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Il mare di Taranto

Il mare a Taranto si divide su costiere, quella salentina e quella jonica, che rappresentano due modi diversi di concepire la vita. La litoranea salentina, quella orientale che va verso Gallipoli, è fatta di gioiellini, piccole insenature con sabbia e scogli, dove l’acqua è bellissima e l’orizzonte limpido. Però si parcheggia dove capita, si sta stesi facendo attenzione a non finire con il piede sul naso del vicino (troppo vicino) di ombrellone, si finisce due volte su tre imbottigliati nel traffico. La litoranea Jonica che va verso Metaponto è fatta di chilometri quadrati di spiaggia: il fondale sabbioso dà però al mare un colore verdastro che ricorda Rimini, e in lontananza le sagome minacciose della città industriale rovinano la visuale. Però si sta larghi, si trova il parcheggio custodito a prezzi umani, si arriva percorrendo la statale 106 in pochi minuti senza alcun problema di traffico. La litoranea Jonica è da DS, è fatta di servizi, comodità, rispetto, monotonia: quella salentina è da Margherita, si spintona, sgomita, si litiga per un posticino al sole e un tuffo dallo scoglio in nome dell’acqua limpida.
Le spiaggie di destra sono quelle a pagamento, ordinate e prepotenti, mentre mi sto chiedendo qual’è la spiaggia da rifondazione. Probabilmente è un’isola meravigliosa immersa nel blu con una vegetazione rigogliosa. I rifondaroli stanno ancora discutendo a riva per capire come ci si arriva…

Statale 7 Quater

Statale 7 Quater non è un romanzo spensierato da leggere per rilassarsi sotto l’ombrellone. Non è neanche una storia piacevole da raccontare mentre si aspetta il metro, non è una favola edificante o un noir con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Statale 7 Quater è un romanzo disperato, rassegnato, angosciante. Un romanzo necessario, di quelli che ti invitano a vedere quello che non sei più capace di osservare: storie di degrado urbano, di violenza, di miseria, storie che siamo abituati ad anestetizzare attraverso il tubo catodico. Ma non si può cambiare canale, quelle vite ci sono, quella sofferenza ci riguarda, possiamo disinteressarci ma non negarne l’esistenza. L’autore tratteggia con gusto del dettaglio e mano ferma panorami desolati e drammatici dai quali tuttavia emerge, come una pennellata di colore su un ritratto in bianco e nero, l’umanità di chi non si rassegna. Intorno ad una strada, che congiunge Napoli con Roma, si dipanano le storie di giovani costrette a prostituirsi, di droga, di vendette tra clan rivali, di solitudine e abbandoni, di ordinaria corruzione. Storie brutte, indiscutibilmente, ma preziose per chi considera la letteratura non tanto come evasione quanto come testimonianza. Una volta uno come Mallozzi forse si sarebbe definito un verista, uno scrittore che racconta la realtà senza far sentire la sua presenza, che la osserva in punta di piedi mentre si dispiega davanti ai nostri occhi in un lamento silenzioso.
Statale 7 Quater è un romanzo sgradevole ma necessario, un romanzo crudo che apre una finestra su una realtà degradata che vorremmo non esistesse. Ma c’è, e se ne sappiamo un po’ di più lo dobbiamo anche a questo bel romanzo di Mallozzi.