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Non sarò mai come mi volete voi

Non gli basta la consapevolezza di aver fatto una scelta e condurla con fierezza, pagandone anche le conseguenze scomode. Non gli basta il sostegno di chi, quella scelta, l’ha condivisa.
Devono fartelo sapere, perché vogliono la tua approvazione. Di più: vogliono la tua conversione. Ecco, io quelli che cercano perennemente di fare proselitismo li amo come i fazzoletti di carta nel bucato in lavatrice o come le caramelle sciolte in fondo alla tasca dei pantaloni.

L’etimologia della parola è illuminante: il proselita, nell’Antico Testamento, era lo straniero che si era venuto a stanziare nel territorio. Meglio, uno straniero che, accolto, poi si converte agli usi e ai costumi del popolo. Però era lui a venire, e tu gli spiegavi: qui da noi funziona così. Ha senso. In un’epoca per cui lo straniero è quasi sempre un nemico e l’accoglienza è solo l’angolo con una ragazza sorridente pagata per radunare le lamentele dei clienti, il proselitismo è tornato ossessivamente di moda.

Bei tempi quelli in cui i testimoni di Geova suonavano per spiegarti i benefici spirituali di un abbonamento alla Torre di Guardia. Quelli in cui un collega cercava di spingerti a iscriverti al suo sindacato. Anche quelli in cui, durante il pranzo della domenica, si discuteva di politica, rimanendo distanti, forse, ma rispettando il giudizio degli altri.

Bei tempi andati. Oggi non è più così, perché oggi a rivelarvi la verità è stato un messaggio di whatsapp, l’ennesimo video contenitore di notizie false, una chat che non credevo ma guarda che invece. E questa verità vi dota di un’aura di santità, perché il re delle castronerie vi ha nominati vostro cavaliere e quindi siete in dovere di andare in giro per il mondo (più facilmente, in giro per i social) a frantumare, affettare e sminuzzare gli zebedei del prossimo, tritarli, inscatolarli e poi rompere di nuovo le scatole per ricominciare da capo.

E lo dico subito dove voglio andare a parare: mi riferisco al proselitismo di quel popolo variegato, confuso e confusionario che abbiamo imparato ad etichettare come novax. Tutti con quell’iconcina in cui chiedono le terapie domiciliari contro il covid, che è un po’ come chiedere terra e libertà per tutti. Chi non vorrebbe curarsi senza andare in ospedale? Lo facciamo  – se non sono gravi – per l’influenza, la gastroenterite, le emorroidi. Però nessuno pretende di curare l’influenza con clisteri di candeggina, se avete l’intestino sottosopra potete pure provare a curarvi facendo cadere nell’acqua sassolini in grado di trasferirvi la loro energia olistica, ma secondo me il cagotto vi rimane. Se poi pensate che le emorroidi vi passeranno perché mangiate patate coltivate in un terreno biodinamico carico di forze cosmiche e spirituali, auguri, ne avrete bisogno.

Non ci rimanete male se io sono schiavo del sistema e continuo ad ascoltare la maggiore parte dei medici per curarmi, dei nutrizionisti per alimentarmi, degli avvocati per capire la legge, degli ingegneri per fare i lavori edilizi. Sono fatto così, sono poco biodinamico.
Avete visto la luce? Io sto bene al buio, grazie.
 

Ecco, se voi credete nell’urinoterapia, buon per voi. Spero sia buono, non so, non ho assaggiato, non ho intenzione di farlo. Se pensate che il vaccino sia “sperimentale” solo perché per una volta le multinazionali si sono messe di buona lena a realizzarlo anziché fare prima le doverose indagini di mercato, non vaccinatevi, ma poi basta. Basta con questi toni da missionari  new age che hanno visto la luce perché hanno visto un servizio del 2015 del TG3 che aveva previsto tutto, basta con i “giù le mani dai bambini”, voi che nemmeno vi ricordate che faccia ha vostro figlio, ormai divenuto un tutt’uno con il suo smartphone, voi che avete scoperto l’importanza dell’istruzione ora che rischiate di trovarvelo un po’ troppo spesso tra le balle, voi che avete capito tutto di quello che è successo a Wuhan ma se vi chiedono di indicarlo su una cartina puntate il dito sul Giappone.

