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Un papà lo riconosci

alla_coopUn papà lo riconosci perché è quello che si gode il suo impianto surround 5.1 che gli è costato tanti sacrifici per ascoltare i grugniti della famiglia Pig con il ritorno del subwoofer.

Un papà lo riconosci perché è quello che non ricorda dov’è il suo portatile ma ha una mappa mentale della maggior parte dei ciucci disseminati per la casa, compreso quello nascosto per le emergenze.

Un papà lo riconosci perché è quello che da quando qualcuno lo sveglia tre volte a notte ha risolto ogni forma di insonnia da stress professionale.

Un papà lo riconosci perché è quello che cambia canale quando c’è una scena di sesso in tivù e il giorno dopo prova a recuperarla su Youtube.

Un papà lo riconosci perché è quello che alla Coop usa il carrello al contrario (per chi non l’avesse capita, guadate la foto. Ta-da, bravi bravi, adesso tornate a leggere il resto)

Un papà lo riconosci perché l’ultimo numero di telefono in agenda che una donna gli ha passato era di una babysitter.

Un papà lo riconosci perché è quello che magari esce senza cellulare e occhiali ma ha sempre le salviettine e un pannolino d’emergenza.

Un papà lo riconosci perché è quello che ha cancellato Playboy dai preferiti e l’ha sostituito con Bimbibo.

Un papà lo riconosci perché è quello per cui una punizione non è più il tiro a rientrare di Platini ma i cinque minuti in un angolo per la figlia disubbidiente.

Un papà lo riconosci perché se una volta scriveva romanzi, adesso scrive battutine su facebook; se una volta coltivava l’orto, adesso innaffia una piantina sul davanzale; se una volta leggeva giornali, adesso sbircia i titoli del Televideo. [*l’autore di questo post non ha mai coltivato l’orto, ndr]

Un papà lo riconosci perché è quello contento quando piove, perché dentro di sé pensa almeno oggi niente parco.

Un papà lo riconosci perché è quello che è tranquillo quando arriva in ufficio perché sa che lì nessuno gli nasconderà le chiavi.

Un papà lo riconosci perché è quello rannicchiato in fondo allo scivolo con le braccia aperte, in attesa che dieci chili di felicità lo riconoscano e gli si lancino contro, e tutto il resto non conta.

Tutti in campo, papà

Campo di calcioIl giovane papà generalmente fatica a trovare spazi adeguati alla attività sportiva, e non mi riferisco soltanto alla cyclette nascosta dietro l’armadio o al tappettino per gli addominali riposto in cantina. Ciò nonostante sa fare tesoro di quanto appreso negli anni felici in cui non aveva idea di quante taglie diverse di pannolini esistono in commercio. Vediamo una rapida rassegna di questi saperi da riscoprire all’occorrenza:

