto di verdure mantecate.

Calafiori ha talmente tanta esperienza internazionale che prima di partire ha chiesto se bastava la carta d’identità che fare il passaporto di questi tempi è troppo sbatti.

Il presidente della federazione albanese ha affittato tre interi hotel per ospitare ex calciatori della nazione delle aquile.
– E il conto? Hanno chiesto gli albergatori tedeschi.
– Scrivi semplicemente “Giorgia” ha risposto sorridendo il presidente.

Anche dopo anni Georginho, come il peperone, si ripropone.

Voglio un taglio di capelli che mi renda indimenticabile, ha chiesto Dimarco al suo parrucchiere. Tranquillo Federico, ti ricorderemo eccome.

Italia-Spagna

Cuccurella è fuori dal tunnel-el-el-el del divertimento-oh-oh-oh.

Quale imponderabile legge dell’universo ci costringe a schierare in nazionale Cambiaso, ovvero io giocatore più scarso visto agli Europei di quest’anno, degli anni scorsi e della storia del calcio?

Uno contro uno, vince sempre l’uno rosso.

Quando lascerà il calcio, Cristante lavorerà da Leroy Merlin per tagliare pannelli di compensato.
Con i piedi.

Spagna 1 – Donnarumma 0

Il consiglio di ministri sta pensando di intitolare il Traforo del Gran Sasso a Giovanni Di Lorenzo, in onore del record mondiale di tunnel subiti in una sola partita.

Bene così, ci siamo giocati la vaccata quotidiana di Dimarco senza prendere gol.
Adesso è tutta discesa.

Italia-Croazia
Uno che lavora e dieci che guardano.
Questa nazionale è lo specchio del lavoro pubblico in Italia. Donnarumma uno di noi.

Catenaccio e difendere lo zero a zero.
Adesso riconosco i nostri valori.

O siamo in dieci ce ne manca uno, ragazzino vuoi giocare?
E Raspadori scende in campo.

Ho visto partite di Subbuteo con giocatori più mobili.

Tutte le volte che vedo le divise dei croati mi domando dove abbiano lasciato i cavalli.

Errare è umano, perseverare è diabolico, imbarazzare è Dimarco.

Io per il futuro qualche rinforzo nella nazionale cantanti lo cercherei.

È sempre bello far piangere i croati, però adesso facciamo il reso di Retegui, Le spese di spedizione le paghiamo con il PNRR ma vi prego rispediamolo nella pampa.

Non si rubava così dai tempi di Tangentopoli.

