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Auguri alle credenti (e non)

Se il nostro premier fosse stato donna, non avrebbe avuto voglia di bunga bunga – qualunque cosa esso sia – tutte le sere, perché dopo una giornata di duro lavoro in ufficio si sarebbe dedicato al duro lavoro a casa.

Se il nostro premier fosse stato donna non avrebbe avuto bisogno del trapianto dei capelli e si sarebbe fatto una tinta molto meno appariscente.

Se il nostro premier fosse stato donna avrebbe parlato molte lingue straniere, perché una donna non può tollerare che sia un interprete a tradurre i suoi commenti rivolti alla ministra tedesca sulla nuova capigliatura dell’ambasciatrice.

Se il nostro premier fosse stato donna avrebbe avuto un’idea più chiara di come funziona la scuola, pubblica o privata, perché sarebbe andato a parlare con gli insegnanti dei propri figli almeno una volta a quadrimestre.

Se il nostro premier fosse stato donna avrebbe indossato con molta più nonchalance i tacchi e i rialzi che gli regalano 7-8 cm.

Se il nostro premier fosse stato donna non si sarebbe dato da fare per recuperare onorevoli finiani promettendogli chissà che, perché una donna prima di riaccogliere un traditore lo fa crogiolare il tempo necessario.

Se il nostro premier fosse stato donna avrebbe apprezzato di più le donne.

Auguri alle credenti (nella festa della donna) e non.

Orgoglio zitello

Ieri non ho fatto gli auguri alle donne. Non è stata una dimenticanza, ma una scelta dovuta al fatto che oggi quando si parla di festa delle donna non si sa di preciso a cosa ci si riferisce. Ci sono le ultrafemministe che la considerano un festeggiamento per i risultati ottenuti: e allora se fai loro gli auguri si incavolano come iene, ti guardano beffarde e ti rispondono che ci sono più parlamentari donne in Italia che in Afghanistan, e che non c’è un piffero da festeggiare, porca miseria. Ci sono le tradizionali che invece dicono che la festa della donna non ha senso, perché non ha senso discutere di diritti e genere (e costoro spesso pensano, anche se non lo dicono, che tutto sommato la vita fatta di stare a casa, accudire la famiglia e dedicarsi agli hobby non era poi così male se paragonata alla vitaccia tutta ufficio asilo e supermercato di oggi). Ci sono le soddisfatte per le quali non serve più festeggiare questa ricorrenza perché ormai uomini e donne sono pari, nella vita sociale come in quella familiare. Di solito tra questo gruppo, minoritario, si annoverano le amanti del capo che hanno fatto carriera: non sempre, ma molto spesso. E poi ci sono loro, quelle che festeggiano davvero: strappano gli slip leopardati ai palestrati in discoteca, urlano frasi oscene uscendo in gruppi femminili e si radunano per parlare male di questi uomini che non le capiscono e, soprattutto, non le vogliono. Sono le esponenti di quello che io definisco l’orgoglio zitello, o Single Pride, se preferite. Ma allora mi domando: c’è bisogno di una festa per ammettere che vi piacciono gli spettacoli discinti un po’ volgarotti, tra bevuti e sberleffi? Noi uomini non abbiamo mai nascosto di apprezzarli, e abbiamo fatto “outing” molto prima di voi. La verità, forse, è che ancora una volta la parità l’abbiamo raggiunta, ma livellandoci verso il basso.

Orgoglio zitello

Ieri non ho fatto gli auguri alle donne. Non è stata una dimenticanza, ma una scelta dovuta al fatto che oggi quando si parla di festa delle donna non si sa di preciso a cosa ci si riferisce. Ci sono le ultrafemministe che la considerano un festeggiamento per i risultati ottenuti: e allora se fai loro gli auguri si incavolano come iene, ti guardano beffarde e ti rispondono che ci sono più parlamentari donne in Italia che in Afghanistan, e che non c’è un piffero da festeggiare, porca miseria. Ci sono le tradizionali che invece dicono che la festa della donna non ha senso, perché non ha senso discutere di diritti e genere (e costoro spesso pensano, anche se non lo dicono, che tutto sommato la vita fatta di stare a casa, accudire la famiglia e dedicarsi agli hobby non era poi così male se paragonata alla vitaccia tutta ufficio asilo e supermercato di oggi). Ci sono le soddisfatte per le quali non serve più festeggiare questa ricorrenza perché ormai uomini e donne sono pari, nella vita sociale come in quella familiare. Di solito tra questo gruppo, minoritario, si annoverano le amanti del capo che hanno fatto carriera: non sempre, ma molto spesso. E poi ci sono loro, quelle che festeggiano davvero: strappano gli slip leopardati ai palestrati in discoteca, urlano frasi oscene uscendo in gruppi femminili e si radunano per parlare male di questi uomini che non le capiscono e, soprattutto, non le vogliono. Sono le esponenti di quello che io definisco l’orgoglio zitello, o Single Pride, se preferite. Ma allora mi domando: c’è bisogno di una festa per ammettere che vi piacciono gli spettacoli discinti un po’ volgarotti, tra bevuti e sberleffi? Noi uomini non abbiamo mai nascosto di apprezzarli, e abbiamo fatto “outing” molto prima di voi. La verità, forse, è che ancora una volta la parità l’abbiamo raggiunta, ma livellandoci verso il basso.