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La prima app del mattino

Da qualche mese uso i mezzi pubblici, autobus e treno, per andare a lavorare. In autobus di solito siamo in tre a non guardare lo smartphone tutto il tempo: io, un vecchio senza occhiali da vicino e l’autista. Sull’autista però non sono del tutto sicuro. A giudicare dalle frenate, in effetti, alcuni probabilmente mentre guidano usano lo smartphone, la griglia per il barbecue e già che ci sono fanno anche un po’ di addominali. Ma non distraiamoci.

Il fatto è che io non uso lo smartphone sia perché a quell’ora del mattino mi sembra di violentare gli occhi, sia perché mi diverte guardare gli altri, che ipnotizzati come sono, non si accorgono di nulla. Gli uomini non sono molto interessanti, a dire il vero: prevedibili come un viaggio in ascensore in una palazzina a tre piani. Tendenzialmente schiacciano palline variopinte, rapiti da decine di diverse variazioni sul tema di Tetris, e le loro capacità intellettive si esauriscono tutte lì. Hanno degli schermi ad alta risoluzione e smartphone grandi quanto un vassoio, e li usano fondamentalmente per schiacciare palline. In alcuni casi anche per seguire i gol del giorno prima, a dire il vero. E poco altro: con i maschi finisce così. Probabilmente l’altro uso che fanno con il telefono è legato a qualche sito a luci rosse, ma in autobus ci risparmiano questo spettacolo, anche perché con l’altra mano devono tenersi aggrappati.

Ma è con le donne che ci si diverte. Ci sono le donne straniere che chiacchierano a voce alta in videochiamata. Immagino che dall’altra parte ci siano parenti, magari figli, ma proprio non riesco a spiegarmi perché quel momento di condivisione familiare, così intimo se vogliamo, debba essere vissuto sull’autobus 36. Dall’altra parte c’è tua figlia a Islamabad, forse: collegati in piazza Santo Stefano, dico io, sotto i portici, ai Giardini Margherita. Falle vedere qualcosa di carino alle tue spalle che non sia il solito pensionato che inveisce contro il governo, il sindaco e l’amministratore di condominio mentre continua imperterrito a inserire il biglietto nella macchinetta in senso contrario. Che poi, con queste videochiamate, è un attimo e l’immagine del tuo faccione decomposto del primo mattino, con le tracce di dentifricio accanto alle labbra e la bolla al naso può finire dall’altra parte del pianeta. Sono brutti momenti, dai. Da quando me ne sono reso conto sto sempre lontano dalle signore straniere con lo smartphone.

Poi ci sono le liceali, il futuro del nostro paese (davvero riponete qualche speranza in quei cretini che schiacciano palline scuotendo il telefono per massimizzare l’effetto?), con i loro capelli pettinati, i loro occhiali spessi, gli zaini sulle spalle e… Gli ultimi aggiornamenti su Pomeriggio 5, Amici, il Grande Fratello. Il futuro dell’Italia. Con un po’ di fortuna emigreranno in Francia dove serviranno in un caffè contestando il loro paese che non ha dato loro una possibilità. Le donne giovani a dire il vero tendenzialmente chattano. Che sia Messenger, WhatsApp o chissà quale altra applicazione, loro scrivono, scrivono, scrivono. Secondo me dovrebbero inventare un servizio online che si limita ad fingere di leggere, e rispondere ogni tanto “Quanto hai ragione” “Come ti capisco” “Su questo sono d’accordo” “lo dice anche il tuo oroscopo, oltre tutto” “anch’io”. Avrebbe più efficacia di tanti ansiolitici.