Sei italiano se…

Si chiamano solitamente “Sei di quel posto se…” e all’inizio sembravano innocenti gruppi su Facebook con cui condividere la propria appartenenza ad una comunità. Il successo è stato clamoroso, soprattutto per quelle comunità più piccole dove questi gruppo si sono trasformati in una piazza virtuale. Una piazza allegra, all’inizio, in cui condividere progetti, idee, esperienze, far nascere nuove amicizie, riscoprirne di vecchie.
Poi però quell’entusiasmo dolce dei pionieri si è un po’ inacidito. In qualunque posto c’è un rompiballe che da decenni si lamenta perché vuole un lampione davanti casa che gli illumini il giardino a spese della collettività. E così, con fare non curante, eccolo postare un commento “Non so se è il gruppo giusto, ma vorrei segnalare che in via degli sfigati 88, civico 17, nonostante le ripetute segnalazioni, ci vorrebbe un lampione. Dobbiamo per forza aspettare che capiti qualcosa di brutto?”. Il rompiballe è già stato dal sindaco che gli ha fatto notare che c’è un lampione al civico 15, non è che via degli sfigati può diventare tutto ad un tratto Las Vegas. Non vinto sarà andato dal vicesindaco e dal capo dell’opposizione, avrà scritto ai quotidiani locali pretendo di essere informato in caso di pubblicazione (perché il rompiballe non compra un quotidiano dal 9 luglio 2006, quando prese Tuttosport). Dopo avrà cominciato a lamentarsi perché il gestore del gruppo non pubblica tutti i suoi commenti…
A quel punto qualcosa ha ceduto. La sottile membrana che separa il diritto di opinione dalla barbarie si è strappata, il gestore si è stufato e ha pubblicato il commento, e da lì la valanga. Ma vogliamo parlare della raccolta differenziata? E della buca davanti casa mia? Hanno cominciato a scrivere anche quelli che non sapevano scrivere nemmeno ai tempi delle scuole, con sanguinosi stermini di congiuntivi, “è” verbo essere e “ha” verbo avere. Tutti a lamentarsi e ad esigere, a lamentarsi delle lamentele degli altri e a esigere che prima si risponda alla propria richiesta e poi a quella degli altri.
Paradossalmente gli unici post a sopravvivere all’ondata di rancore sono stati quelli sui cani perduti. Ogni minuto in Italia si perdono 6 mila miliardi di cani, forse il doppio, o forse ormai un cane non è libero neanche di farsi una pisciatina in fondo al giardino del padrone senza essere fotografato da un animalista che ne pubblica una foto con un commento “è buono ma non si fa prendere, fate qualcosa ha lo sguardo triste”. E ci credo che non si fa prendere da un imbecille che ha il tempo di pubblicare le foto di tutti i cani del quartiere, ma se gli chiedi di differenziare carta e plastica non ha tempo perché deve lavorare, lui.
Un’unica, colossale valanga di lamentele, pretese e rancori ha occupato questi gruppi, ne ha superato i confini, è arrivato a conquistare la politica nazionale con le sue esigenze che vengono sempre “prima”, con la nostalgia di un tempo perduto fatto di manovre in deficit e debiti scaricati sui nipoti.
A proposito, in via degli sfigati 88, al civico 17, ora c’è un lampione, la cui unica funzione è quella di illuminare il giardino del rompiballe a spese della collettività. Infatti sei italiano se... oltre al lampione magari gli paghi anche la pensione (non ha versato un contributo in vita sua ma ne ha diritto, lui, perché è italiano) e il reddito di cittadinanza al figlio, che gestisce gruppi Facebook in cui si insultano immigrati, la cui unica colpa è quella di non aver letto un “Sei di quel posto se” prima di imbarcarsi.

Noi che abbiamo visto due volte l’Italia vincere i mondiali

Caro dodicenne appassionato di calcio, questa mia lettera vuol essere un affettuoso incitamento ad andare avanti con le tue passioni, nonostante tutto. Nonostante Ventura e Tavecchio, nonostante un campionato che nella sfida scudetto Juventus-Napoli presentava in campo tre italiani. Nonostante stiano per cominciare i mondiali, e l’Italia non è neanche ai nastri di partenza. Non che rivedere l’umiliazione delle ultime due edizioni avrebbe migliorato la nostra autostima, ma almeno avremmo avuto qualche speranza iniziale. Almeno avresti potuto organizzarti una di quelle maratone calcistiche che solo a quell’età puoi goderti con spensieratezza, quell’età in cui le giornate non finiscono mai e il tempo davanti a te sempre inesauribile.

Per Messico 86 il fuso orario non ci agevolava troppo, ma ciò nonostante vidi quasi tutte le partite, e pazienza se la nostra squadra andò a sbattere contro la Francia di Platini, quello era il mondiale della “Mano de Dios” e fu bello esserci anche se per poco. Ho dei ricordi non molto a fuoco ma non perché siano passati gli anni, ma perché i collegamenti via satellite e il tubo catodico del tempo facevano davvero pena. Italia 90 fu l’apoteosi adolescenziale, mi vidi persino la cerimonia di inaugurazione, registrai partite senza motivo (erano gli anni del delirio VHS), vidi persino – e con soddisfazione – partite tipo Camerun-Romania. Per la prima partita, Argentina-Camerun, prenotai il televisore del soggiorno, ci piazzai la poltrona di fronte e mi preparai un’orzata ghiacciata (era il massimo della trasgressione che potevo permettermi). La partita si giocava al pomeriggio, per cui non creai nessun problema familiare. E la sera le partite ce le guardavamo all’arena all’aperto: alla passione per il calcio potevamo provare anche a mescolare qualche infatuazione non ricambiata per le ragazzine che venivano all’arena e facevano domande tipo “dove dobbiamo segnare noi?”.

