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Quelli che il codice

In questi giorni sto leggendo il Codice da Vinci.
Lo sto leggendo perché ho voluto che passasse la moda, mi sono documentato su Templari, Santo Graal eccetera per non farmi cogliere impreparato dalla storia, e adesso sono pronto ad affrontarlo criticamente. Non entro nel merito del romanzo, che è tecnicamente fatto benissimo anche se ha una prosa abbastanza mediocre e alcune grossolanità scellerate; lo farò quando l’vrò completato.
Invece mi diverte di più notare l’atteggiamente che c’è intorno al codice. Per alcuni è stata una lettura estiva, una concessione alla leggerezza, divertente ma niente di che. Quasi si vergognano di ammettere di averlo letto, e comunque se lo citano è per evidenziarne gli errori. Altri ne parlano come se averlo letto abbia aperto loro le porte della conoscenza, si eccitano al solo ricordo e puntano il dito contro il complotto che ci avvolge. Altri ancora pontificano di cavalieri del santo sepolcro e Opus Dei vantandosi del fatto che hanno letto il Codice da Vinci, tutto quanto! In fondo alla catena ovviamente ci sono quelli che il libro non l’hanno letto, ma hanno visto il film: chiacchierano molto anche loro.
Finora sono stato alla larga dalle conversazioni, trincerandomi dietro un "non l’ho letto". Devo trovare una valida scusa per continuare a estraniarmi e portare la conversazione su un più agile Harry Potter…

E bravo Donadoni

Tutti gli appassionati di sport prima o poi sognano di diventare allenatori della nazionale e fare un po’ quello che gli pare, scegliere i giocatori a casaccio, inventarci un modulo, mostrare la nostra fantasia e la nostra genialità. Più o meno è quello che consentono di fare molti videogiochi, con i quali ci si può divertire ad assemblare le formazioni più improbabili e disparate. Donadoni non si è accontentato dei videogiochi, l’ha fatto davvero. Posto di fronte ad una passerella estiva che doveva celebrare il trionfo della nazionale ma si è rilevata piuttosto inutile, ha scelto dei giocatori che gli stavano simpatici senza seguire alcun criterio che non fosse la sua immaginazione (non venite a dirmi che si cercano giovani per rigenerare la squadra maggiore, Liverani e Luccarelli erano giovani dieci anni fa, e poi dell’Under 21 di Gentile non c’era granché). Il risultato è stato l’umiliazione dei colori nei quali ci siamo identificati tutti qualche settimana fa: è non può dire, Donadoni, che va tutto bene, che è soddisfatto, che i ragazzi hanno giocato bene. Ammetta che è stata una bruttissima figura, una partitaccia oeganizzata male, aggravata dal comportamento incomprensibile dei livornesi (ma il genio è stato chi all’ultimo momento ha deciso di spostare la partita da Taranto, dov’era prevista, a Livorno: complimenti). Per carità, lui è in una situazione difficile, fa l’allenatore della nazionale perché nessun altro voleva ricoprire quel ruolo nel dopo Lippi. Libero di fare gli esperimenti che vuole, ma in palestra, in allenamento, in tuta. Quando si va in campo, ci si comporta da professionisti, e se si perde, per piacere, si ammettano i propri errori. Nessuna condanna, ma smettiamola con l’autoassolverci sempre e comunque…