E poi c’è lei, la mia vicina di posto che l’altro giorno mi ha spinto a scrivere questo post. Si è davvero impegnata tanto. Quando mi sono avvicinato a lei non ha nemmeno alzato lo sguardo, tanto era presa dall’applicazione. D’altronde, ho capito che era di fronte ad un passaggio decisivo: stava scegliendo le scarpe. L’app in questione infatti permetteva di vestire una specie di manichino, come quelle sagome che le nostre compagne d’asilo ritagliavano dai giornalini e incollavano sul cartone, per poi addobbare come alberi di Natale. Una volta scelte le scarpe (il top e i pantaloni attillati li aveva evidentemente già individuati prima che cominciassi a sbirciare), il dramma: nessuna delle borse possibili era adeguata. La mia vicina ha cominciato a selezionarne  diverse dapprima incuriosita, poi nervosa, alla fine in preda al panico: piccola, piccolissima, colorata, nera, in pelle, di cotone, grande, con tante tasche, senza, zebrata, scamosciata. Alla fine, insoddisfatta, ha deciso di cambiare scarpe, via gli stivaletti, ma a quel punto forse la gonna era più opportuna, e l’acconciatura? Non era forse il caso di raccogliere i capelli in una coda di cavallo, con un atteggiamento più sbarazzino piuttosto a quei capelli lunghi e mossi ma che richiedevano una borsa d’alta moda?

Non so sinceramente come sia andata a finire, è scesa continuando ad armeggiare disperatamente alla ricerca di una soluzione.
Speriamo che l’autista donna non scopra quell’app, altrimenti siamo finiti.

La ragazza con il pantaloncino in riva al mare

spiaggiaVorrei fare qualcosa per te, perché lo so che non è giusto.
Vorrei poterti dire che presto passerà, ma quel presto potrebbe essere tra quattro giorni e magari domani tu parti.
Vorrei poterti dire che quello che sta accadendo nel tuo organismo probabilmente ti farà vivere qualche anno in più di tuo fratello, ma tuo fratello sta sguazzando felice nel mare mentre tu combatti con un cerchio alla testa e ti domandi perchè doveva succedere proprio oggi.
Tu, ragazza malinconica con il pantaloncino in riva al mare.
Ma non dico niente perché si vede lontano un miglio che sei talmente incaxxata che potresti far volare in Nord Africa tre file di ombrelloni solo aprendo bocca. Non dico niente perché la verità è che una incavolatura così noi maschi possiamo solo immaginarla. Può capitarci per esempio di dover lavorare quando gioca la nazionale, ma insomma. Può succedere di ammalarsi il giorno prima di un viaggio prenotato da mesi. Può capitare di essere invitati ad una cena succulenta il giorno dopo una brutta gastroenterite. Però tutto ciò non rende a pieno il tuo stato d’animo, ragazza “indisposta” come dicono le persone per bene, che hai scoperto di non poter fare il bagno proprio oggi che ti hanno portato a mare. E chissà domani. Chissà.
Mentre quel cretino di tuo fratello, di tuo marito, di tuo padre o anche solo il tuo vicino di ombrellone si diverte beato, tu stai lì a soffire, e dire che oggi fa un caldo pazzesco. Parliamo pure di parità e chiacchiere vare, la verità è che il contributo più severo alla sopravvivenza della specie tocca proprio a te e alle altre donne, a voi che magari di figli non ne volete e non ne avrete mai, ma ciò nonostante una volta al mese potreste essere costrette ad essere al mare in pantaloncino.
E dire che hai pure qualche amica che riesce a fare tranquillamente il bagno, complice qualche ritrovato tecnologico di ultima generazione: vogliamo andare su Marte, riusciremo a fare andare al mare le ragazze in quei giorni lì. Si però quel ritrovato tecnologico con te evidentemente non funziona adeguatamente, o non ti rassicura abbastanza.

Ragazza malinconica con il pantaloncino in riva al mare, sei il mio eroe della giornata.
Perché avresti potuto restartene chiusa in albergo, avresti potuto rimanere sotto l’ombrellone a leggere Fabio Volo o Topolino (ma quest’ultimo solo se l’emicrania è leggera), avresti potuto nasconderti. Invece te ne stai lì, orgogliosa, fiera, ti bagni i piedi e guardi l’orizzonte speranzosa che un bel nuvolone appaia da sud e un violento acquazzone estivo rovini la festa a questa massa di strxxxi che si divertono, spensierati, alla faccia del tuo mal di pancia.

