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Sei italiano se…

Si chiamano solitamente “Sei di quel posto se…” e all’inizio sembravano innocenti gruppi su Facebook con cui condividere la propria appartenenza ad una comunità. Il successo è stato clamoroso, soprattutto per quelle comunità più piccole dove questi gruppo si sono trasformati in una piazza virtuale. Una piazza allegra, all’inizio, in cui condividere progetti, idee, esperienze, far nascere nuove amicizie, riscoprirne di vecchie.
Poi però quell’entusiasmo dolce dei pionieri si è un po’ inacidito. In qualunque posto c’è un rompiballe che da decenni si lamenta perché vuole un lampione davanti casa che gli illumini il giardino a spese della collettività. E così, con fare non curante, eccolo postare un commento “Non so se è il gruppo giusto, ma vorrei segnalare che in via degli sfigati 88, civico 17, nonostante le ripetute segnalazioni, ci vorrebbe un lampione. Dobbiamo per forza aspettare che capiti qualcosa di brutto?”. Il rompiballe è già stato dal sindaco che gli ha fatto notare che c’è un lampione al civico 15, non è che via degli sfigati può diventare tutto ad un tratto Las Vegas. Non vinto sarà andato dal vicesindaco e dal capo dell’opposizione, avrà scritto ai quotidiani locali pretendo di essere informato in caso di pubblicazione (perché il rompiballe non compra un quotidiano dal 9 luglio 2006, quando prese Tuttosport). Dopo avrà cominciato a lamentarsi perché il gestore del gruppo non pubblica tutti i suoi commenti…
A quel punto qualcosa ha ceduto. La sottile membrana che separa il diritto di opinione dalla barbarie si è strappata, il gestore si è stufato e ha pubblicato il commento, e da lì la valanga. Ma vogliamo parlare della raccolta differenziata? E della buca davanti casa mia? Hanno cominciato a scrivere anche quelli che non sapevano scrivere nemmeno ai tempi delle scuole, con sanguinosi stermini di congiuntivi, “è” verbo essere e “ha” verbo avere. Tutti a lamentarsi e ad esigere, a lamentarsi delle lamentele degli altri e a esigere che prima si risponda alla propria richiesta e poi a quella degli altri.
Paradossalmente gli unici post a sopravvivere all’ondata di rancore sono stati quelli sui cani perduti. Ogni minuto in Italia si perdono 6 mila miliardi di cani, forse il doppio, o forse ormai un cane non è libero neanche di farsi una pisciatina in fondo al giardino del padrone senza essere fotografato da un animalista che ne pubblica una foto con un commento “è buono ma non si fa prendere, fate qualcosa ha lo sguardo triste”. E ci credo che non si fa prendere da un imbecille che ha il tempo di pubblicare le foto di tutti i cani del quartiere, ma se gli chiedi di differenziare carta e plastica non ha tempo perché deve lavorare, lui.
Un’unica, colossale valanga di lamentele, pretese e rancori ha occupato questi gruppi, ne ha superato i confini, è arrivato a conquistare la politica nazionale con le sue esigenze che vengono sempre “prima”, con la nostalgia di un tempo perduto fatto di manovre in deficit e debiti scaricati sui nipoti.
A proposito, in via degli sfigati 88, al civico 17, ora c’è un lampione, la cui unica funzione è quella di illuminare il giardino del rompiballe a spese della collettività. Infatti sei italiano se... oltre al lampione magari gli paghi anche la pensione (non ha versato un contributo in vita sua ma ne ha diritto, lui, perché è italiano) e il reddito di cittadinanza al figlio, che gestisce gruppi Facebook in cui si insultano immigrati, la cui unica colpa è quella di non aver letto un “Sei di quel posto se” prima di imbarcarsi.

