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Il tocco della sposa, di Nevio Manente

Cominciamo col dire che l’inserimento del romanzo “Il tocco della sposa” nella categoria “Mistery” da parte della casa editrice è quantomeno fuorviante. Ci troviamo infatti di fronte ad un romanzo che trae i suoi spunti da quella ricca narrativa umoristica e popolare (nel senso migliore del termine, cioè non elitaria) che va da Guareschi a Calvino fino al più recente Vitali.
Una narrativa leggera, quindi, fresca, talmente piacevole da leggere che un po’ ci dispiace essere arrivati in fondo. L’autore è bravo nella scelta dei tempi e nel tratteggio divertito di quadretti rappresentati con cura lessicale (il mio preferito è il dibattito tra i novelli Don Camillo e Peppone sul nome da dare al paese).
? un’opera prima e come tale preserva quella spontaneità e quell’inventiva (magari qualcuno dirà anche un po’ di ingenuità) che fanno di questi lavori una categoria a sè stante.
La storia è quella di due coppie, una di giovanissimi adolescenti alle prese con i primi approcci con l’altro sesso, l’altra appena un po’ più grande di ventenni universitari. Sullo sfondo, un paese che dopo aver conquistato l’autonomia comunale vuole riscrivere la sua identità, a cominciare dal suo nome. La sposa del titolo è una donna che ha vissuto un amore travagliato in quel paese e di cui si racconta una leggenda che qui non è il caso svelaree che lascio ai fortunati lettori di questo romanzo.

Le strampalerie del Livorno

Sicuramente rallegrarsi, entusiasmarsi e sentirsi felici per un risultato calcistico è infantile. Se poi a vincere non è la propria squadra (il Taranto ha perso anche ieri, stiamo per dare l’ennesimo addio al professionismo, l’anno prossimo si torna a giocare con le squadre rionali) ma una squadra che neanche si conosce bene, come il Livorno, davvero bisogna riflettere. Ma volete mettere la soddisfazione di veder perdere il Milan contro la tifoseria più divertente -la trovata delle bandane è la più spassosa viste finore- d’Italia? Volete mettere il piacere di vedere la fantasia, l’estro e l’inventiva di Donadoni, uno che anche quando era al Milan ha preso le distanze dalle scelte politiche del presidente, contro gli schemi, la quadratezza e la pesantezza di una persona che trasuda servilismo come Ancelotti? Insomma, forza Livorno, la vittoria di ieri è stata la migliore soddisfazione calcicistica di un anno poverissimo. E non ha significati politici: se il Livorno fosse stato l’espressione della sinistra, avrebbe giocato in nove perché in due si sarebbero ritirati, avrebbe segnato un paio di autogol, avrebbe avuto un paio di giocatori indecisi se passare al Milan (così, su due piedi, durante la partita), non avrebbe esultato dopo il gol per senso di responsabilità istituzionale, avrebbe regalato il pareggio alla fine per pacificazione, avrebbe perso la metà del tempo a discutere su chi dovesse battere i calci d’angolo e soprattutto, mai, mai, in nessun caso, avrebbe vinto: gli sarebbe sembrata una strampaleria.