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Sabato pomeriggio – seconda parte

Non si può aspettare l’arrivo della mamma. Come giustificare il fatto che la bimba è stata lasciata a contatto con quella sostanza giallo fosforescente radioattiva per più di qualche minuto?
Negare è impossibile, nessuno potrebbe affermare di non essersi accorto che la bimba ha evacuato e continuare a pretendere il rispetto e la considerazione che si dà ad uno sano di mente. Fra qualche minuto se ne sarà accorto anche il vicino che la bimba ha evacuato, e rischiamo seriamente l’arrivo della polizia alla ricerca del cadavere. Non si può aspettare. Il giovane papà agisce. Il fatto che i calzini siano sporchi di giallo ocra non depone a favore di una prima ottimistica previsione del tipo "che sarà mai cambiare un pannlino".
Man mano che ci si avvicina all’epicentro, i danni della violenta esplosione si fanno più drammatici. La tutina è andata. Anche il body ha perso il colore originale. Del pannolino praticamente si sono perse le traccia.
È incredibile osservare quanta roba purulenta possa uscire da un corpicino così piccolo e angelico. Ci credo che piangevi povera piccola, ad occhio e croce dovevi essere piena dall’ombelico in giù, talloni compresi. Il giovane papà si lancia al soccorso della giovane erede: via i calzini, lanciati, via la tutina, lanciata più lontano, via il body, praticamente dai vicini. Ecco il pannolino, c’è l’infame, ma non è servito a nulla visto che l’eruzione ha tracimato ovunque. Lanciarlo lontanissimo. Dal balcone, se possibile.
E poi? Lavare, che cavolo. Ma serve l’acqua calda. Portare la bimba con sè è da escludere, lascerebbe tracce difficili da occultare. Il giovane papà corre in cucina e apre l’acqua calda e torna indietro. La bimba è ancora sul fasciatoio. Il giovane papà prende una bacinella e torna indietro.
La bimba è ancora sul fasciatoio ma si agita. Il giovane papà riempie la bacinelle d’acqua calda e torna indietro dalla bimba che è ormai visibilmente incazzata e si domanda chi è il deficiente in balia al quale l’hanno lasciata e che non è capace di cambiare un pannolino.

Il giorno pi? lungo

I primi a fare casino sono sempre i piedi, da sempre la parte più proletaria e battagliera dell’organismo: alzi la mano chi si ricorda di avere avuto male negli ultimi tempi alle orecchie, alle anche o ai polmoni. Quelle sono parti sottomesse e servili, i piedi no, i piedi si lamentano e fanno male. Dicevo, i primi sono stati i piedi, a lamentarsi della scarsa frequenza con cui il sangue li riforniva di ossigeno. Tanto hanno fatto che mi sono svegliato, in effetti mi sono accorto che erano gelati, e mi sono domandato se per caso non si fossero bloccati i riscaldamenti. Ma è ancora prestissimo, posso dormire ancora, maledetti piedi, li muovo un po’ per riscaldarli senza esagerare che non voglio dormire del tutto. Un paio d’ore dopo sono in piedi, in un silenzio irreale. Sarà che da qualche tempo vivo da solo, ma un silenzio così non me lo ricordavo. Non si sente passare la maledetta macchina che pulisce le strade la mattina presto e fa più baccano di una sfilata rave, al piano di sopra non hanno ancora cominciato a spostare i mobili (o uno dei coniugi c’ha l’amante e ogni notte lo nasconde nell’armadio, o vivono tutti in divani letto che hanno bisogno di essere oliati, o vivono tutti nell’armadio, non vedo altre spiegazioni). Vado in bagno, cacchio se fa freddo se n’è accorto anche lui e protesta pigramente perché non apprezza questa boccata d’aria fresca, l’acqua calda fa una condensa che sembra un geyser
Mi avvio pigramente a fare colazione, sembra domenica mattina, che strano, ma non è che è davvero domenica e ho dormito cinque giorni di fila, apro finalmente la finestra, capisco…
M***a, nevica. Cioè, non è che nevica m***a, ma è come se lo fosse, bastano pochi centimentri a mandare in tilt la circolazione bolognese. Ci metterò due ore ad arrivare in ufficio. Sarà un lungo, lungo giorno.