Cattiva maestra Internet


computerLa mia generazione è cresciuta con un mito profondamente radicato nella nostra cultura progressista, quello della televisione cattiva, accompagnata dai giornali di parte. Indipendentemente da una attenta analisi dei contenuti, la tv era considerata un mezzo di comunicazione manipolatorio, falso, distorsivo. Un’arma nelle mani di chi la gestiva, che con il suo potere poteva esercitare un’influenza più o meno occulta su una massa ingenua e indifesa. Legati all’intramontabile idea positivista che l’uomo in fondo è buono ma va educato, ci siamo tutti convinti del fatto che la massa, questa conosciuta, era buona, ma era la tivù ad essere cattiva.

Ecco perché in tanti hanno salutato l’avvento delle nuove tecnologie, la rete, come qualcosa di innovativo e straordinariamente democratico. E forse, nei primi anni, quando si è replicato un modello tra emittente e ricevente più semplificato, perché è più facile per un giornale sopravvivere sul web di quanto non lo sia su carta, questo è stato vero. Abbiamo assistito ad un’autentica pluralità del mezzo perché tante voci si sono affacciate sul mercato dell’informazione. Anche questo mio blog, sulla quale fate una visita di tanto in tanto da ormai dodici anni, non avrebbe potuto esistere qualche decennio prima.

E poi però qualcosa ci è sfuggito di mano. Abbiamo cominciato a sentire parlare di “morte del giornalismo” da parte di blogger che rivendicavano la non appartenenza ad alcuna categoria professionale. Come se l’attività di giornalista si identificasse con quella della scrittura. Quello è l’ultimo passaggio. Prima c’è la verifica delle fonti, la raccolta delle notizie, il confronto, l’autocensura, quando necessario. Tutti passaggi che a molti blogger, ossessionati solo da click e visibilità e privi anche dei minimi fondamentali della deontologia professionale, mancano completamente. Quei blogger che rilanciano le stesse bufale da dieci anni segna sognarsi prima di fare una ricerca di pochi minuti. Un blogger che dice di fare giornalismo è come un rivenditore di pane surgelato che dice di fare il fornaio. Nessuno deve impedirglielo, ma distinguiamo le cose. E attenzione, non è questione di diplomi o ordini, ma di metodologie. La stessa persona può essere blogger, divulgatore, giornalista, medico, a seconda del contesto, ma appunto, distinguiamo il contesto. Perché altrimenti non ci accorgiamo che Internet può diventare il peggiore dei maestri.
In questi anni Internet ha colpito e distrutto, in alcuni settori, la funzione dell’intermediazione. Perché facciamo da soli. Non abbiamo bisogno di un agente di viaggio, perché ordiniamo online. Non abbiamo bisogno di un librario, perché ordiniamo online. Non abbiamo bisogno di un bancario, perché abbiamo il conto online. Non abbiamo bisogno di un farmacista, perché ordiniamo online. Ho letto di recente un articolo in merito di Baricco che mi sento di sottoscrivere. A parte l’effetto devastante che ciò ha avuto sul mercato del lavoro occidentale, dove i servizi, che erano sopravvissuti alla delocalizzazione, sono stati messi in crisi da questo sistema (migliaia di librerie e negozi di dischi che chiudono e una multinazionale che fa miliardi, scusate lo sfogo luddista ma non mi pare proprio un trionfo della sinistra), il tema è quello che non ascoltiamo più l’esperto. Il librario che ci consiglia un libro poco noto, il farmacista che ci dice di non esagerare con gli anti-infiammatori, l’agente che propone un viaggio alternativo alla Siria, di questi tempi. Non ci sono più esperti. Non riconosciamo la loro autorità perché non attribuiamo più il giusto valore al sapere e allo studio. Tu hai dedicato tutta la vita allo studio dei vaccini, e con te altri migliaia di medici? Balle, c’è un biologo nel Wyoming che dice che fanno male, l’ho letto su Internet, eh? Da strumento contro il potere, Internet è diventato strumento contro il sapere. Tu fisico mi spieghi i processo di condensazione per cui gli aerei lasciano una scia visibile ad occhio nudo? Balle, c’è un’associazione ecuadoregna che dice che sono un complotto governativo, l’ho letto su Internet, eh?

