New York, New York

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Se il mondo avesse una capitale, quella sarebbe New York.
Sarebbe New York perché si affaccia sull’oceano e dal mare ha ricevuto e riceve merci, persone e cultura: non si riesce a immaginare una capitale isolata nella steppa.

Sarebbe New York perché è una città con artisti europei, mercanti arabi, intellettuali ebrei e imprenditori cinesi.
Sarebbe New York perché attraversi il Financial District e ti senti a Londra, passi da Chinatown scoprendo l’oriente, ti trovi ad Harlem e senti il ritmo dell’Africa: il tutto nel giro di qualche chilometro.

Sarebbe New York perché l’hai vista talmente tante volte al cinema che ormai un po’ la conosci anche se non ci sei mai stato.

Sarebbe New York perché l’ONU sarà pure un baraccone di corrotti, ma è quanto di meglio la comunità degli uomini è riuscita a concepire.
Sarebbe New York perché ha nella suo dna lo slancio verso l’alto, perché ha capito prima di altri che le automobili non servono, perché è una città che appartiene a tutti.
Siamo tutti newyorkesi, perché amiamo il punk-rock o perché ci piace la commistione culinaria, perché guardiamo i telefilm polizieschi o perché canticchiamo un motivetto di Broadway senza saperlo, perché indossiamo, mangiamo, guardiamo o ascoltiamo qualcosa che è nato lì.

In un posto dove gli uomini si mescolano continuamente generando idee.

La prima impressione che un amante del cinema prova visitando New York è quella di deja-vu. Questa è la piazza dove Sally accompagna Harry alla fine del primo viaggio. Quello è il palazzo dell’Uomo Ragno. E da quella palazzina escono i Ghost Busters. Nella National Library si nascondono i sopravvissuti del Day After Tomorrow, laggiù Michael Douglas sguazzava nei suoi loschi affari in borsa, questa è la strada dove Pretty Woman fa shopping con il suo bellone.

Per non parlare di Central Park, tappa obbligata per una passeggiata di praticamente tutti i protagonisti di commedie sentimentali. Dicono che in autunno sia bellissimo, a me è piaciuto anche a luglio, è bellissimo perdersi in un bosco fitto a poche centinaia di metri dal centro cittadino. Bisognerebbe ricordarlo a chi dalle nostre parti sradica per creare posti macchina, ma questa è un’altra storia.

New York è così, proprio come ce l’eravamo immaginata, proprio come l’avevamo vista nei film.

La grande mela ovviamente non è solo la mecca degli appassionati di cinema, ovviamente, ma di cultura contemporanea in genere. Il Greewich Village è il quartiere dei ragazzi di Friends, e anche se in dieci anni le esterne sono state pochissime e mentre gli studi di registrazione erano a Los Angeles, si capisce perché le storie sono ambientate qui.

È un quartiere tranquillo, benestante, ma anche vivace e allegro, una delle tante piccole città nella città: qui non ci sono grattacieli o campi di basket, ma scoiattoli nei parchi e viali alberati. Ci sono ristoranti etnici e negozi curati, ma anche fastfood e supermercati. Ovviamente il Central Perk non esiste (il palazzo dei ragazzi sì, eccolo accanto), e mentre passeggiavo per le strade capivo anche perché l’unica macchina che si vede in Friends è il vecchio taxi di . Nel quartiere, come in tutta New York, ci si muove in taxi o con i mezzi, non ci sono parcheggi e nemmeno automobili, a dire il vero.

E dall’altra parte c’è l’East Side, e in particolare la Bowery, il quartiere bohemienne che tra gli anni settanta e ottanta ha visto nascere tanti artisti.

Nonostante il cattivo tempo e lo sguardo di commiserazione di mia moglie ho voluto portare il mio personale tributo ad una band che ha fatto la storia, facendomi immortalare al Joey Ramones Place. Si tratta di un angolo dedicato al cantante dei Ramones, a poche decine di metri di distanza esordivano sui palchi del club CBGB, dove si può dire sia nato il punk-rock (quello pià spensierato e americano, insomma).

Joey non c’è più, il locale ha chiuso nel 2006 e pare lo stiano demolendo. Eppure siamo ancora in milioni a gridare a squarciagola: Hey Ho! Let’s Go!

Non sono andato al Moma, lo dico subito. Per me l’arte figurativa contemporanea, semplicemente, non esiste.
Il surrealismo di Dalì è stato l’ultimo sussulto primo del tramonto e del buio in cui siamo sprofondati

Magari c’è chi si emoziona di fronte alle tele squarciate di Fontana o agli arazzi scarabocchiati di Modì. Io no. Ho tollerato a malapena alcuni spazi espositivi dedicati all’arte contemporanea alla collezione Gugghenim, che però ha anche parecchie belle opere ottocentesche.

