Dettaglio della copertina di "Come vento cucito alla terra"

Come vento cucito alla terra, di Ilaria Tuti

Faccio una premessa doverosa: chi scrive, anche a livello dilettantesco, è spesso invidioso nei confronti di chi ha più talento e più successo. Aggiungo poi che sono mesi che mi sento dire “Devi leggere Tuti” “Ah io leggo solo Tuti” “Tuti Tuti, Tuti tutto l’anno” per spiegare che mi sono avvicinato a questo romanzo pieno di aspettative e pregiudizi, in parte ahimè confermati.

Gli ingredienti più amati da un certo pubblico ci sono tutti: donne talentuose, coraggiose, eroiche, intelligenti, brillanti, circondate da uomini ridicoli, stucchevoli, stupidi, insignificanti, infantili. Nella migliore delle ipotesi, teneri coccoloni da proteggere e consolare, non è colpa vostra in fondo se siete maschi. Non manca neanche la sotto trama di discriminazione LGBT senza la quale oggi non sei nessuno. Sia chiaro, la confezione è perfetta, sin troppo studiata: dialoghi sagaci in cui le donne accettano il ruolo di salvare il mondo con garbo e determinazione, intervallate da lunghe e dettagliate descrizioni di ferite, mutilazioni, cancrene e infezioni per dire che la guerra è una roba da maschi, e pertanto fa schifo.

La storia: un gruppo di donne chirurgo decide di salvare soldati gestendo in autonomia ospedali. L’establishment maschilista fa di tutto per contrastarle, specie quando si mettono a insegnare il ricamo ai soldati mutilati dalla guerra. Fine. Non succede altro. Va detto che l’autrice spiega nelle note di essersi ispirata a vicende reali, e questo probabilmente ne ha limitato le possibilità espressive. In qualche momento c’è un po’ più di tensione sul campo (molto valido il tentativo di stanare il cecchino), ma giusto un po’.

C’è spazio anche per la famiglia reale, o almeno per la parte cool, cioè quella composta da donne.

Ovviamente Cate, la protagonista, ha l’intelligenza di Einstein, il coraggio di Wallace e i muscoli di Rambo, grazie ai quali salva due volte un maschietto appena più decente degli altri che si caccia sempre nei guai.

Ho come l’impressione che queste storie non facciano un gran servizio alle sacrosante rivendicazioni del femminismo e alla lotta per l’emancipazione femminile, ma che volete, sono solo un maschio invidioso.

Chiudo con un paio di citazioni, se volete leggetele ad alta voce con il sottofondo di “The eye of the tiger” dei Survivor e alla fine vi sembrerà quasi naturale gridare “Adrianaaaaa”.

“La sua voce era calma mentre il loro mondo andava in fiamme. Cate capì che ciascuno di loro in quegli attimi concitati sentiva di avere un destino da compiere, e non poteva sottrarsi senza in seguito doverne rendere conto a se stesso”.

“Le luci barbare che la notte ardevano nelle latebre delle prime linee non erano solamente quelle delle torce da campo. Era l’anima a bruciare di puro istinto, a sopravvivere perché dimentica di tutto ciò che era stata nella vita precedente; un altro sé, fino ad allora rimasto sopito, si era risvegliato e faceva digrignare i denti (…)”

“Ciascuna di loro era chiamata a stare in piedi davanti alle proprie rivendicazioni, e non solo metaforicamente. Era la storia a chiamarle, era il sacrificio delle compagne rinchiuse in cella e torturate, e ancora di più di quelle percosse dentro le mura di casa”.