Immaginate cosa accadrebbe se un programma televisivo o una rivista promuovessero con continuità l’urinoterapia, o la negazione dell’Olocausto, o la cura del tumore con l’acqua e il limone. Oppure se si linciasse pubblicamente una persona senza che il conduttore si senta un minimo in dovere di intervenire. Proteste, cause, dimissioni, associazioni, raccolte firme. Su Internet tutto ciò esiste da sempre, e non ci sono né conduttori né, in molti casi, editori. E non è più un mezzo da universitari ventenni appassionati di Star Trek. Su Internet ci sono tutti, mamme in perenne lotta con il congiuntivo, ultras che ruggiscono dietro una tastiera e pensionati che insultano e cazzaggiano tutto il giorno su Facebook e Whatsapp ma poi si incavolano quando un ente chiede loro di mandare una e-mail.
V.O.T, cantava Baglioni anni fa parlando di tivù (Vuoti V.O.T. vuoti V.O.T. vuoti, Con le facce da idioti, V.O.T. vuoti V.O.T. vuoti, Belli beneamati e beoti…), oggi Mentana parla di webeti. C’è un filo che lega tutto.

Non era la tivù a renderci idioti. C’erano tanti idioti che guardavano la tivù. Quelli ci sono sempre stati, e sono tanti, e postano, e votano. Non c’è niente di male in tutto ciò, è la democrazia, bellezza. Però se davvero vogliamo capire quello che sta succedendo dobbiamo smetterla di leggere i corsivi degli editorialisti e cominciare a leggere i commenti sotto. Perché l’idiozia è contagiosa, ma presa per tempo si può curare.

Mi arrendo, hai ragione tu. Buon per te. Però adesso basta tofu

Abbiamo avuto tutti quell’amico o amica che dopo aver provato un nuovo shampoo, dopo aver visitato un nuovo locale o letto un libro, doveva a tutti i costi convincerti della qualità superiore della sua esperienza. Va bene, gli rispondevi tu, ci darò un’occhiata, sono contento per te, se proprio ci tieni, te lo prometto, no, non mi serve un campione, no domani non posso venire con te, ti prego non insistere BASTA! al diavolo tu il tuo romanzo del cavolo non lo leggerò mai nemmeno se tutta la terra rimanessero solo quel romanzo e uno di Fabio Volo. Dammi tregua.
Persone che in un modo o nell’altro devono necessariamente convincerti della bontà delle loro scelte, soprattutto per convincere se stessi. Si tratta di un comportamento molto ben conosciuto dalla psicologia sociale che è alla base di molte strategie di marketing. Ed è incredibilmente amplificato dall’uso dei social network.

Per cui ecco quello che ha comprato la Golf che non fa altro che sostenere la superiorità del cambio della sua auto, del profumo dei tappetini e di quanto sia dimagrito da quando guida una VolksWagen, quello che ha scoperto quanto il suo intestino ami le prugne secche e vuole che l’umanità lo sappia e condivida questo modo di esternare il proprio interiore. Di fronte a questi comportamenti provo sempre un forte imbarazzo. Perché quello che fa propaganda razzista o ripubblica notizie inventate fatte per fomentare l’odio dopo un paio di avvisi lo cacci via domandandoti perché hai sprecato tanto tempo per leggere le sue stupidaggini. Allo stesso modo quello che fa proselitismo politico o religioso lo individui e lo isoli facilmente.

Ma ci sono casi più difficili da gestire. Ultimamente per esempio la mia bacheca con una certa frequenza si riempie di articoli di donne quarantenni che dichiarano felici di non avere avuto figli, articoli citati e postati da donne quarantenni senza figli che mi auguro siano felici.

Come ti comporti con una che continua a ripetere quant’è bello non avere figli? Sono contento per la tua scelta, io non sono mai stato donna per cui il problema non me lo sono posto, immagino che partorire non sia affatto piacevole, ma da papà dico che so che non siamo tutti uguali e meno male. Buon per te.

