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Statale 7 Quater

Statale 7 Quater non è un romanzo spensierato da leggere per rilassarsi sotto l’ombrellone. Non è neanche una storia piacevole da raccontare mentre si aspetta il metro, non è una favola edificante o un noir con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Statale 7 Quater è un romanzo disperato, rassegnato, angosciante. Un romanzo necessario, di quelli che ti invitano a vedere quello che non sei più capace di osservare: storie di degrado urbano, di violenza, di miseria, storie che siamo abituati ad anestetizzare attraverso il tubo catodico. Ma non si può cambiare canale, quelle vite ci sono, quella sofferenza ci riguarda, possiamo disinteressarci ma non negarne l’esistenza. L’autore tratteggia con gusto del dettaglio e mano ferma panorami desolati e drammatici dai quali tuttavia emerge, come una pennellata di colore su un ritratto in bianco e nero, l’umanità di chi non si rassegna. Intorno ad una strada, che congiunge Napoli con Roma, si dipanano le storie di giovani costrette a prostituirsi, di droga, di vendette tra clan rivali, di solitudine e abbandoni, di ordinaria corruzione. Storie brutte, indiscutibilmente, ma preziose per chi considera la letteratura non tanto come evasione quanto come testimonianza. Una volta uno come Mallozzi forse si sarebbe definito un verista, uno scrittore che racconta la realtà senza far sentire la sua presenza, che la osserva in punta di piedi mentre si dispiega davanti ai nostri occhi in un lamento silenzioso.
Statale 7 Quater è un romanzo sgradevole ma necessario, un romanzo crudo che apre una finestra su una realtà degradata che vorremmo non esistesse. Ma c’è, e se ne sappiamo un po’ di più lo dobbiamo anche a questo bel romanzo di Mallozzi.

Non si sa mai, romanzo di Donatella Placidi

Ci sono romanzi che ti fanno indossare la tuta spaziale e ti portano a combattere contro extraterrestri predatori; romanzi che ti forniscono pistola e distintivo e ti mandano a combattere il crimine; romanzi che ti fanno cavalcare in regni incantati con spada e vessillo con indosso un armatura magica. E poi ci sono i romanzi che ti fanno sentire improvvisamente nudo (sto parlando di romanzi e non di porcherie da edicola della stazione, mascalzoni, non travisate!), che ti fanno dire ma chi gli avrà raccontato i fatti miei a questo scrittore, come fa a conoscere i miei amici, i miei parenti, i miei colleghi? ? il caso di “Non si sa mai” di Donatella Placidi, un ritratto di interni leggero (della leggerezza invocata da Calvino) e toccante, che con poche pennellate dipinge il piccolo mondo familiare che ci appartiene. Una finestra sulla vita di tutti i giorni che si apre, ci accoglie e si richiude prima che possiamo abituarci, prima che diventi routine, prima che possiamo indovinare come andrà a finire. I personaggi di Donatella Placidi – la bambina viziata e odiosa, la terza età in crisi, gli uomini che vedono uno per uno i capelli persi ma non si accorgono dei soprusi subiti in ufficio – sono persone che abbiamo conosciuto tutti, prima o poi. E quando un giorno qualcuno, fra un migliaio di anni, vorrà conoscere la nostra vita, quella della generazione tra i trenta e i quarantanni nell’Italia del 2000, non dovrà certo leggere di extraterrestri predatori, poliziotti invincibili e armature magiche, ma farà bene a procurarsi una copia del romanzo della Placidi. Perciò conservate con cura la vostra: non si sa mai…


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