Nei dieci minuti che seguirono il telefono non suonò. Nemmeno il cellulare di Crisafulli, che tra sms e telefonate di solito trillava di più che un metal detector in ferramenta. Solo il fruscio delle carte e i commenti delusi del maresciallo Zavaglia riempirono la sala d’ingresso della caserma dei carabinieri durante quel drammatico confronto a briscola.
Finalmente il maresciallo si alzò, sospirò profondamente e guardò l’orologio sollevando un sopracciglio. Cercò in tasca le chiavi dell’auto muovendosi pesantemente verso la porta.
Non era proprio giornata. Non che avesse sottovalutato le capacità di Crisafulli: era evidente che con le carte era più abile che con la pistola. Poi la nottataccia aveva probabilmente influenzato negativamente il suo gioco. Però davvero, un disastro così non se l’aspettava. Quel diavolo di un brigadiere l’aveva umiliato lasciandogli giusto qualche punticino. Era riuscito giusto a portare a casa l’asso di briscola, l’asso di bastoni, ma solo perché se l’era trovato tra le mani, altrimenti Crisafulli gli avrebbe scippato anche quello.
Era pronto ad uscire quando avvertì Crisafulli che borbottava qualcosa.
«Dia a me le chiavi, maresciallo. Gli sfratti oggi li faccio io. Non mi ha dato il tempo di spiegarle, prima: questo mazzo di carte l’ho sequestrato ieri pomeriggio a un gruppo di albanesi che invitavano i passanti a giocare di fronte ad un bar. Sono tutte segnate, vede? Ho cercato di dirglielo prima: basta osservare con attenzione l’immagine sul retro. E poi lei fa sempre confusione con i turni. Questo fine settimana sono in servizio. Da Cosimina ci vado la settimana prossima. Però i verbali no, maresciallo, i verbali la supplico li compili lei».