Sicuro, una donna non è solo una madre. Certo che i figli non sono il bastone della vecchiaia. Hai perfettamente ragione, il tempo che sacrifichi per i figli non torna più, no non voglio leggere l’ennesimo articolo di una quarantenne che passa i pomeriggi in palestra bevendo te verde, perché così realizza la sua femminilità, BASTA! Al diavolo tu e le tue scelte, prenditi un cane se ti senti tanto sola, dammi tregua, cacchio!
E non parliamo poi di quelli che hanno scoperto le virtù superiori degli esseri vegani e guardano dall’alto in basso te e le tue salsicce arrosto. Sicuramente vivrai più a lungo, sono certo che il tuo cuore è più in forma del mio, il tofu è meraviglioso, w il tofu, più tofu per tutti. Mi arrendo, hai vinto tu. Basta.
I campioni di shampoo che mi facevi provare li ho tutti buttati via senza mai aprirli, maledizione, e i tuoi articoli faranno la stessa fine. E il tofu fa cagare, più delle prugne, cacchio.

Nostalgia delle attese noiose

smartphoneAlla fermata dell’autobus ti capitava di guardarti intorno, osservare i tuoi compagni casuali di viaggio, guardare i palazzi e osservarne le tracce di vita dai balconi o le scale. In fila dal medico, rifiutando di sfogliare quelle riviste di 3 anni prima, te ne stavi lì a ripensare al film visto la sera prima e a come lo avresti girato tu se mai fosti stato un regista. Sotto la pioggia, intirizzito sotto l’ombrello nell’attesa di chissà che, ti perdevi nei riflessi delle pozzanghere e ai ricordi di infanzia che quegli schizzi ti ricordavano.
Erano momenti di vuoto. Di noia, forse. Momenti in cui per forza di cose il tuo cervello si sgranchiva perché non aveva niente nell’immediato da fare. E quei momenti non ci sono più, perché in quelle stesse circostanze tiriamo immediatamente fuori il nostro smartphone e cominciamo a indignarci per i post dell’amico che ci ricorda la guerra in Siria, a ridere per la solita foto del gattino che esce dal cesto della biancheria, a commentare l’ennesima sconfitta della nostra squadra di calcio. Per carità, non è certo solo Facebook il problema. Io per esempio mi perdo spesso nei meandri delle app con le rassegne stampa, e mi rendo conto che leggo molte più notizie di 10 anni fa e compro una quotidiano al mese quando va bene. Però leggo solo quelle cinque o sei notizie principali, e delle notizie minori delle pagine interne se ne perde traccia.

Dobbiamo avere nostalgia di quelle attese noiose? Io non credo. Anche perché io quei vuoti ho sempre cercato di riempirli per esempio portandomi dietro un libro tascabile, e per esempio “La coscienza di Zeno” l’ho letto in lavanderia ai tempi dello studentato universitario.
Però ogni tanto fantasticare, ricordare, distrarci, lasciare che il cervello gironzoli senza un obiettivo credo che ci faccia bene. Magari ci sono delle belle idee là in fondo al nostro cervello che aspettano in fila di potersi esprimere, ma finché ci gingilliamo con Candy Crush difficilmente troveranno spazio.

Dieci segnali che indicano che la tecnologia ti ha cambiato troppo la vita

tecnologia10) Prima di andare a cena da amici controlli le recensioni sui siti specializzati
9) Stai ancora cercando una tecnica per zippare le scarpe della tua ragazza e comprimerle tutte in un cassetto
8) Prima di dire qualcosa di importante conti mentalmente che la frase non abbia più di 140 lettere
7) Cambi fruttivendolo perché il tuo ha un curriculum online non aggiornato
6) Al posto delle tende metti dei filtri colorati alle finestre
5) Usi raccomandate con ricevute di ritorno per gli auguri di Natale, perché sei abituato a sapere se gli altri leggono i tuoi messaggi
4) Ti irrita enormemente il fatto che non ci siano le mappe navigabili del mercato rionale
3) Ogni tanto pigi su una foto del quotidiano e ci resti male nel renderti conto che la carta non si muove
2) Quando guardi una partita di calcio muovi sistematicamente i pollici nel tentativo di indirizzare i giocatori in campo
1) Dopo aver sbagliato candeggio cerchi disperatamente il tasto “annulla” sulla lavatrice

Un anno di pensieri del giovane papà

bimbe_in_bibliotecaBarbapapà – anni 70 – era un vero capofamiglia rispettato. Papà Pig – anni 2000 – è un imbecille deriso da tutti i familiari. Nella rappresentazione della figura paterna nei cartoni c’é la chiave per comprendere il declino dell’impero culturale occidentale.