Certo che finì molto male, però le notti magiche sono state foriere di emozioni, come quell’incredibile squadra, in cui pochi credevano, che quattro anni dopo si fermò solo ai rigori contro il Brasile. Non starò a raccontare tutti i mondiali, per quelli ci sono le cronache sportive. Posso però dire che quando si trattò di decidere la data delle nozze, con molti mesi di anticipo, volli prima consultare il calendario dei mondiali. Ma figurati, mi derisero in molti. Scherzate pure, dissi io, ma preferisco sposarmi quando il mondiale sarà finito. Ve la immaginate una cerimonia il giorno della semifinale se gioca l’Italia? Con tutti che scappano via prima che cominci la partita. E così, anziché il 7 luglio, mi sposai il 14. Da campione del mondo.

La mia generazione è stata fortunata, lo dobbiamo ammettere. Siamo arrivati ad un punto calcisticamente così basso da poterci vantare di essere quelli che hanno visto due volte l’Italia vincere i mondiali, una volta seconda, una volta terza. Cosa è successo nel frattempo non lo so, ma ricordo ancora bene quell’emozione a soli sette anni, Cabrini che sbaglia il rigore, poi quell’euforia che mi portò addirittura ad avere un po’ di febbre, e a rimanere alla finestra mentre tutti fuori festeggiavano e sventolavano le bandiere. E le urla del 2006, la testata di Zidane, sbeffeggiare tedeschi prima e francesi poi, con molta più soddisfazione, va detto, di quanto non ci piacque nel 1982 far fuori Brasile e Argentina.

Caro dodicenne appassionato di calcio, forse l’Italia tornerà a vincere, o almeno a partecipare, ma certo tu non avrai più l’età giusta per goderti centinaia di partite. Puoi sempre fare il tifo per l’Islanda. E magari con le ragazzine che ti chiederanno da che parte bisogna segnare avrai pure più fortuna di noi.

Io certi proprio non li capisco

Io non capisco quelli che gridano “andate a zappare” e pubblicano sghignazzando il fotomontaggio di Balotelli in campagna, e non quello del leghista Marchisio che ci ha fatto perdere la partita ma è biondo con gli occhi azzurri.
Io non capisco quelli che digrignano i denti urlando “Ma perché non corrono quei brocchi, non è poi così caldo!” e nel farlo un miscuglio di patatine fritte, birra e maionese gli rotola dalla bocca e va a macchiare il divano.
Io non capisco quelli che dicono che non c’era un italiano tra le quattro semifinaliste di Champions League, e non si accorgono che anche tra le quattro semifinaliste di Coppa Italia i connazionali si contavano sulle dita di una mano.
Io non capisco quelli che dichiarano “Meno male che hanno perso, adesso finalmente torneremo a parlare di cose importanti. Ma davvero Melanie Griffith ha lasciato Banderas?”
Io non capisco quelli che affermano “Ma leggetevi un libro invece di guardare i mondiali, bifolchi”. I mondiali ci sono una volta ogni quattro anni, e negli intervalli il tempo per leggere, per chi vuole, c’è.mondiali
Io non capisco quelli che pontificano su “ancora spendi soldi per il calcio, con la crisi che c’è?” e poi spendono 150 € per assistere ad un concerto di un di cui intravedono in lontananza le luci del palco (PS Io non ho Sky né Mediaset Premium, e gli unici soldi che spendo per il calcio sono quelli per pagare il campo di calcetto).
Io non capisco quelli che blaterano “i calciatori guadagnano troppo”, e poi lo sportivo che l’anno scorso ha guadagnato di più è un golfista, seguito da un tennista e due giocatori di basket. Gli sportivi di vertice, guadagnano troppo.È sempre un problema di distribuzione. Ma almeno loro guadagnano perché sono bravi e non perché sono nipoti dell’azionista di maggioranza.
Io non capisco quelli che bacchettano “si spendono troppi soldi per il calcio”, e dimenticano che costruire il nuovo Maracanà è costato meno che girare “Pirati dei Caraibi: Ai confini del mondo”. Eh, ma vuoi mettere Johnny Depp..

Io non capisco, ma evidentemente il problema è il mio che non mi applico abbastanza.

Non ? un paese per mamme

Si chiamava Vira Orlova: era una donna di circa 40 anni, venuta in Italia per fare la badante. ? morta per un emorragia, perché ha avuto paura di andare in ospedale, in quanto clandestina. E probabilmente incinta.
Che il Cielo possa accogliere lei e quel piccolo angelo che non vedrà mai la luce perché sua madre ha deciso di venire a vivere in un paese razzista.