Licenziare il principe azzurro

Lprincipeicenziare il principe azzurro. Ora, subito. Se proprio non possiamo o vogliamo liberarcene con metodi più efficaci ma cruenti, il licenziamento disciplinare per giusta causa è un atto che non possiamo più rimandare. I gravi danni provocati da questa figura, presente da secoli nella cultura occidentale ma impostasi nei cuori di innocenti fanciulle solo nel secondo dopo guerra, sono sotto gli occhi di tutti. Complici anche i successi planetari di alcune trasposizioni cinematografiche, il principe azzurro ha rovinato generazioni di donne.

Migliaia di quarantenni belle, intelligenti, simpatiche, con una professione valida, interessanti, che se ne stanno lì alla finestra ad aspettare il loro principe azzurro. Proprio così. Ce ne sono ovunque. Sono in mezzo a noi, in alcuni casi si mimetizzano, ma il loro numero cresce esponenzialmente senza che le autorità intervengano per fermare il fenomeno. E attenzione, non parlo di quelle che cambiano principe con la frequenza con cui si cambia la biancheria intima (spesso in concomitanza). Talmente veloci nel loro turbinio sentimentale che del principe la mattina dopo non ricordano affatto il colore, azzurro, rosso, verde, chissà. Loro vivono la loro vita in libertà senza crucci, e al limite al principe grigio penseranno con la pace dei sensi. Loro sono a posto, escludiamole. Non mi riferisco nemmeno alle donne che sentono il bisogno di un uomo come di un videoregistratore betamax o di un ventilatore a pedali.

E attenzione, non parlo nemmeno delle zitelle, quelle donne più acide di un bicchiere di latte scordato sul tavolo della casa al mare a settembre e riscoperto il giugno successivo. Anche loro vivono in libertà e senza crucci, al limite qualche problema potranno averlo gli esseri viventi che malauguratamente ne incroceranno il destino, siano essi colleghi, parenti, vicini di casa, piante da balcone. Al limite troveranno conforto con gli acidi uomini zitelli, che non sono da meno. Ma, come dicevo, non parlo di loro. Le quarantenni condannate dal principe azzurro, cui faccio riferimento in questo articolo, hanno tutto per piacere e vorrebbero anche compagnia, al contrario delle altre, vai tu a capire perché. E magari sono anche un po’ infelici. Non un’infelicità da dramma, per carità. Diciamo piuttosto quell’infelicità che ti prende quando scopri in fondo alla tasca dei pantaloni un buono sconto che non hai usato in tempo, ecco. Quell’infelicità lì.

Perché parlo di quarantenni? Perché a vent’anni hai altro a cui pensare, a trenta hai ancora la vita davanti, a quaranta pure ma, come dire, anche quella che hai dietro comincia a farsi notare.

Il principe azzurro già dal nome italiano dimostra la sua pochezza, come cappuccetto Rosso si identifica per le scelte cromatiche dell’abbigliamento: almeno gli inglesi lo chiamano principe affascinante, è già più dignitoso. Chi è costui? Un uomo bello, affascinante appunto, ricco e forse anche intelligente (a dire il vero non ci sono prove che attestino quest’ultimo dettaglio, per cui procediamo per supposizioni), il prototipo insomma di ciò che nessun uomo sarà mai, perché la combinazione dei tre elementi è impossibile. Ci sono quelli belli e ricchi (con i soldi di solito non si lavora in fabbrica e la morbidezza della pelle ci guadagna) ma intelligenti quanto l’aiutante automatico di Windows, quelli belli e intelligenti che però di mestiere lavorano nei call center o fanno i cultori della materia all’Università, quelli ricchi e intelligenti ma belli come un ritratto cubista. Aspettare la terna è come vincere alla lotteria.