  • Marcamento a uomo. Oggettivamente, questo è il più scontato. Il figlioletto lo devi marcare come il più temibile dei fantasisti, quello che approfitta di un momento di distrazione per ridicolizzarti davanti alla squadra. Fuor di metafora, questo stile di gioco prevede di non perdere mai il contatto fisico con il piccolo, intervenendo spesso per frenarne le idee potenzialmente distruttive, mortificarne l’inventiva in termini di nuovi pericoli da sperimentare, far sentire di tanto in tanto i tacchetti tanto per ricordargli che lo stopper è lì e non lo molla.
  • Marcamento a zona Il problema del marcamento a uomo, Ça va sans dire, è che va in crisi quando i figli sono due. Allora si passa alla zona, che però richiede freschezza atletica e riflessi allenati. In questi casi per il difensore non c’è un attimo di pace, i suoi muscoli tesi devono scattare al primo segnale: mentre si impedisce ad una figlia di ingoiare un sassolino bisogna essere pronti a slanciarsi verso l’altra che prova fino a quanto può reggere l’altalena. In questo caso, il divide et impera di tradizione romana non vale: al contrario, i figli devono stare il più vicino possibili per ridurre la zona in cui il papà deve rimbalazare come uno yo-yo in mano ad un parkinsoniano sulle molle elastiche. Fa sempre comodo, in ogni caso, intervenire con la classica diagonale: intervento trasversale con il quale contemporaneamente si infila una figlia nel passeggino e, in scioltezza, si va a impedire all’altra di infilarsi un bastoncino in un occhio buttandolo in rimessa laterale, ehm, pardon, buttandolo lontano.
  • Scivolamento Lo scivolamento è quel movimento laterale con cui, nel basket, il difensore taglia la strada all’avversario frapponendosi tra lui e l’obiettivo. Avete mai visto i giocatori di pallacanestro muoversi come le Bangles in “Walk Like an Egyptian”?  L’idea è quello. Lo scivolamento è ottimo per bloccare l’accesso alla porta di casa, verso cui il figlioletto è sempre pronto alla fuga, ma anche per impedire l’accesso al computer portatile incautamente lasciato incustodito sul divano o più semplicemente per difendere l’ultimo lecca-lecca dalle mire della prole. Da non confondere lo scivolamento, che è un lavoro strategico metodico e lungo, con il tagliafuori, che invece è impulsivo, legato a fattori contingenti, tattico. Il tagliafuori è quella zampata con cui blocchi all’ultimo momento l’accesso al balcone, visto che sta diluviando, oppure fermi sul nascere una rissa tra la piccola e la bimba che le contende lo scivolo che c’ha il papà che scarica i camion al mercato ortofrutticolo (non scarica la merce dal camion, scarica direttamente i camion, reggendoli in spalla).
  • Palla accompagnata Nella palla a volo si accompagna la palla quando anziché indirizzarla con un colpo secco la si sposta con la mano aperta, come succede nella palla a nuoto. Si tratta insomma di un colpo illegale, ma che se funziona dà risultati sicuri: sono parenti vicini i passi nella pallacanestro, il fallo di mano nel calcio. Uno ci prova, se va bene è un punto sicuro, se non va certo non si rischia l’esplusione. Il giovane papà ricorre continuamente a questi falli tattici. Quando per esempio sostiene di non avere i soldi per lo zucchero filato, anche se ha appena prelevato dal bancomat. Quando dice di non trovare il dvd di “Barbie la principessa e la povera” che ha rivisto 15 volte (senza peraltro aver mai capito come diavolo va a finire perché le figlie si addormentano e si stancano prima e lui si vergogna di vederlo da solo). Non abbiate remore di questi innocui interventi ai limiti del regolamento. Le mamme sono molto più audaci nell’infrangere le regole, come quando comprono l’ennesimo pacchetto di figurine ma poi “non dirlo a quel taccagno di papà”, oppure quando strizzano l’occhiolino alle piccole alle quali hanno comprato un completo che costa da solo più di quanto il papà abbia speso per vestirsi negli ultimi cinque anni, tanto a quel tontolone racconteremo che era in saldo. Altro che fallo di mano: le mamme segnano usando tutte e due le mani per spingere il pallone in porta, e se l’arbitro fischia lo espellono e lo sostituiscono con uno compiacente.

Coraggio, giovani papà, per ora può bastare. Se permettete, vado a vedere come finisce “Barbie la principessa e la povera”.

Giovani papà invecchiano

Barbapapà – anni 70 – era un vero capofamiglia rispettato. Papà Pig – anni 2000 – è un imbecille deriso da tutti i familiari. Nella rappresentazione della figura paterna nei cartoni c’é la chiave per comprendere il declino dell’impero culturale occidentale.

Gara bimbi e bimbe, bisogna raccogliere in fretta palline colorate. Le bambine vincono sempre perché raccolgono le palline mentre i maschi corrono e scalciano gridando ugh! ugh! So già che sarò un suocero rompiscatole…

Lezione del giorno per mia figlia: il limone è molto simile al clementino ma decisamente meno socievole.

Sono sempre più intimamente convinto che prima dell’homo erectus venne la mulier erecta che si mise in piedi per raggiungere più agevolmente i giocattoli della sorella.

Quando lo spot è dentro il film

Tratto dalla locandina originale del film. Tutti i diritti dei rispettivi proprietari.

Ho visto con mia figlia il film dei “Puffi”.

Ovviamente, quando guardi un film con un piccolo, ti accorgi di alcuni aspetti che da solo ti interesserebbero meno, e mi riferisco in particolare al product placement. Il film dei Puffi ha alcune gag divertenti (benché il migliore attore sia il gatto Birba, che è animato al computer), una storia sui sani valori della famiglia, la solita New York da cartolina, effetti speciali adeguati e il solito rapporto tra personaggi animati e creati al computer che ormai, dai tempi di Roger Rabbit, non ci meraviglia più.