Non cercate di convincermi, non sarò mai come mi volete voi. Per carità, stiano alla larga anche quelli che vorrebbero tornare a un lock down e vogliono spiegarmi con valanghe di dati difficilmente correlabili i motivi per cui sarebbe necessario. Se odiate il green pass perché vi fa fare meno quattrini ditelo senza bisogno di citare Socrate. Se volete il lock down perché siete pendolari da vent’anni, ammetterlo non vi farà sembrare più stupidi.

Ma soprattutto smettetela voi “io mi sono vaccinato, però…” che poi lasciate partire il pippone sulla tenuta della Costituzione, sullo stato liberticida, azzardando richiami addirittura a quegli zucconi della Corte Costituzionale che non bloccano i dpcm o di decreti legge. Ci foste voi, al loro posto, sì che sapreste come fare: basta leggere quel sito che vi ha mostrato vostro cugino dove c’è scritto tutto. La verità è che – per fortuna –  non lo sapete cos’è davvero la sospensione della democrazia, e non serve andare in Corea del Nord,  Turkmenistan o Arabia Saudita per scoprirlo. Voi che, oggi, osate paragonarvi agli ebrei perseguitati dai nazisti. Basterebbe leggere qualche libro, qualche giornale, qualche testo senza immagini che contenga ogni tanto anche un po’ di ipotassi. 

Voi che non votate da quindici anni perché tanto rubano tutti, che improvvisamente avete scoperto di tenerci così tanto alla democrazia da gridare alla rivolta, senza riuscire a capire che a un certo punto si vota, chi vince fa le leggi e chi perde le rispetta comunque. Funziona così. Oltre a difenderla, sarebbe il caso di leggerla, ogni tanto, la Costituzione.

PS Sì, sì, avete ragione voi, ma basta.

La messa anticovid guadagna in freschezza

In questi lunghi mesi di chiusura di teatri, cinema e sale concerti in tanti hanno fatto notare l’incongruità dell’aperture delle chiese nello stesso periodo. Ora, sinceramente, credo che a parità di condizioni, cinema e teatri avrebbero potuto rimanere aperti.

Però prima di gridare al complotto clericale e invocare a vanvera il conte Montalember, bisognerebbe conoscere bene le condizioni in cui le chiese sono state aperte, e lo dico da amante di cinema e teatri e da cattolico praticante, che a messa ha continuato ad andarci.

In estate, con le messe all’aperto, l’unico problema è stato quello di non arrostirsi al sole, cercando di arrivare in anticipo. Battaglia persa in partenza perché gli unici posti all’ombra erano sistematicamente occupati da signore allenate da ore e ore di fila in attesa alle poste, aspettando l’apertura dello sportello, o addirittura davanti al supermercato, per cui. All’inizio mi sono portato gli occhiali da sole e il cappello, poi ho pensato di trarne addirittura beneficio per un’abbronzatura low-cost.

Nelle chiese non attrezzate per la messa all’aperto, i posti sono stati contingentati: sono apparsi insoliti bollini colorati a indicare le posizioni in cui stazionare, i banchi sono stati talvolta attraversati da nastri bianchi e rossi (quelli dei lavori in corso, per intenderci), i parroci più scrupolosi hanno cominciato ad adocchiare le beghine più devote apostrofandole: ti ho ha già vista a messa ieri sera! Cosa ci fai di nuovo alla messa della domenica mattina? Venendo al nostro parallelo con gli spettacoli, direi che l’ostacolo si sarebbe potuto superare con  la prenotazione obbligatoria e gli ingressi limitati.

Ma i veri problemi sono arrivati con l’inverno. E soprattutto con le messe di Natale: secoli prima di essere la stagione calda per il cinema, non dimentichiamo infatti che dicembre è stato il mese dell’Avvento. Se la messa quotidiana ha  ormai gli stessi frequentatori di un film cinese in lingua originale, e quella della domenica, pur difendendosi meglio, non raggiunge il numero di spettatori di un film d’autore italiano qualunque (quindici partecipanti quando va bene in quelle del centro, i più trascinati da amici o, nel caso della messa, genitori), in effetti la messa di Natale può essere considerata uno Star Wars per le panche delle chiese, o se preferito un Checco Zalone qualunque. Tanta gente insomma. Ma ci siete stati a messa durante questo periodo natalizio, voi che vorreste riaprire i cinema alle stesse condizioni?

Tanto per rassicurare subito, la comunione direttamente in bocca ormai la prendono solo i paralitici e quelli che sono arrivati a messa direttamente dall’officina con le mani grondandi grasso o fuliggine. L’unico rischio che si corre semmai è quello di intossicazione da gel, visto che il sacerdote prima dell’eucaristia si disinfetta a lungo le mani. Una volta c’era un chierichetto con le ostie e uno con il vino, adesso la parte più ambita è quella del chierichetto col dispenser.