Anche perché serve un quarto elemento decisivo: il principe azzurro delle favole arriva e, patapunfete, si innamora della protagonista nella quale alcune donne si identificano. Senza bisogno di essere sedotto. Senza che Cenerentola gli abbia mai cucinato, che so, due spaghetti allo scoglio, senza che Biancaneve abbia bisogno nemmeno di mostrare una giarrettiera. Senza fingere di capirne di calcio o motori, senza dare l’impressione di essere interessate a quello che lui dice. Alcune se ne stanno addirittura stese prive di sensi, e in quel torpore conquistano il cuore del bellimbusto coronato. A loro basta stare lì, e il principe azzurro cade ai loro piedi. È questa la fregatura delle quarantenni cresciute con il principe azzuro: stanno lì ad aspettarlo, quando invece bisogna battersi e darsi da fare per conquistarlo. Fare la prima mossa e se serve anche la seconda e la terza, che se le donne son cresciute ascoltando le fiabe, gli uomini son cresciuti guardando Sanpei. E infatti sono degli autentici baccalà da cacciare e cuocere.
Sempre che ne valga la pena, direte voi, visto che nessuno sa veramente cosa celi quell’ambiguo “e vissero tutti felici e contenti”…

Il Signore ti chiama in tanti modi, ma non al cellulare

Un bel cartello posto di fronte alla porta di ingresso della chiesa che sono solito frequentare riporta: “il Signore ti chiama in tanti modi, ma di sicuro non ti chiama al cellulare. Perciò, per favore, spegnilo”. Più facile a dirsi che a farsi, soprattutto per le signore di una certa età, che a quell’arnese non volevano cedere, che non ne vedevano l’utilità, ma che adesso che ce l’hanno, se lo portano sempre dietro. In borsa. Non si sa mai, metti che zio Lilino, quello che abita lassù, non decida di chiamare. O magari il figlio – oggchiesaesummaria – chiami perché è successo qualcosa. Proprio in quella mezz’ora lì. E in effetti chiamano, e le reazioni purtroppo non sempre sono composte.
C’è quella che ha la suoneria della carica dei bersaglieri, e l’ha impostata al massimo del volume, perché si sa, con gli anni, le orecchie si induriscono. Solo i discotecari più tamarri e le signore devote di una certa età riescono a tenere il cellulare con suonerie con quella potenza. Solo che i discotecari più tamarri ad un certo punto rispondono. Con le signore, invece… Quando suona, il primo ad accorgersene è il chierichetto, perché l’onda d’urto fa tremare il calice sull’altare. Poi ovviamente il panico si diffonde, tutti cominciano a cercare freneticamente nelle tasche, nelle borse, ma è un atto di gentilezza nei confronti dell’unica vera responsabile. La quale solo dopo alcuni minuti di fanfara, mentre tutti la osservano come se stesse per partorire un alien, finalmente comincia ad attivarsi. Via il foulard. Via i fazzoletti. Via i guanti. Via le mentine. Le borse delle donne non decrescono con l’età, ma purtroppo i riflessi e le loro capacità di destreggiarsi sì. Intanto, tutti sperano: vabbé, prima o poi riattaccheranno. Macché. Zio Lilino che abita lassù lo sa che la cugina è sorda, e insiste, insiste, insiste. Una volta ritrovato l’ordigno, tra il sollievo e il giubilo dell’assemblea, occorre però disattivarlo. E la povera disgraziata, che nella ricerca si è ormai mezza denudata, è in sottoveste e ha un rossore inquietante che le infiamma le gote, ormai non è più in sè, non lo trova quel maledetto pulsante. Qualcuno finalmente si impietosisce, si avvicina, e zittisce i bersaglieri, mentre il coro dei fedeli intona l’alleluja.