A Fiabilandia con la famiglia. Nel castello di Mago Merlino giurerei di aver visto Alfano che gridava “pacificazioneeeee!”Infatti siamo usciti terrorizzati sia io che mia figlia.

Ho la casa talmente in disordine che stanno appassendo anche i fiori di plastica.

Papà, ma se diamo i miei giocattoli ai poveri poi divento povera io… Mia figlia ha un futuro da dirigente del PD.

Cinema? Sono un papà io, non guardo i film. Leggo le trame.

Dopo il ritorno di Fiona ed Hello Kitty, che sono ormai habitué, quest’anno fanno il loro ingresso nel presepe Peppa e Peppo (Peppo è George, Serena non riesce a chiamarlo così)

Sono le tre del mattino.
Uno sguardo femminile mi fissa ai piedi del letto, la sagoma nell’oscurità appena accennata, il movimento incerto. Una mano si muove verso di me.
Poi si tradisce:
– Papà, e il ciuccio?

Un parco senza bambini è come una pentola senza maccheroni. Però ogni tanto fa bene rinunciare ai carboidrati.

Aspetto da un momento all’altro che un ispettore dell’Onu bussi alla mia porta e mi chieda di analizzare un pannolino di mia figlia.

Dopo due ore di Peppa Pig anche Mr Bean sembra Kubrick.

Giuro che il prossimo mio mini pony, kitty club o quello che è che trovo in giro lo decapito con lo schiaccianoci.

Non è il fatto che la piccola abbia di nuovo nascosto il dentifricio a darti fastidio. É il dover chiudere la giornata lavandoti i denti con il dentifricio della grande che sa di marmellata di Big Bagol che proprio non si affronta…

Umiliato 32 a 16 dalla primogenita nel memory delle principesse. A mio discapito c’è da dire che non ho ancora capito la differenza tra Cenerentola, la Bella addormentata nel bosco (che è sempre Bella ma non è quella della Bestia) e la Sirenetta quando è in abiti civili.

A quindici mesi suonati nel sorriso di Serena è spuntata la prima sagoma di un dentino. “Vigliacco, l’hai fatto per la diaria” hanno commentato gli altri 31.

Messaggio per tutti i ragazzi che vogliono studiare comunicazione. Verrà il giorno in cui vostra figlia vi chiederà: che lavoro fai tu papà? E quel giorno invidierete profondamente i vostri amici insegnanti, medici o carabinieri.

Ma Martina, non puoi uscire con il pantalone del pigiama. Papà, quello è rosa! Perché invece quello che indossi di che colore è? È fucsia papà. Ecco. Dovrebbe essere impedito ai mezzi daltonici come me allevare figlie femmine.

[A proposito del referendum contro il finanziamento pubblico delle scuole private]Non c’è posto sull’autobus? Non ti piacciono? Sono scomodi? Sono poco efficienti? Non vuoi condividerli con persone diverse da te? Bene. Chiama un taxi e pagatelo, non ho nulla in contrario se usi un mezzo privato e te lo finanzi tu. E perché mai allora dovrei pagare io per la tua scuola privata?

“Papà, credo che essere grossi aiuti a tirare pugni forti”. Martina alle prese con la delusione di essere stata sopraffatta da una compagna di scuola materna anagraficamente più giovane ma evidentemente ben piazzata,

Sono sempre più intimamente convinto che prima dell’homo erectus venne la mulier erecta che si mise in piedi per raggiungere più agevolmente i giocattoli della sorella

“Papà hai i capelli bianchi” “Eh, Martina, mi state facendo diventare vecchio” “Non preoccuparti papà, più diventiamo grandi noi bimbe meno serve il papà”