Non c’è lo scambio della pace, sostituto da saluti al volo, sorrisi, occhiolini tra i più intraprendenti. Chi canta prega due volte, si diceva, oggi chi canta infetta due volte: e infatti i coristi sono sempre più isolati anche se questo dà l’impressione di avere un coro enorme: sono sempre gli stessi dieci disposti in uno spazio molto più esteso.

La questua è stata dapprima sostituita da un cestino speranzoso fuori la porta, poi da due volontari speranzosi con il cestino in mano davanti alla porta,  quando il parroco si è reso conto di non pagare le bollette si è tornati alla vecchia questua. Pecunia non inficiat, evidentemente. Nei cinema un buon uso delle carte di pagamento può risolvere il problema.

E poi però c’è dell’altro. E stavolta la soluzione non è facile. Intanto le porte in chiesa sono quasi sempre aperte. E talvolta anche le finestre. C’è stata una messa dove dopo aver cambiato posto due volte, ho deciso di continuare a seguirla dalla sacrestia, perché chi mi conosce sa quanto male sopporti l’inverno bolognese. Altro che spifferi, sembrava di essere in Siberia. Magari in primavera, ma in Siberia. Un’altra volta ho tenuto cappello, sciarpa e giaccone tutto il tempo, saltellando e muovendo le gambe per evitare l’assideramento.

Va bene evitare il covid, ma anche una tramontana diretta sul collo tanto bene non fa. Ecco, a chi vorrebbe aprire i cinema alle stesse condizioni, va ricordato che 40 o 45 minuti di messa con la sciarpa e il cappello si reggono, 3 ore di filmone di fantascienza, parliamone.

Se devo patire il freddo al cinema, io aspetto volentieri. E anche le prossime messe mi sa che me le guardo in streaming: credente si, martire no.

Pausa pranzo ai tempi del coronavirus

Gioconda con la mascherina

  • Dopo mesi di sacrifici, forza di volontà, impegno tenace e temerarietà contro un fronte che sembrava impenetrabile, finalmente ecco i primi risultati. La curva segnala un piccolo, impercettibile ma incoraggiante segno positivo: ci siamo.
    Anche le ultime maestre delle elementari, abbarbicate sul divano, saranno costrette a lasciare il telecomando per un’oretta di didattica a distanza ogni tanto.
    PS Ogni commento sul fatto che il rifiuto della didattica a distanza, per i più piccoli, sia una scelta pedagogica approfondita, un modo per non discriminare, il risultato di una meditazione profonda verrà preso in considerazione solo se posto da chi in questi mesi, per una scelta approfondita e coerente, avrà rifiutato anche lo stipendio.
  • Sulle spiagge Zaia ha ragione, le regole non possono essere uguali per tutti. Se uno ha il coraggio di fare il bagno all’Isola Verde di Chioggia o alla spiaggia del Mort di Jesolo secondo me non ha certo paura del coronavirus.
  • A giudicare dallo slancio con cui gli italiani stanno affrontando la fase 2, prevedo che nella fase 3 sarà obbligatorio mangiare tutti da tegami comuni al ristorante, leccarsi la punta delle dita per contare le banconote e limonare con gli sconosciuti che si incontrano per strada
  • Quindicimila persone in fila all’Ikea di Torino a guardare cucine e cabine armadio. Certo che ne avete avuto di tempo per pensare a come sfruttare al meglio la ritrovata libertà.
  • Ho letto che dovremo abituarci, specie con la riapertura delle scuole, a misure igieniche più rigide in casa. Va bene l’asciugamani personizzato e pure le posate e i bicchieri lavati con cura, ma come la mettiamo con il mio ruolo ancestrale e indiscusso di finitore degli avanzi sbocconcellati delle figlie?
    Papà di tutto il mondo, siamo una specie a rischio.
  • Con i televisori al plasma avremmo potuto curare tutti i malati di Covid-19! Perché nessuno ne parla? Perché li hanno sostituiti con gli LCD per farci comprare il vaccino!
  • Questa esperienza del lock-down ci ha insegnato che possono lavorare da casa gli impiegati pubblici, gli architetti e gli ingegneri, i docenti, i professionisti, i commercialisti, gli artisti, gli psicologi e migliaia di altre categorie.
    Tutti TRANNE gli impiegati di Ryan Air addetti ai rimborsi.
    Niente da fare, c’è il distanziamento sociale.
    Loro sono al 25% da marzo e in smart-working riescono solo a proporti il voucher, disdetta.