C’è poi quella che nega spudoratamente. Di solito ha la suoneria di “Per Elisa”, un telefono gsm da un chilo e mezzo, e appena comincia a suonare si guarda intorno sdegnosamente. I suoi occhi infuocati proiettano disprezzo sui vicini così cafoni: nessuno ha il coraggio di farle notare che è dalla sua tasca che viene quel suono. Alcuni credono che in realtà la devota in questione sia talmente convinta di essere nel giusto che davvero non si rende conto di rendersi ridicola con quell’aggressività dissimulata e piena di sé. D’altronde, qualcuno che vota Formigoni ci deve pur essere.

Ma la mia preferita è quella che ha messo il vibratore. Se ne sta tranquilla: ha messo il vibratore, non disturberà nessuno. Peccato che il vibratore del suo modello metà anni novanta, appoggiato al ventaglio e all’ombrello in borsa, fa più o meno lo stesso rumore di elicottero in fase di atterraggio. Cosa avete da guardare, tutti? Avanti, seguite la predica. Non vi preoccupate, non c’è nessun terremoto. La panca trema ma non vuol dire. Ho messo il vibratore, io. Non sono mica una vecchia ignorante come voi altre.

Donne, uomini e tecnologia

vhsGli uomini inseriscono i coltelli nella lavastoviglie con la lama verso l’alto, perché è risaputo che così si lavano meglio. Le donne inseriscono i coltelli nella lavastoviglie con la lama verso il basso, perché è risaputo che così si evita di scarnificarsi le braccia. Gli uomini rimuovono la polvere dai loro prodotti tecnologici, le donne usano prodotti tecnologici per rimuovere la polvere.
Gli uomini usano più shampoo e prodotti di bellezza per la propria automobile di quanto non ne usino per se stessi; per le donne a parte la benzina e l’acqua per i tergicristalli, di cos’altro dovrebbe avere bisogno quell’arnese per andare?
Gli uomini riempiono la lavatrice prima di farla andare perché così consuma meno acqua. Le donne la fanno andare appena vedono sentore di calzini post-calcetto, perché ritengono che la loro serenità venga prima del consumo d’acqua.
Per un uomo occorre assecondare le macchine, per le donne sono le macchine che devono assecondare noi. E non è un caso che i personal computer abbiano cominciato ad essere davvero user-friendly quando anche le università scientifiche americane, tra gli anni settanta e ottanta, hanno cominciato a essere popolate da ricercatrici che proprio non accettavano quel modo freddo e impersonale di dare ordini ai calcolatori (command-line, si chiamava, vi ricordate?Copia! Cancella! Scrivi!). Vuoi mettere le infinite possibilità di arredare un desktop?
Io dico che dobbiamo ringraziare le donne se la tecnologia va avanti e semplifica la vita. Perché chi si oppone a loro è destinato alla scomparsa: ricordate quanto complicato fosse programmare un videoregistratore, e quanto lo odiassero molte signore? Ebbene, guardatevi intorno, e ditemi quanti videoregistratori vedete in giro. Ricordate quanto vostra madre odiasse quei televisoroni 25 pollici profondi mezzo metro che gli rovinavano la sala? Gli schermi sottili li hanno imposti le matrone giapponesi, altro che.
Sapete, per la tradizione cristiana Maria è ascesa al cielo dopo la morte, ed è stata la prima, perché gli altri dovranno aspettare il giudizio universale. Ed è un bene, perché almeno potrà organizzare per bene la permanenza di chi ci arriverà. Avesse dovuto fare Gesù tutto da solo, il paradiso sarebbe un posto pieno di schermi catodici a fosfori verdi e vhs.

