Berlino, Dresda e Norimberga

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Ci sono città che ti lasciano dentro una traccia che non riesci a spiegare, una specie di spago sottilissimo che in qualunque momento potrebbe riavvolgersi e ricondurti a loro.
Berlino è una di queste città, Berlino così malinconica, silenziosa, verde, Berlino con l’orgoglio della sua Elsa d’oro, con la vergogna del suo muro, con la pace dei suoi parchi immensi, la vitalità dei suoi quartieri degli artisti, le luci psichedeliche dei suoi palazzi hi-tech.
Lo capisci, mentre passeggi per le strade di Berlino, che stai percorrendo le strade della storia del secolo scorso – e non solo – avverti i racconti felici, appassionati o mostruosi che le mura ti narrano. C’è l’Università dove ha studiato Marx, a Berlino, e il bunker di Hitler, ci sono le regge di Federico II e le strade piene di fiori del ghetto ebraico, c’è l’avveniristico negozio della Sony a quattro piani e i centri sociali occupati dove si elaborano le teorie delle nuove avanguardie artistiche e filosofiche. C’è la vita, intensa, violenta e spesso brutale che è stata, c’è la vita brulicante, difficile (Berlino è una città di poveri) ma volenterosa che è, c’è la speranza della vita tecnologica che sarà.

Ci sono i ricordi che è importante, importantissimo non dimenticare, e portare sempre con sè, a Berlino.

Dresda, 14 luglio 2004

Il primo giorno di ferie anche Segrate sembrerebbe bella – a patto che qualche folle trascorra a Segrate il primo giorno di ferie – e quindi le mie impressioni di Dresda sono inficiate dall’entusiamo del turista smanioso di guardare, sbirciare, ammirare. Già il secondo giorno calerà la voglia di fotografare tutto, comincerà il male ai piedi e l’ombrello in tasca risulterà più fastidioso. Il primo giorno tutto è meraviglia: e comunque il balcone d’Europa, con la sua pietra arenaria nera, le sue ceramiche, il suo orgoglio dell’est che tenta di resistere alla colonizzazione occidentale de centro commerciali e dei fast-food, merita senz’altro una visita. Per non parlare della Madonna Sistina (si, quella degli angioletti onnipresenti su gadget e magliette) ospitata nella pinacoteca. Un’emozione così intensa che da sola giustificherebbe il viaggio.

