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Baccini, è meglio che canti. Lascia stare la Rai…

Immagine tratta dal sito ufficiale www.baccini.it

Al liceo mi insegnarono che la critica può porsi nei confronti dell’arte in modi diversi. Tra i principali approcci c’è quello crociano, secondo il quale l’arte è una monade senza porte né finestre, cioè un universo indipendente che non ha rapporti con la vita reale, per cui occorre immergersi nel testo trascurando il contesto; e quello storicista, secondo il quale invece è importante conoscere l’autore, la sua vita, il momento in cui scrisse le sue opere, tutto ciò che insomma sta intorno, prima e dopo il testo. Io ho sempre amato il primo approccio: mi immergo in una novella di Pirandello e non mi importa che sostenesse il fascismo e che la sua vita ebbe più ombre che luci; riascolto un riff dei Nirvana e trascuro gli eccessi e lo stile di vita distruttivo di Cobain che non condivido. Da una parte l’arte, insomma, dall’altra l’artista: se qualcuno vuole conoscerlo fa bene, ma ciò concerne più la storia, la sociologia, che la letteratura o la musica.
Mi è tornata in mente questa distinzione l’altra sera guardando in tivù Baccini nella Music Farmacia, quella specie di isola dei cantanti dimenticati. Infatti è stato uno di quesi casi in cui conoscere l’artista non ti fa apprezzare di più la sua arte. Anzi. A me Baccini anni fa piaceva e molto, ritrovavo in lui alcuni atteggiamenti ironici e intelligenti dell’irripetibile Rino Gaetano (penso a canzoni come Le donne di Modena o Sono stufo di vedere quelle facce alla tivù) ma anche melodie più intense e riflessive (tra le tante ricordo una dolorosa canzone dedicata a Curcio).

Che l’artista fosse in crisi era evidente, gli ultimi due album non li ho neanche sentiti e il terz’ultimo era bruttino, per non parlare di quell’orribile parrucchino con cui si mostra in giro da qualche anno. Adesso non posso nascondere la mia delusione, è vero che l’arte è una monade, ma se si apre una finestra casualmente facendo zapping e si scopre che l’artista fa scherzi stupidi, bestemmia e dà segni di squilibrio (se fa finta è ancora peggio), be’, un po’ di amaro in bocca resta.

Richiudete la finestra: non serve a vendere nuovi dischi, e fa passare la voglia di riascoltare quelli vecchi.

Lo stato dell’arte

Sabato pomeriggio sono stato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, dove ogni tanto vado a fare due passi tra la bellezza (per chi non c’è mai stato: non siamo ai livelli stratosferici di Roma o Firenze, ma Carracci, Giotto e la Santa Cecilia di Raffaello meritano una visita). Ci arrivo gongolante perché, dopo anni di orari impossibili (tipo dal lunedì al venerdì 8-12), finalmente i musei hanno ampliato la loro offerta: si può andare alla pinacoteca tutti i giorni tranne il lunedì dalle 9 alle 19. Però…c’è un però. Siamo pochi, mi spiegano alla biglietteria. Niente aula magna, ci sono dei lavori. Ah. Vabbè. Peccato. E niente Giotto. Ma perché? Siamo pochi, le ho detto, non possiamo tenere aperte tutte le sale. Se ne approfitta fra un po’ un collega apre il barocco. Il rinascimento invece è chiuso, ma lo riapriremo alle 17. E Giotto? Giotto no, non se ne parla. Ma si sa quando lo riaprirete? Dipende, alcuni colleghi hanno l’influenza, ad altri hanno dato il part-time…ci arrangiamo giorno per giorno…Decidiamo volta per volta. Provi a ripassare. Ho fatto un giro tra ciò che mi hanno fatto vedere, sbirciando i corridoi chiusi e aspettando che un custode chiudesse il barocco e aprisse il rinascimento. Chissà quando potremo rivedere Giotto. Esco per strada, c’è un sacco di gente che fa shopping, vorrei dire a tutti che hanno chiuso i capolavori di Giotto in una stanza al buio perché non c’è personale. Ma ho la triste impressione che non importi granché a nessuno, ed è un’impressione davvero triste.