Pensionate

Mi invitano nervosamente ad attendere nella minuscola saletta accanto: è il giorno della dichiarazione dei redditi. Il primo giorno, perché so già che tornerò avendo dimenticato qualcosa. Non so cosa, ancora: i cud ci sono, le fatture del dentista pure, dell’ottico anche, stavolta ho preso anche quella dell’oculista, ci sono le scatole dei maledetti dispositivi medici. Non c’è lo scontrino del frigorifero perché porca miseria l’abbiamo comprato la settimana prima dell’avvio degli incentivi.
Tuttavia qualcosa di importante non c’è, sicuramente l’avrò dimenticata nel cassetto, e pazienza.

La saletta è veramente piccola, e guardandomi intorno mi rendo conto che si tratta della sede dello SPI:  Sindacato Pensionati Italiani. Trascorro appena dieci minuti lì dentro, ma sono sufficienti a scoprire che quel matto di Gianni si è rotto un tallone: crede ancora di essere un giovanotto, ha dimenticato le chiavi di casa e per aprire ha tentato di scavalcare un muretto. E no, con il tallone non si scherza. La cugina dell’Agnese si è operata tre volte, e ancora non ne esce, poverina. D’altronde se anche Achille ha fatto quella fine, penso io. Ma povero Gianni, cosa vuoi dirgli? L’età c’è e ne sa qualcosa la Lucia (che poi è la signora che mi ha accolto), quelle aritmie le hanno dato parecchie ansie, e se fosse per il Sant’Orsola chissà dove sarebbe adesso: ogni volta che faceva la fila la facevano attendere così a lungo che giunti alla visita le aritmie le erano passate. Ma dico io. Eh, Bologna. Che poi la colpa non è dei bolognesi, è che a Bologna ci sono gli studenti. Tanti studenti. (Provo a pensare quante volte ho usufruitò della sanità pubblica bolognese durante gli anni dell’Università: mi viene in mente la rimozione di un neo, e poi un paio di controlli specialistici. Evidentemente qualche altro studente bolognese però ha alzato la media con le sue aritmie).

Proprio vero, conferma Teresa. A Bologna ti fanno sempre aspettare. Ne sa qualcosa lei, che è appena stata a Bentivoglio. Lì c’è una dottoressa antipatica che si lamenta perché i bolognesi non dovrebbero andare a Bentivoglio, e invece. Ma lei ci va lo stesso. Una tac dopo dieci minuti! Dico, dieci minuti? Altro che i mesi di Bologna.

fruttivendola ama GeorgeRoba da chiamare tutti gli amici e invitarli ad approfittare a farsi una tac a Bentivoglio che non si sa mai. Che la Teresa la tac l’ha fatta perché aveva problemi di testa. Si è scoperto che era lo stomaco, che glieli causava. Si sa che dallo stomaco il problema poi arriva alla testa, conferma Lucia, proprio così. Meno male che c’è Bentivoglio, dieci minuti per una tac, e per fortuna che la dottoressa fetente non c’era. Lucia però a quel punto si sente in dovere di perorare la causa del Bellaria: lì non c’hanno il pronto soccorso, ma c’hanno una roba che si chiama in modo diverso ma è molto efficiente ed è tipo pronto soccorso senza fila. Vero, interviene Maria di cui quasi non mi ero accorto, nascosta dietro una bandiera del sindacato, lì vai e ti fanno le analisi, così, senza prenotazione.

Non partecipo al discorso perché mi rendo conto di poter contribuire poco con le mie due gastroenterite e con i traumi del calcetto, che non sono ancora al livello del povero Gianni ma fra un po’…La faccenda delle analisi al Bellaria va approfondita, rifletto, pensa che io che per farmi le analisi gratis dono ogni volta mezzo litro di sangue all’Avis.

Mi chiamano nell’altra stanza, finalmente è il mio turno. Ovviamente tornerò: ho la fattura della caldaia nuova ma mi sono dimenticato la copia del bonifico. Sarà l’occasione per chiedere come sta Gianni.

PS. Nella foto: fruttivendola loves George. Non c’entra niente con il pezzo ma mi faceva sorridere.