Berlino, 15 – 16 luglio 2004

Comincio con una nota linguistica: i tedeschi hanno un nome, mies, per indicare “tempo brutto e schifoso”. E in effetti il tempo di Berlino è abbastanza mies: grigio, freddo, piovoso (a luglio: non oso immaginare gennaio).
Visitare Berlino è come visitare una decina di città che, per una serie di accadimenti storici, convivono una accanto all’altro. Trascurando l’immensa periferia, che per ragioni di tempo non ho visitato (però resta impressa la strada che porta fuori città con tanto di tribune e spalti: una volta serviva per corse automobilistiche), ne ho contate almeno sei. La Berlino Ovest, quella del Dente Cariato con la Scatola di Make-Up e il Rossetto (i Berlinesi chiamano così quello che resta della Cattedrale, poco più di un rudere, con la nuova sala e il nuovo campanile, assai bruttini a dire il vero), quella dello zoo tristemente immortalato da Christiana F. Più che dello zoo, mi pare che il romanzo prendesse il nome dalla stazione vicina, orrendamente degradata negli anni 70. In ogni caso questa è la Berlino dello shopping, dei centri commerciali e dei monumenti di arte contemporanea. Inutile dire che le ho dedicato pochissimo tempo. C’è poi la Berlino Est, quella che porta ancora i segni di un passato difficile da smantellare (la torre dell’antenna dietro Alexander Platz, il murales nella stessa piazza dove sorgeva la Casa del Popolo, la piazza delle adunate). Oggi questa Berlino, immortalata dal romanzo “Berlin Alexanderplatz” di Alfred Döblin e dal film tratto da Fassbinder (Berlino è pregna di romanzi e cinema, è inevitabile), è abbastanza sospesa tra l’abbandono e il desiderio di cancellare e ricostruire. E in questa sospensione sta un po’ il carattere di Berlino, perennemente propensa al futuro ma incapace (per fortuna) di cancellare del tutto il passato. Larga parte di ciò che fu Berlino Est è ormai pienamente assorbita dalla cultura occidentale, ma qualcosa resiste intorno appunto ad Alexander Platz. Quasi nascosta dietro questa zona si scopre poi un paesino medievale completamente immerso nella città, il quartiere di San Nicola. Il quartiere delle birrerie, dei bar in riva al fiume, un autentico gioiello: immaginate, per fare un esempio, un pezzo di Assisi nel cuore di Milano. L’impressione che si prova è un po’ quella. E c’è poi la Berlino Alternativa, quella degli artisti, dei designer, dei giovani postmoderni che in una città stracolma di belle piazze reinventano una stazione del treno e la trasformano nel luogo più trendy. Alcuni la chiamano la Berlino a luci rosse, per via della prostituzione presente, che qui se non altro si concentra in un quartiere. Non mi sono innamorato di questa Berlino: tutto sa di radical chic, di finto alternativo, di giovani contestatori che domani dirigeranno multinazionali dell’acciaio. Ma stiamo parlando solo di impressioni. Una curiosità: in un negozio del quartiere ho trovato in vendita vino del Salento: in fondo la globalizzazione non è così brutta come la dipingono. E poi c’è la Berlino Artificiale, quella di Potsdammer Platz, quella del Sony Center, della piazza coperta da una cupola di cristallo che cambia colore. Palazzi trasparenti, quartieri disegnati da Renzo Piano che citano Genova, Venezia e Siena, fiumi e laghi artificiali, enormi pannelli video appesi agli edifici. La Berlino costruita dal nulla, da una zona militare disabitata, la Berlino dove Est ed Ovest finalmente si incontrano. Sarà così il nostro futuro? Non credo. La Berlino Artificiale nasce dalla negazione della storia. Mentre qualsiasi città porta impregnate dentro di sè le vite, le vicende, gli incroci di chi ci ha vissuto (il che vale per le città millenarie come per i sobborghi industriali nati negli anni 70), qui tutto è studiato, progettato, sviluppato con criterio. Manca il caos, persino le poche tracce del passato (alcuni ruderi di quel che fu un albergo ottocentesco) sono ingabbiate e messe in vetrina. Tutto è logico, sensato, perfetto. E però nessuno vuole vivere qui, e il costo degli appartamenti è in calo vertiginoso. Come le lingue artificiali (ricordate l’esperanto?) logiche, semplici, efficienti, che nessuno ha mai parlato, anche queste città artificiali sembrano destinate a non essere mai veramente vissute.
E la Sesta Berlino? La sesta è quella nascosta che non sono riuscito a scoprire, perché nessuna città, a nessuno, si mostra mai completamente.

Norimberga, 17 luglio 2004

Finalmente il sole, il caldo, finalmente il sud. Sud Germania, ma sempre sud.
Sembra impossibile ma per tante ragioni arrivare a Norimberga è stato come tornare a casa. Probabilmente per il clima, caldo e decisamente estivo, con quasi 15 gradi in più che a Berlino. E poi perché qui scompaiono i brutti palazzi prefabbricati sovietici che ancora, seppure ristrutturati e ricolorati, offendono l’orizzonte ad est. Norimberga (per carità, non ricordatela solo per il processo, non lo merita) è una città accogliente, allegra, serena, curata, una città divisa tra cattolici e protestanti che ospita anche parecchi musulmani. Una città che dimostra come politiche sociali e amore per il bello possono tranquillamente convivere (è una tradizionale roccaforte della sinistra tedesca). Specie finché ci sono italiani che comprano cellulari Siemens…

Alcune immagini notturne che adoro perché non sono nitide: le fotografie nitide spiegano, quelle meno chiare suggeriscono

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