Dieci cose che so sul calcetto

In questi giorni di pandemia sto leggendo tante, troppe inesattezze sullo sport che è ragione di vita per tanti impiegati sovrappeso.
È arrivato il momento che io scriva le dieci cose che so sul calcetto.

Calcetto1. Se il calcetto è fatto bene rischi malattie veneree, altro che Covid
2. In una vera partita di calcetto ci sono droplet grandi quanto l’Isola d’Elba
3. La marcatura a zona è roba per omofobi
4. Dopo i quarant’anni intercettare la palla è da maleducati
5. Dieci uomini che tornano a casa senza doccia possono fare saltare le centraline Arpae nel raggio di chilometri
6. Prima di sanificare i guanti dei portieri occorrerebbe sanificare i portieri, e vi assicuro che non è facile per niente
7. Sulle canotte colorate ci sono tracce di microorganismi che gli scienziati credevano estinti dopo il Mesozoico
8. La scivolata è vietata nel calcetto (no, non ridete, questa è vera)
9. Impedire a un attaccante di starsene disteso per terra, a guaire, fino a quando non gli viene assegnato il rigore vuol dire offendere la sua sensibilità
10. A noi non serve il tampone. Con i riflessi calanti che ci ritroviamo, noi ci tamponiamo già decine di volte a partita.

La spesa ai tempi del coronavirus

Premetto che sono piuttosto ligio alle norme sul distanziamento sociale: mascherina, amuchina, file a distanza. Solo mi preoccupa un po’ l’effetto del potere sulle persone meno abituate a gestirlo.

Sabato mattina, centro commerciale, un’ora e mezzo di fila per entrare (perché il working sarà diventato smart, ma sempre il sabato mattina ti resta per fare la spesa). File anche per i latticini, file per i banconi, ovviamente anche per le casse.
Una coppia di stranieri si avvicina con il carrello alla cassa.
Insieme.
Lo sconcerto è generale, l’intervento dell’esercito della distanza immediato. Mai che trovi un dipendente che ti dica dove diavolo sono le birre, ma in compenso appena ti avvicini troppo ti circondano in tre con il dito puntato.
Una dipendente grida: non in due! Non in due! Mantenere le distanze!
Ma siamo una coppia, stiamo insieme, prova a difendersi la donna.
E qui il colpo di teatro del colonnello con il badge: si ma il virus non lo sa! Il virus salta, eh!
Dietro questa affermazione così persuasiva nella sua assoluta insensatezza, mugoli di approvazione si diffondono intorno alla giustiziera: non ce la possono fare, non capiscono, dove finiremo.
Provo a domandarmi se forse mi sono perso l’ultima dichiarazione di qualche virus-star che spiega che, se si procede in coppia, il virus si potenzia, tipo dalla moglie fa la cavallina sulle spalle del marito per andare più lontano. Oppure il grafico di qualche fisico che spiega l’effetto catapulta, cioè quel processo per cui il virus, che sappiamo nascondersi nei testicoli, dopo tre ore di spesa in coppia raggiunge una pressione tale da poter raggiungere la stazione orbitale e infettare un astronauta russo con un colpo di bacino. Non lo so, forse mi sono distratto.
Il marito sembra sul punto di intervenire, vorrebbe aggiungere che hanno pomiciato in parcheggio fino a pochi minuti prima, magari hanno fatto pure dell’hard petting, non c’è rischio che si infettino a vicenda. Poi si rende conto di non avere abbastanza padronanza dell’italiano per una spiegazione così dettagliata e mimare non aiuterebbe la situazione, per cui rinuncia.
Ancora stordito da questi pensieri, quando vedo che chi mi precede a 8, 9 metri da me ha liberato il carrello e sta riempiendo i sacchetti, mi avvicino alla casa.
L’errore è fatale. La cassiera mi guarda con disprezzo, se avessi aperto un impermeabile per mostrarmi nudo e ammiccare forse avrebbe reagito meglio. Si avvicini quando glielo dico io, sibila.
L’altro consumatore ha la mascherina come me, è a otto metri almeno, ca**o neanche si chiamasse Carl Lewis Virus Desease potrebbe raggiungermi con un balzo.
Ma sento la disapprovazione salire intorno a me e senza fiatare (questo lo apprezzano tutti, l’apnea ci salverà) torno mestamente indietro.

