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Non c’è più la prova costume

Di sicuro per noi il problema non è grave come per quegli agricoltori che dopo aver visto fiorire i primi alberi se li vedono congelare sotto la neve. Non è neanche una beffa come per gli operatori delle stazioni sciistiche che dopo una stagione di prati verdi, vedono le loro piste imbiancarsi ora che a sciare non ci pensa più nessuno. Per quanto gli operatori sciistici è da un po’ che dovrebbero studiarsi piani alternativi.

Però quando ripenso alle formiche che ho visto nei giorni scorsi cominciare ad accaparrarsi le briciole e che adesso si staranno domandando chi è che ha puntato male la sveglia, non posso non considerare quanta nostalgia ho delle quattro stagioni. Di quegli anni in cui lavavi e stiravi i maglioni, li salutavi, ci spruzzavi l’antitarme e non li rivedevi più per mesi. Anni in cui mettevi gli scarponi nella scatola e li riponevi nell’armadio o nella scarpiera nella posizione più scomoda, tanto a chi vuoi che servano.

Anni in cui c’era il periodo in cui aveva senso fare la prova costume. Chi la fa più la prova costume? A parte il fatto che puoi trovarti coinvolto in una imbarazzante uscita imprevista alle terme magari a marzo, periodo di massima espansione assoluta del panciotto, che con la scusa che fa freddo hai imbottito prima di fritti misti e poi della cioccolata di Pasqua. Il guaio è che per fare la prova costume devi averla, un’idea di massima, su quando lo indosserai. Ho visto amici che abitano al sud pubblicare nelle settimane scorse i loro indimenticabili piedi ammollo che adesso sono tornati a farsi avvolgere da sciarpe rassicuranti.

Maledetto cambiamento climatico, quando dobbiamo metterci a dieta? Quando devono tornare in palestra le signore di mezza età con le cosciotte piene di buoni propositi mandati all’aria? Quando devono prepararsi a tingersi i capelli o a ritoccarsi le sopracciglia i maschioni che ormai all’idea di smaltire la pancia hanno rinunciato?

Bisogna vivere alla giornata, dicono. Carpe diem. Polo a mezze maniche in un cassetto, maglione di lana nell’altro. Infradito o stivale a seconda di come gira il tempo. Vestirsi a cipolla come scelta di vita. E in fondo, magari, il costume.
Hai visto mai che ci scappa un giro alle terme.

La borraccia in sala riunioni

BorracceC’è stato un tempo in cui ad una riunione di lavoro ci si portava dietro al massimo un blocco per gli appunti. Almeno quelli come me che, senza prendere appunti, sentivano di buttare via il loro tempo inutilmente. A proposito, mi avete invitato ad una riunione e non ho preso appunti? Mi avete scoperto, lo confesso, non ve la prendete. Che volete farci. Poi certo c’era quello che si presentava con un abito firmato che gli era costato due volte lo stipendio, ma tutto sommato una spesa ragionevole per dimostrare di contare qualcosa, nonostante quello che gli ripeteva l’ex. E quello che incrociava le braccia dietro la testa e si dondolava, perché l’aveva visto un film di gangster americani e reputava di apparire meno stupido del solito, in quella posizione di potere.

Poi sono arrivati i cellulari, ma all’epoca nessuno aveva voglia di appoggiare mezzo chilo di plastica sul tavolo, anche perché estrarlo dalla tasca dei pantaloni era un’operazione delicata e una volta sistemato lo si estraeva solo se proprio necessario. Ho visto gente rifiutare diverse telefonate importanti solo perché l’antennina si era conficcata nel basso ventre e non ne voleva sapere di tornare a posto. Negli anni duemila il cellulare più piccolo era meglio era (che tempi!).

Fu il Blackberry il primo convitato di pietra a fare la sua apparizione in sala riunioni. Il piccolo manager con aspirazioni di arrampicata sociale lo appoggiava con un sospiro teatrale, senza perderlo mai di vista. Di tanto in tanto lo sbirciava, così per controllare che magari non fosse arrivata l’e-mail per la pizza del giovedì o la newsletter di Forza Milan. Erano in cui non si era ancora diffusa la fregatura del BYOD e le aziende fornivano ancora degli strumenti ai dipendenti, solitamente quelli di medio livello: gli operativi infatti dovevano tenere in piedi l’azienda e non potevano perdere tempo a leggere inutili e-mail, i dirigenti che dirigevano davvero avevano qualcuno che scriveva le e-mail per loro. Insomma, come un distintivo luccicante da esibire sul petto, il Blackberry fu il protagonista indiscusso per qualche anno delle riunioni, poi sparì lui e la sua tastierina minuscola, buona per le dita di Barbie e Big Jim.

Oggi una sala riunioni che si rispetti non può non avere uno schermo di oltre 50 pollici su cui apprezzare le solite presentazioni scritte male (quelle non mancano mai: secondo me fra un secolo si useranno computer molecolari e realtà virtuale 3d, ma PowerPoint resterà lo stesso, con i suoi punti elenco e i suoi sfondi fosforescenti). E poi, sono arrivate loro.

Le borracce.

Intendiamoci: se la riunione è organizzata a Bangui o Arica, tutto sommato avere dietro un paio di borracce può essere una buona idea. Interrompere la riunione per recuperare un po’ d’acqua da un cactus nel Sahara o cercare un fornellino per bollire l’acqua nel deserto di Atacama in effetti può essere fastidioso e minacciare la produttività. Ma noi siamo in Italia, la seconda porta a destra del corridoio ti conduce dritto verso un bagno con acqua corrente controllata centinaia di volte!

E va bene, decine di anni di lavaggio del cervello pubblicitario ti hanno portato a diffidare dall’acqua del rubinetto, ma la tua da dove viene? Sei passato a prenderla come ogni mattina dalla sorgente di Roburent? E se davvero fosse, davvero quell’acqua che ti porti dietro da sette o otto ore, in una borraccia molto alla moda, devo ammetterlo, ma che magari non lavi da settimane, dovrebbe essere migliore di quella corrente del rubinetto? Procurati un bicchiere come quelli che usavamo all’asilo che si allungavano come una molla e vai, se hai sete, no? Alla peggio si richiuderanno mentre bevi e ti faranno il gavettone. All’asilo succedeva, maledizione.

Come avrete intuito, sul tavolo della sala riunioni non ci sarà mai la mia borraccia. Non perché usi bottigliette di plastica. Il fatto è che ogni tanto in bagno occorre andarci comunque, per concludere il giro se non per avviarlo. E davvero non vorrei trovarmi, fra qualche, ad ammirare pappagalli maleodoranti comprati on-line e pieni fino all’orlo che troneggiano sul tavolo, perché una Greta ormai quarantenne ha stabilito che anche lo scarico è uno spreco.