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L’avvocato moscio di Solfrizzi

Emilio Solfrizzi ha una personalità artistica duplice. Per i più è quell’attore simpatico di Love Bugs, quel maestro carino e amichevole con gli studenti che faceva la corte a Gaia De Laurentis, comico sbiadito che strappa qualche sorriso e che dimostra di essere bravo anche quando interpreta ruoli seri. Per i pugliesi, è uno di noi che ha fatto carriera, che ha trovato il successo e la serenità a Roma, ma che porca miseria, ai tempi di Toti e Tata era un fenomeno, e adesso sembra la versione esposta in naftalina. Per chi non lo sapesse, Toti e Tata furono una coppia dallo straordinario successo televisivo nelle regioni coperte dal segnale di Telenorba negli anni novanta. Una serie di trasmissioni intelligenti dirette da Gennaro Nunziante (anche lui adesso autore televisivo di successo) da cui hanno attinto, per non dire rubato, a piene mani comici di successo di Zelig e non. Ebbene, tanto il caro Emilio allora esasperava alcune smorfie, alcuni atteggiamenti e alcuni modi di fare pugliesi, tanto oggi li castra, per emanciparsi dal ruolo di attore provinciale e dimostrare di avere studiato. Prendete la fiction sulll’avvocato Guerrieri andata in onda in questi giorni. A parte il fatto che come succede sempre nelle fiction non si capisce come mai il suo migliore amico nato e cresciuto a Trani parli napoletano, la sua ragazza abbia accento milanese e i suoi clienti provengano tutti da Trastevere ai Parioli. Sarà ma io Trani non me la ricordavo così cosmopolita, o insomma, ci sono anche i tranesi a Trani, anche se nella fiction non ce n’è traccia. Ma il problema è che il nostro Emilio recita con il freno a mano tirato, sempre con quell’espressione di marmo di chi vuol ricordare di aver studiato teatro drammatico. Mai un espressione dialettale (perché Montalbano sì e tu no?), mai un gesto instintivo, mai il tradimento di un accento. Caro Emilio, Totò era straordinario perché la sua personalità travalicava il personaggio. E lo stesso può dirsi di Chaplin e Stalio ed Olio, o, volando più basso, di personaggi pugliesi come Lino Banfi o Sergio Rubini. La vuoi smettere di dissimulare la tua espressività? Certo che anche Carmelo Bene era pugliese: ma per interpretare l’avvocato Guerrieri ci voleva un po’ meno Bene e un po’ più Toti…
http://www.totietata.com/gallerie/immagini_3.htm

La terra

Rubini torna ancora una volta nella natìa Puglia teatro di molta della sua produzione cinematografica per ambientare "La terra", forse la sua opera più matura. Accanto alla capacità registica di raccontare il paesaggio con inquadrature che sottolineano senza marcare troppo il territorio e alla indiscutibile capacità di guidare gli attori (persino Violante Placido in passato è sembrata un’attrice sotto la sua direzione), finalmente Rubini trova anche una sceneggiatura solida, che ha ritmo, i tempi giusti, e non sbanda mai come talvolta accadeva nei film precedenti. La storia è quella di un professore che da anni vive a Milano che torna a casa, a Mesagne, per quella che sembra una formalità : la vendita della proprietà dei genitori, la terra del titolo, appunto.
Il bravo Bentivoglio da solo è sintomo di serietà del progetto, poi qui è accompagnato da un gruppo di bravi attori tra cui quell’Emilio Solfrizzi che dà il meglio di sè  quando può tornare a esprimersi con la comicità un po’ amara alla Sordi che è nelle sue corde, libero dallo sforzo di coprire la mimica e l’accento che invece caratterizzano alcune sue nefandezze televisive. Indovinatissimi gli elementi di contorno (la politica ridotta a farsa, la religiosità un po’ magia un po’ superstizione, la piccola odiosa malavita di periferia, il volontariato come unica possibilità di riscatto dell’uomo di oggi), il film sarebbe stato perfetto se non fosse stato per una post-produzione apparsa un po’ distratta: il montaggio non è esente da errori ma soprattutto il commento musicale è troppo carico, ridontante, ossessivo, fastidioso. In alcuni momenti verrebbe voglia di abbassare il volume.
Ma siamo al cinema e il telecomando, purtroppo o per fortuna, non c’è.