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Il tocco della sposa, di Nevio Manente

Cominciamo col dire che l’inserimento del romanzo “Il tocco della sposa” nella categoria “Mistery” da parte della casa editrice è quantomeno fuorviante. Ci troviamo infatti di fronte ad un romanzo che trae i suoi spunti da quella ricca narrativa umoristica e popolare (nel senso migliore del termine, cioè non elitaria) che va da Guareschi a Calvino fino al più recente Vitali.
Una narrativa leggera, quindi, fresca, talmente piacevole da leggere che un po’ ci dispiace essere arrivati in fondo. L’autore è bravo nella scelta dei tempi e nel tratteggio divertito di quadretti rappresentati con cura lessicale (il mio preferito è il dibattito tra i novelli Don Camillo e Peppone sul nome da dare al paese).
? un’opera prima e come tale preserva quella spontaneità e quell’inventiva (magari qualcuno dirà anche un po’ di ingenuità) che fanno di questi lavori una categoria a sè stante.
La storia è quella di due coppie, una di giovanissimi adolescenti alle prese con i primi approcci con l’altro sesso, l’altra appena un po’ più grande di ventenni universitari. Sullo sfondo, un paese che dopo aver conquistato l’autonomia comunale vuole riscrivere la sua identità, a cominciare dal suo nome. La sposa del titolo è una donna che ha vissuto un amore travagliato in quel paese e di cui si racconta una leggenda che qui non è il caso svelaree che lascio ai fortunati lettori di questo romanzo.

Non si sa mai, romanzo di Donatella Placidi

Ci sono romanzi che ti fanno indossare la tuta spaziale e ti portano a combattere contro extraterrestri predatori; romanzi che ti forniscono pistola e distintivo e ti mandano a combattere il crimine; romanzi che ti fanno cavalcare in regni incantati con spada e vessillo con indosso un armatura magica. E poi ci sono i romanzi che ti fanno sentire improvvisamente nudo (sto parlando di romanzi e non di porcherie da edicola della stazione, mascalzoni, non travisate!), che ti fanno dire ma chi gli avrà raccontato i fatti miei a questo scrittore, come fa a conoscere i miei amici, i miei parenti, i miei colleghi? ? il caso di “Non si sa mai” di Donatella Placidi, un ritratto di interni leggero (della leggerezza invocata da Calvino) e toccante, che con poche pennellate dipinge il piccolo mondo familiare che ci appartiene. Una finestra sulla vita di tutti i giorni che si apre, ci accoglie e si richiude prima che possiamo abituarci, prima che diventi routine, prima che possiamo indovinare come andrà a finire. I personaggi di Donatella Placidi – la bambina viziata e odiosa, la terza età in crisi, gli uomini che vedono uno per uno i capelli persi ma non si accorgono dei soprusi subiti in ufficio – sono persone che abbiamo conosciuto tutti, prima o poi. E quando un giorno qualcuno, fra un migliaio di anni, vorrà conoscere la nostra vita, quella della generazione tra i trenta e i quarantanni nell’Italia del 2000, non dovrà certo leggere di extraterrestri predatori, poliziotti invincibili e armature magiche, ma farà bene a procurarsi una copia del romanzo della Placidi. Perciò conservate con cura la vostra: non si sa mai…


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