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Le automobili ansiose

Avevo la patente da poche settimane quando regalai all’auto di mio padre una prima, profonda strisciata sul fianco. A mia discolpa la manovra per parcheggiare in garage era veramente complicata, bisognava compiere una specie di punto interrogativo al contrario, e la mitica Seat Ronda aveva l’agilità di una carro armato sovietico. Piantai la fiancata contro un angolo e a quel punto non c’erano scelte, in avanti o in retromarcia l’avrei danneggiata. Il danno c’era tutto, e una persona meno comprensiva e buona di mio padre si sarebbe per lo meno innervosito.

In seguito ho migliorato la mia capacità negli spazi stretti, ma la mitica Saxo, l’automobile acquistata con i primi stipendi, ha dovuto pagare pegno. Non parliamo poi della Xsara Picasso successiva, che con le sue dimensioni generose rendeva ogni parcheggio in retromarcia una sfida avvincente.

Erano auto temerarie e coraggiose, quelle, come la mia ultima C3, segnata a Vado, vicino alla delegazione comunale, da un maledetto marciapiede capace di rendersi invisibile negli specchietti e colpire silenzioso sui fianchi, per non parlare di quella volta che mi gettai fuori strada sul percorso per Monzuno per evitare un tir polacco che dopo un tornante invase la mia corsia. Quella volta è andata bene così, tutto sommato.

Con le auto di oggi è diverso. Le auto attuali sono ansiose. Cominciano a segnalarti l’approssimarti del marciapiede quando è ancora a un metro di distanza, ticchettano nervose mentre ti avvicini, strillano isteriche a dieci centimetri. Non solo, i sensori adesso ce li hanno anche avanti, per cui ti segnalano angosciate anche se il veicolo davanti non è a distanza di sicurezza. Io cerco di rassicurarla, l’ho visto il muro, ma porca miseria, non posso lasciarti così distante, nella mia carriera c’è qualche graffio, è vero, ma anche di migliaia di parcheggi a pochi centimetri dal punto di contatto.

Niente da fare, se alzi la radio per non sentirla l’abbassa a lei e insiste con quel fischio straziante.

Mi sono rassegnato a parcheggiare senza nemmeno sfiorare le altre automobili. In compenso la Panda del nonno che abita più avanti sensori non ne ha, e picchia furiosamente contro tutto quello che le limita il movimento, creandosi spazi dove non ci sono.

Chissà che brutti momenti, per la mia macchinina ansiosa.

Automobilista RAUS!

Ho un abbonamento annuale agli autobus, uso di tanto in tanto i servizi che consentono di noleggiare bici in città, se devo visitare una città lo faccio preferibilmente in treno. Insomma, sono uno che nei mezzi pubblici crede.

Però non riesco ancora a fare a meno del tutto dell’auto: aerei e treni a lunga percorrenza sono più cari del mezzo privato, specie per le famiglie, la maggior parte dei bus scompare dopo il tramonto, spostarsi in Appennino senz’automobile è come arrampicarsi sull’Everest con le infradito. Quando serve, serve.

In quanto automobilista (seppure a tempo perso) comincio a soffrire questo atteggiamento tipicamente cittadino di celato disprezzo verso i possessori di automobili, che si traduce nella continua, ossessiva riduzione dei posti auto.

Per carità, le piazze trasformate in parcheggio sono un insulto. Avete mai visto una vecchia foto in bianco e nero di piazza Maggiore piena di automobili parcheggiate? Fa male al cuore. Però, visto che ci sono quartieri periferici in cui, nei beati anni Cinquanta, si sono costruite palazzine su palazzine senza minimamente pensare alla necessità degli inquilini di parcheggiare, non si può pretendere che uno si porti la vettura in salotto.

Qualche esempio? Il parcheggio per disabili è sacrosanto, un segno di civiltà. Però se nel mio quartiere a Bologna negli ultimi anni praticamente un parcheggio su dieci ha le strisce gialle, o tutti i reduci e i mutilati di guerra si sono trasferiti qui, o forse bisogna ripensare il modo in cui questo diritto (ripeto: sacrosanto) è gestito, perché se il figlio del mutilato morto e sepolto continua a parcheggiare nelle strisce riservate, c’è qualcosa che non va. Poi sono arrivate le colonnine per la ricarica elettrica: giuste anche loro, il giorno che le vedrò usate giuro che farò una fotografia e la manderò a tutte le testate giornalistiche, come è giusto che avvenga per un evento storico.

L’ultima tendenza è quella, semplicemente, di eliminare posti auto in strada per il gusto di farlo. Segnali di divieto che appaiono su strade larghe dove la gente ha parcheggiato per decenni, posti auto sacrificati per le piste ciclabili, per il tram, per le corsie preferenziali, per la lotta allo smog e la pace nel mondo. I sindaci progressisti, quando sono in difficoltà, si recano alle pendici del vulcano consacrato e sacrificano posti auto vergini.

Attenzione, però, che questo ambientalismo di sinistra e popolare ha veramente poco. Perché i signori con le villette monofamiliari le auto le tengono nei loro eleganti box con apertura automatica. Sono i poveri cristi che, dopo aver girato per un’ora alla ricerca di un posto auto in quartiere, sospirano e recitano un eterno riposo di fronte all’ennesimo parcheggio che non c’è più,  sacrificato in nome di un bene comune superiore.

Conosco una scorciatoia

Ce l’abbiamo avuti tutti un amico che conosceva sempre la scorciatoia.
Quello che si mette sempre davanti ai cortei di automobili perché lui conosce un percorso che si fa prima.
Quello che anche in una città in cui non è mai stato prima suggerisce di evitare il centro e indirizzarsi verso la tangenziale di cui ha sentito parlare solo su Onda Verde.
Quello che vi dice di non fare come tutti che per andare, che so, a Perugia escono a Perugia, ma di essere svegli, lasciare l’autostrada due uscite prima e poi proseguire nei paesini.
Quello che non è mai stato all’estero in vita sua, ma discute con competenza delle differenze tra le autostrade russe e le highway del Midwest.
Ebbene, se c’è una cosa di cui sono grato alla tecnologia, è che con i navigatori satellitari, per questi amici è iniziato il viale del tramonto.