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La crisi raccontata a mia figlia

C’era una volta un paese con alcuni ricchi che possedevano campi e fattorie, e molti poveri che nei campi lavoravano. In cambio del lavoro nei campi, i ricchi davano ai poveri di che vivere: grano, frutta, un po’ di carne, qualche vestito. E i poveri spesso se li scambiavano fra di loro, per cui chi aveva due paia di pantaloni li barattava con un cappello.

Un giorno i ricchi dissero; ma perché dobbiamo scambiarci frutta, grano e carne? Non è comodo, e poi è così faticoso trasportarli… Facciamo così: prendiamo dei pezzi di carta e ci scriviamo sopra: un litro di latte, un chilo di frutta, e così via. Chi metterà nel deposito questo cibo, avrà in cambio un pezzo di carta.
E andando al desposito si potranno scambiare i pezzi di carta con ciò di cui si ha bisogno.

All’inizio sembrò una buona idea, tutti erano contenti di scambiarsi la carta e poi andare a ritirare la merce al deposito.

Ma i ricchi inventarono un modo per arricchirsi ancora di più. Cominciarono a scrivere nuovi pezzi di carta, e ancora, e ancora. Talmente tanti che non sarebbero bastati dieci depositi pieni di merce per scambiarli. Come fare? I poveri pretendevano di scambiare la loro carta con la merce, ma non bastava più per tutti.

Allora arrivò un professore. Un tecnico, stimato da tutti i ricchi. E disse: per risolvere il problema tutti i fogli di carta dovranno valere la metà di quello che c’è scritto. I ricchi, che ne avevano tanti, non si preoccuparono, ma ancora non bastava. E allora il professore disse: i poveri dovranno lavorare di più per avere gli stessi fogli di carta. Ma ancora non bastava.

E allora il professore disse: i proveri dovranno  mangiare di meno,  fino a quando il deposito non basterà di nuovo a tutti.
E i poveri cominciarono  a morire di fame,  stenti e fatica, finché non rimasero solo i ricchi. Non sapevano lavorare la terra, non sapevano allevare gli animali, non sapevano raccogliere la frutta.
Rimasero soli con un deposito pieno di fogli di carta mentre del professore nessuno seppe più nulla.