La febbre del sabato sera

La maggior parte dei musical nascono già per essere interpretati in teatro: Grease o Jesus Christ Superstar, per esempio.

Altri, invece, sono storie scritte apposta per sfruttare delle canzoni di successo, come l’attuale Mamma mia, che sta avendo successo in questi tempi a Broadway e che è costruito sulle canzoni degli Abba, o la Febbre del sabato sera, che ho visto ieri al Teatro Auditorium di Bologna.

La differenza principale è che nel primo caso è indispensabile capire quel che dicono, perché la storia si sviluppa nei testi delle canzoni, nel secondo no. Ebbene, benché i veri musical siano i primi, mentre dei secondi si può al massimo dire che sono buone trovate commerciali, questi ultimi hanno il grosso vantaggio di poter essere prodotti in vari paese: traduci le parti in prosa, e lasci le canzoni originali. Il pubblico capisce la storia e tu non sei costretto ad abominevoli e ridicole traduzioni come nel caso del pietoso Grease in italiano.

Tutta questa lunga premessa per dire che nella Febbre del sabato sera le canzoni dei Bee Gees, di James Brown e degli altri protagonisti di quegli anni sono lasciate nella loro versione originale e ben interpretate, traducendo solo i dialoghi.

Il risultato è buono dal punto di vista scenografico, ottimo per le coreografie; peccato però che gli attori cantino su basi e non accompagnati dal vivo, una caduta di gusto imperdonabile. Non manca il personaggio televisivo, Stefano Masciarelli, simpatico anche se occupa un po’ troppo la scena a discapito dei veri protagonisti Simone Di Pasquale e Hoara Borselli.

Insopportabili invece i riferimenti al programma Ballando sotto le stelle, di cui lo stesso Masciarelli e il protagonista sono stati interpreti; va bene una volta, ma se si esagera si perde l’immersione nella storia. Bellissima Hoara Berselli, anche se per fare un musical bisognerebbe saper cantare. In conclusione, se volete risentire un po’ di musica anni settanta, con belle danze, non perdetevelo, un paio d’ore di divertimento sono assicurate.

Se invece avete amato l’originale e cercate riflessi di Brooklin o momenti di John Travolta, lasciate perdere: qui siamo a Trastevere, e oltre il ponte non c’è Manhatthan…