Rubini torna ancora una volta nella natìa Puglia teatro di molta della sua produzione cinematografica per ambientare "La terra", forse la sua opera più matura.  Accanto alla capacità  registica di raccontare il paesaggio con inquadrature che sottolineano senza marcare troppo il territorio e alla indiscutibile capacità  di guidare gli attori (persino Violante Placido in passato è sembrata un’attrice sotto la sua direzione), finalmente Rubini trova anche una sceneggiatura solida, che ha ritmo, i tempi giusti, e non sbanda mai come talvolta accadeva nei film precedenti. La storia è quella di un professore che da anni vive a Milano che torna a casa, a Mesagne, per quella che sembra una formalità : la vendita della proprietà  dei genitori, la terra del titolo, appunto. 
Il bravo Bentivoglio da solo è sintomo di serietà  del progetto, poi qui è accompagnato da un gruppo di bravi attori tra cui quell’Emilio Solfrizzi che dà  il meglio di sè  quando può tornare a esprimersi con la comicità un po’ amara alla Sordi che è nelle sue corde, libero dallo sforzo di coprire la mimica e l’accento che invece caratterizzano alcune sue nefandezze televisive. Indovinatissimi gli elementi di contorno (la politica ridotta a farsa, la religiosità  un po’ magia un po’ superstizione, la piccola odiosa malavita di periferia, il volontariato come unica possibilità  di riscatto dell’uomo di oggi), il film sarebbe stato perfetto se non fosse stato per una post-produzione apparsa un po’ distratta: il montaggio non è esente da errori ma soprattutto il commento musicale è troppo carico, ridontante, ossessivo, fastidioso. In alcuni momenti verrebbe voglia di abbassare il volume. 
Ma siamo al cinema e il telecomando, purtroppo o per fortuna, non c’è.