Quando tutto sarà finito, speriamo, questa sbornia di potere dell’esercito della distanza lo riporterà a terra, o finiremo per dover firmare una autocertificazione prima di entrare in autogrill in cui dichiariamo di impegnarci a non scoreggiare facendo la pipì?

PS Nonostante i divieti ho preso un sacchetto di mollette dal settore proibito dei casalinghi e l’ho pagato alla cassa con disinvoltura.
Combattere il sistema, sempre!

Chiavistelloni VS Aperitonti

Longobardi e bizantini, guelfi e ghibellini, fascisti e comunisti: siamo sempre stati divisi in fazioni, ma l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha mescolato le carte in tavola. Sì perché adesso siamo tutti chiavistelloni, tifosi del lock-down, della chiusura sotto chiave, o aperitonti, che bramiamo il ritorno allo spritz del venerdì sera. Con varianti assolutamente insolite: a voler aprire può essere il reazionario nostalgico del regime che punta il dito contro la plutocrazia bancaria, come l’intellettuale di sinistra che grida allo scempio della Costituzione, accusa i poliziotti di fascismo e fa quello che alla sinistra riesce da sempre meglio: massacrare i governi di sinistra. 
Ho provato a delineare una tipologia di questi individui evitando espressamente di citare, per quel minimo di tatto che mi pare si debba salvaguardare anche quando si fa satira, quelle categorie che evidentemente sono a favore di una o dell’altra fazione perché più direttamente coinvolte (è ovvio che un medico voglia tener chiuso, perché ci tiene a tornare a salutare i figli a casa, e che un ristoratore voglia aprire perché i suoi figli vuole sfamarli: su questo c’è poco da scherzare).

Il chiavistellone pro da settimane è ossessionato dalle curve, le cerca su Internet e poi le pubblica a casaccio, pazienza che la sua scarsa conoscenza delle lingue l’abbia portato a confondere la curva epidemica con l’accelerazione da 0 a 100 km di una McLaren. Finalmente la sua passione per la cronaca nera, o meglio per le disgrazie altrui, trova un suo audace compimento: cerca deceduti su Internet solo per dispensare rip a destra e manca, minaccia di morte dal balcone i maledetti podisti agitando lo stura lavandino e ha chiamato i carabinieri perché ha scoperto che quella smorfiosa del piano terra esce senza guanti e mascherina.
Probabilmente è un pensionato che finalmente ha un motivo valido per presentarsi al supermercato un’ora prima dell’apertura, e ha paura di morire perché non si è mai sentito così vivo.
Il chiavistellone passion non è mai stato tanto felice; ha trovato nella quarantena il senso della sua vita. Legge, guarda la tv per ore, è in vacanza da tre mesi e l’unica sua preoccupazione è che tutto ciò potrebbe finire. Pubblica su Internet solo foto di cibo e di tanto in tanto qualche articolo allarmistico sul calo dello scorte di lievito, giusto per ricordare al mondo fuori che si sta sacrificando per il bene comune.
Plausibilmente il candidato tipo è una maestra di scuola elementare che non ha fatto nemmeno cinque minuti di didattica a distanza, perché per lei il rapporto umano è tutto e che non fa nemmeno lo sforzo di inviare i compiti a casa perché non ha Internet, e nessuno può obbligarla a connettersi. Ha una ricrescita tale che ormai solo le doppie punte sono rimaste nere, vive in simbiosi con la sua tuta acetata e le pantofole di peluche, tra la sua passione riscoperta per la cucina vegana e le passeggiate con Renato. Renato è il suo Yorkshire Terrier, l’unico essere vivente che non l’ha mai mandata a spendere – insieme ai gerani – perché non sa parlare, ma in compenso si domanda tutti i giorni perché mai il suo inferno dei tre mesi estivi con la padrona quest’anno sia cominciato così presto. 

Il chiavistellone light tendenzialmente si fida della scienza e pensa che se avessimo chiuso tutto per bene quando era il momento, altro che quasi duemila aziende aperte solo a Bergamo in deroga, nel pieno dell’epidemia, forse ne saremmo già usciti. Si preoccupa soprattutto per il sistema sanitario e crede che in un paese civile un regime così duro non sarebbe stato necessario. Poi si ricorda di quelli che ai posti di blocco dicono di essere infermieri o ambasciatori per evitare l’etilometro, e si rassegna.

