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Feste di compleanno

Festa di compleannoDomani festeggeremo il quinto compleanno di mia figlia. Come da suo desiderio, lo festeggerà insieme ai suoi compagni di scuola materna in un ex-stabilimento industriale riconvertito a ludoteca pieno di gonfiabili, piscine con le palline, giochi di varia natura, murales a tema.
Inevitabilmente il giovane papà in queste circostanze corre con la memoria ai suoi, di compleanni.

Per inciso, evitate le battutine argute, ho intitolato la sezione “Giovane papà” cinque anni fa, adesso non posso cambiargli nome in “Papà adulto”. Si tratta di una questione di search engine marketing, mica  per altro. Almeno sul mio sito, rimarrò giovane papà per sempre: chiuso inciso.

Ebbene, tanto per cominciare le mie feste di compleanno in età prescolare non prevedevano la presenza di compagni di classe. Un po’ perché io, come la maggior parte dei miei coetanei meridionali con la mamma casalinga, la scuola materna l’ho davvero frequentata dopo i cinque anni, e solo al mattino. Mia figlia invece con i suoi coetanei passa sette, otto ore al giorno, e ha conosciuto anche due anni di nido. Un po’ perché le feste di compleanno si organizzavano sempre ed esclusivamente in casa, e per quanto grandi potessero essere le abitazioni, questo voleva dire ospitare almeno una decina di cugini, più qualche vicino di casa e qualche altro parente alla lontana. E quindi lo spazio per tutti non c’era.

Benché le case dei meridionali avessero questa capacità magica di allargarsi, quasi fossero elastiche, in certe situazioni: un letto scompariva nascosto nello sgabuzzino, un tavolo finiva dietro l’armadio, i mobili si ritraevano timidamente negli angoli: le case sembravano persino più alte. E si faceva sempre e comunque posto per tutti: nonni, zii, cugini, amici. Talvolta capitava che gli uomini se ne andassero in una stanza a giocare a tresette, mentre le donne in un’altra si aggiornavano sulle eccitanti novità paesane. Noi bambini ce ne andavamo nella cameretta, e ci stavamo tutti larghi, anche perché, diciamoci la verità, il più ricco allora di noi aveva la metà dei giocattoli che hai il più povero dei bambini di oggi.

Quello che non mancava mai in quelle feste erano le sedie, ovunque, in sala, in cucina, nei corridoi, in balcone, e su ognuna c’era seduto qualcuno, la nonna sorridente con le braccia conserte, lo zio più giovane che collaborava nello sperimentare i giocattoli ricevuti in regalo, la cugina più grande con il completo nuovo a cui per la prima volta veniva autorizzata la presenza nel soggiorno, cerimonia tacita di iniziazione. Ovviamente le feste riuscivano meglio d’estate, quando si poteva sfruttare cortili e balconi, ma io sono nato a marzo, e per quanto la Puglia sia una regione tendenzialmente calda, se deve fare freddo lo fa a marzo. Eppure ci stavamo tutti ed eravamo felici, in quelle feste con le pizzette e la focaccia con le cipolle fatte dalla mamma, la torta con al massimo il nome del festeggiato e le candeline riciclate dall’ultima festa, i bicchieri con il nome scritto con il pennarello perché non bastavano mai.
E c’erano sempre tutti perché all’epoca non avevano ancora inventato il “mi dispiace ma ho già preso un altro impegno”.

Altri tempi, altri luoghi. Sono sicuro che mia figlia, con la sua torta preparata in pasticceria con l’effige della Bella Addormentata nel bosco (oddio ma era quella che voleva? O era forse Cenerentola?), con le centinaia di bicchieri comprati dal papà che esorcizza la povertà comprando bicchieri di plastica in eccesso, con i gonfiabili dove giocherà con i suoi amici, domani si divertirà.

In cuor mio spero se chi diverta almeno quanto mi divertivo io,  in quelle feste in casa di trent’anni fa.

18 anni e non sentirli

Era il 15 settembre 1994, in una bella mattinata bolognese aspettavo insieme ad altri 4000 freschi maturati di affrontare la prova del test di selezione al corso di Scienze della Comunicazione, che avrebbe accolto 140 di noi.

Certo non ero l’emigrante con la scatola di cartone, ma il modo in cui guardavo stupito il mondo intorno a me doveva comunque tradire un certo atteggiamento del provinciale che si guarda intorno e pensa uao, sono a Bologna, mica Cisternino.

Qualcosa nella mia fiducia della perfetta teutonica macchina organizzativa settentrionale scricchiolò quando vidi farsi largo tra la folla di studenti il professor Umberto Eco che si avvicinò e domandò: avete mica idea di dove si tenga il test di ammissione?

La verità era che eravamo talmente tanti che i test si tenevano in diversi punti della città (io per la cronaca lo feci in viale Berti Pichat nelle aule di fisica: niente di strano, se si pensa che poi le lezioni le avrei seguite nelle aule di una clinica odontoiatrica, altro che organizzazione teutonica). Le lezioni sarebbero cominciate il mese dopo, alcune sarebbero state indimenticabili, altre meno, e circa sei anni dopo mi avrebbero portato alla laurea (prima sessione fuoricorso, però ci ho fatto dentro il servizio civile, eh?).

Ieri sera ho festeggiato i 18 anni da quell’ottobre 1994 insieme ad alcuni protagonisti di quella stagione, che se non è stata la più bella, per me, sicuramente si candida ai primi posti. Persone che hanno preso un treno, un’areo in alcuni casi, fatto chilometri di autostrada per celebrare quei giorni. E ho potuto rendermi conto di come devo essere cambiato io, osservando come sono cambiati loro.

Neanche troppo, a dire il vero; quella più carina di tutte continua a essere la più carina, quelli simpatici continuano a fare battute esilaranti, quella più intelligente lo è ancora di più, chi aveva grandi sogni continua giustamente a crederci, chi aveva la puzza sotto il naso allora ad avercela (per forza, chi ha la puzza sotto il naso dice cose maleodoranti) e ha rifiutato l’invito…

Sicuramente con il tempo abbiamo imparato molte cose sui pannolini e sulla gestione dell’insonnia e dimenticato la semiotica, ma insomma, siamo sempre quelli del laboratorio in Via Toffano a scoprire questa novità chiamata Internet con il Netescape 2.0…

Non so se ci rivedremo tra 18 anni, so però che domattina, quando rientrerò nel mio ufficietto in cima alla montagna, sognando di fare il direttore del Corriere della Sera quando devo cercare i soldi per stampare un semestrale da 3000 copie, mi guarderò riflesso nel monitor e penserò che cavolo, se sono cresciuto con gente tanto in gamba, non devo essere tanto malaccio neanch’io.

PS Ad aumentare l’aura di mistero degna di ogni scrittore scalcinato, non sono presente in NESSUNA foto, però c’ero, lo giuro.

PPS Cisternino, col senno di poi, non è davvero niente male.