Assolutamente imperdibile il Metropolitan Museum, un concentrato di arte, storia e cultura tale da stordire il visitatore. Di tanto in tanto si ha lo sgradevole effetto del bottino trafugato, come quando si visita il tempio egizio completamente “smontato” e ricostruito. Ma non c’è niente da fare, gli americani sanno valorizzare l’arte, questo museo deve assolutamente far parte della vostra agenda di viaggio a New York.

Come anche lo spettacolare Museo di Scienze Naturali, il museo più divertente che abbia mai visitato. Dimenticatevi gli osceni cadaveri di animali impagliati che vi siete sorbiti in Europa, qui la parola d’ordine è spettacolo. Sia che osserviate la stele di Hammurabi, che carezziate il più grande meterorite mai caduto sulla terra o che salutiate GumGum (chi ha visto Una notte al museo mi capisce), qui ve la spasserete da matti.

Considerate che i musei pubblici non hanno un biglietto di ingresso: si lascia un’offerta. Si paga, e caro pure (15 dollari), per visitare invece la Frick Collection, una piccola collezione privata visitabile al pubblico. Se sorvoliamo sul fatto che il Henry Clay Frick, il magnate che ha raccolto queste opere, fu uno dei più spietati e avidi sfruttatori di manodopera del diciannovesimo secolo, si può anche trovare piacevole osservare alcuni tra i migliori lavori di Vermeer e il celeberrimo ritratto di Tommaso Moro.

Sono andato a New York con un obiettivo preciso: Broadway. Non impazzisco per il musical tradizionale, ma ho visto un sacco di volte Grease e ultimamente ho scoperto Rent, di cui mi sono letteralmente innamorato. Si tratta di un musical da cui un paio d’anni fa è stato tratto un film, piuttosto rock e vivace, che racconta la vita di un gruppo di giovani artisti tra miseria e degrado nella New York della fine anni ottanta.

Oltre a Rent ho visto anche, la sera dopo, Chorus Line, un classico. Bello anche quello anche se le vibrazioni rock mi emozionano di più. Un buon modo per andare ad uno spettacolo di Broadway è quello di recarsi a TKTS, la rivendita di biglietti, verso le sette di sera (si trova presso una traversa di Times Square). A quel punto si trovano biglietti scontati fino al 60%.

Ovviamente c’è il rischio che non riusciate a trovare il biglietto che desiderate, ma insomma, non si può avere tutto.

New York non è una città notturna nel senso latino del termine. Non ho trovato ragazzi per strada fino a tardi come a Barcellona o Dublino, insomma. Probablimente i newyorkesi si rifugiano in locali e pub che conoscono bene e che raggiungono in taxi, perché per strada non c’è tutto questo affollamento.

Ci sono i turisti, ovviamente, tutti a Times Square e al RockFeller Center: ma anche qui considerate che gli spettacoli di Boradway finiscono alle dieci e la gente scompare poco dopo. Neppure a Brooklin, da dove si ammira lo spettacolare profilo di Manhattan di notte, c’è un granché di gente, a parte i soliti turisti (quasi tutti accompagnati da una guida).

Insomma, se volete godervi la grande mela svegliati presto e giratevela durante le frenetiche ore quotidiane, perché se vi aspettate una movida potreste rimanere delusi.

Le file mi spaventano sempre, figuriamoci in vacanza. Se un po’ di attesa si tollera volentieri per la Guggenheim Gallery, ho rinunciato allle due ore sotto il sole per salire in cima all’Empire State Building.

Allo stesso modo ho fatto al meno del giro in battello per la statua della libertà, anche perché trovo che sia molto più affascinante osservarla sbucare dalla nebbia, in lontananza, e sentire le urla dei nostri bisnonni che la vedevano affiorare dalla prua delle loro imbarcazioni.

Qualcuno ha abbandonato le valigie di cartone e ha avuto successo, qualcun altro non ce l’ha fatta. Bisognerebbe ricordarsi di loro prima di rivolgere lo sguardo sprezzante ai lavavetri rumeni che ci importunano al semaforo…

Mi piace, tutte le volte che è possibile, provare la cucina del posto che visito. Ma qual’è la cucina americana? Quella dei fast food? Se è per questo sono stato da Mendy’s, una delle tante catene di cibo spazzatura. Ne avrei fatto a meno ma quando si fa l’ora mia moglie non sente ragioni e non c’erano altri ristoranti nelle vicinanze.

Avendo un po’ più di tempo, invece, si può mangiare letteralmente di tutto, io ho provato il greco, il kosher (cucina tradizionale ebraica), il sushi, l’irlandese e persino l’italiano (faceva parte del tour notturno della città, non se ne poteva fare a meno), con un gestore che sembrava uscito dal Padrino. Non si spende neanche troppo, visto l’insana mania d’oltre oceano di avere sempre e comunque porzioni giganti di tutto.

A proposito, se volete visitare la città, portatevi un dizionario di spagnolo: l’inglese non lo parla nessuno…

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