E veniamo al fronte opposto, quello degli aperitonti. Cominciano in senso in verso, cioè con la versione light. L’aperitonto light vorrebbe aprire bar, ristoranti, aeroporti, centri commerciali, ma non perché preoccupato di una deriva antidemocratica o per difendere l’economia. No, l’aperitonto light è uno dei milioni di operai che non è stato a casa nemmeno un giorno, perché la sua azienda ha dichiarato di produrre beni essenziali anche se realizza apriscatole per mancini. Eccheccacchio, dice l’aperitonto, ma proprio solo io? L’unica cosa che lo consola è sapere di non essere affatto solo; anche suo cugino la cui azienda produce cerniere per corpetti bdsm si è fermata un solo giorno, ma perché il custode è morto di covid e nessuno aveva a portata di mano le chiavi di riserva del magazzino.

L’aperitonto business è preoccupato per l’economia. Ma non per il pil mondiale, chi se ne fotte. E nemmeno per i milioni di posti di lavoro che rischiano di andare bruciati. No, l’aperitonto business è preoccupato delle sue tasche, e solo di quelle. Ha ereditato diversi appartamenti con i quali, tra studenti in nero ammucchiati in quelli in periferia e air bnb per quelli in centro, vive di rendita da anni. Ha già ottenuto il bonus di 600 euro, il bonus baby sitter e i volontari gli portano la spesa a casa, ma gli girano lo stesso le scatole perché per colpa dei comunisti al governo la sua diciotto metri è attraccata da mesi in Liguria senza poterla usare. E poi è nervoso perché oltre tutto non va a prostitute da mesi e questa signori miei è dittatura.

L’aperitonto hard, infine, ha iniziato la sua avventura al grido di “è solo una influenza”. Una manovra di quei bastardi di big pharma per vendere i loro maledetti vaccini. Quando la gente ha cominciato a morire, ha iniziato a ripetere a tutti che i dati erano dati gonfiati, erano morti con il virus e non del virus, si è innamorato della parola infodemia e quando ha visto il video lanciato a febbraio da Ascom “Bergamo non si ferma”, girato per invitare a continuare ad andare al cinema e al bar, ha provato una eccitazione che neanche Pornhub sezione premium. Facciamo come in Francia, anzi no facciamo come in Inghilterra, anzi no facciamo come negli Stati Uniti. Alla fine è arrivato persino a elogiare quei c**attoni dei socialdemocratici svedesi che continuano a sfondarsi di aperitivo, tanto muoiono gli altri, io c’ho immunità di gregge. E se gli fai notare che negli altri paesi scandinavi i morti sono dieci volte di meno, ti grida feichgnius e ti toglie dagli amici. L’aperitonto più feroce è soprattutto quello che ha un impresa sì, ma totalmente sconosciuta al fisco: presentarsi per la prima volta allo Stato per chiedere soldi sarebbe scortese, suvvia.
Il modello femminile di questo gruppo invece è quello della mamma in carriera, la professionista abituata a vedere un paio di volte alla settimana i figli, che ha drammaticamente scoperto la loro esistenza e si è resa conto che hanno esigenze, pensieri, persino sentimenti. Prima ha bestemmiato in aramaico per la chiusura della piscina, del corso di Judo e di quello di lingue orientali morte, minacciando di cause legali i gestori e tempestandoli di e-mail ricattatorie, che tanto i bambini non si ammalano; per la chiusura delle scuole ha dato fuoco alla bandiera italiana in puro cachemire autografata da Briatore; quando ha scoperto che la babysitter era in quarantena è andata al maneggio, ha decapitato il cavallo del marito con un’ascia fatta in casa e ne ha spedito la testa a Conte. Esce di casa con la mascherina che le serve a nascondere un massaggia gengive in cuoio, che morde tutto il giorno per sfogare i nervi, mentre il marito gioca alla playstation e si lamenta dei figli che lo distraggono mentre completa l’ultimo livello di Final Fantasy VII Remake prima di ordinare la pizza.

PS. Se c’è una cosa che ho capito in questi lunghi giorni, è che questa orrenda crisi ci ha diviso non solo in chi vuole aprire e chi vuole chiudere, ma anche in quelli che si lamentano, da un lato, e quelli che piangono, dall’altro.
Sapete che vi dico? Vi auguro con tutto il cuore di continuare a lamentarvi.