Il problema è che l’invadenza degli sponsor è ossessiva! Il product placement si riferisce infatti alla possibilità di mostrare un prodotto durante il film con l’obiettivo di farne pubblicità, in cambio di finanziamenti. Nei film anni settanta di serie B non mancava mai, per esempio, una bottiglia di Fernet Branca. Ma un conto è che, all’interno della storia, un personaggio debba prendere un auto, il regista gli fa prendere l’auto dello sponsor. Nel caso del film, il protagonista è dotato di cellulare Experia della Sony, e non manca di mostrarlo. Vabbe’. Un conto è costruire un’intera sequenza solo per inserirci uno spot fittizio! Nella fattispecie, ad un certo punto i Puffi e si mettono a giocare con la Playstation (a suonare, per l’esattezza, con Guitar Hero)! Per non parlare della scena in un negozio di giocattoli, in cui mancano solo i prezzi e l’indirizzo email dove inviare gli ordini!

Mi aspettavo che da un film del genere si cercasse di vendere pupazzi dei Puffi (sono cresciuto con quei pupazzetti di plastica che si collezionavano per ragioni incomprensibili), ma questo via vai di Sony Vaio, Sony Playstation, Sony Experia e chi più ne ha più ne metta mi ha lasciato interdetto. Anche perché quando una pubblicità interrompe un film puoi cambiare canale, quando la pubblicità è dentro il film, fai un po’ più fatica.

Dialoghi di un padre

Immagine tratta da WIkipedia

Di fronte alla statua del Nettuno. “Papà, papà, ma il papà della sirenetta è ciccione nudone!”. Lungo silenzio carico di imbarazzo da parte del padre che si ripropone di scrivere per chiedere al sindaco di rimuovere certe oscenità dal centro di Bologna.

“Papà, papà, quel signore ha gli orecchini come le principesse”. Vano tentativo del padre di cambiare discorso, strada, e magari città, seguito da sorriso del signore con anellini alle orecchie che scioglie la tensione

“Papà, papà. prendimi in braccio!” “Ma le principesse sono grandi e non vanno in braccio” “Sì se hanno male al ginocchio”.

PS. Mia figlia si rifiuta di uscire di casa in mia compagnia senza essersi accertata che io abbia con me la sua spazzola per i capelli. Considerando che io non mi pettino da quando mi sono sposato, da qualcuno avrà preso….

 

Il regime dei folletti di Babbo Natale

Il principio è lo stesso che ha fatto le fortune di regimi totalitari come quello nazista o in tempi più recenti quelli del blocco sovietico. Si tratta di organizzare un stato di polizia dove ogni singolo movimento, ogni atteggiamento, ogni comportamento non in linea con le aspettative del potere viene osservato, spiato e registrato e provoca ineluttabili conseguenze negative sul soggetto non allineato. Non è necessario che questi comportamenti siano poi davvero osservati, l’importante è che ci sia la paura che ciò avvenga.
E i risultati non mancheranno, lo consiglio a tutti i genitori. Per più di un mese abbiamo infatti tratto beneficio da una favola ben organizzata che ci ha garantito che mia figlia si comportasse non dico bene, ma almeno meglio del solito. Il motivo era semplice: i folletti di Babbo Natale, posizionati ovunque, dietro ogni angolo, in ogni stanza, con la capacità di vedere e sentire tutto erano in grado di riferire a Babbo Natale del fatto che lei si stesse comportando male, con un’immediata riduzione, se non azzeramento, del parco regali. Ha funzionato e sono decisamente soddisfatto, devo dire, a tal punto che ho prolungato questa situazione di minaccia terroristica: adesso i folletti di Babbo Natale potranno riprendersi i regali in presenza di comportamenti scorretti (capricci, non ho la pipì e invece c’è, non voglio questa pappa). Bisogna stare attenti a non tirare troppo la corda, certo, e prima o poi qualcuno svelerà il segreto. A quel punto quel qualcuno pagherà le conseguenze del suo agire scellerato verificando direttamente il braccio armato dei folletti di Babbo Natale, cioè il mio.