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Assenti perché in convention

Ci sono le feste, e poi i meeting, e poi i tradizionali congressi, e poi i convegni, le fiere e i raduni. Fateci caso, ma non c’è giorno che passi che non si assista in qualunque telegiornale al rituale della sala gremita a battere le mani a questo o quell’altro politico.
Un evento organizzato bene può costare dai centomila euro in su, E chi li paga, mi domando? Come mai queste forme di comunicazione dispendiose non vanno mai in crisi?
E poi, fateci caso, nessuno che parli mai di sè e dei propri errori, sempre pronti a puntare il dito contro gli altri. I politici parlano della crisi del commercio, i commercianti della crisi industriale, gli industriali parlano di qualunque cosa li tenga lontano dalla loro industrie. Ci avete mai fatto caso? La Marcegaglia critica la manovra del governo dal convegno dei produttori di dentiere usa e getta, la Marcegaglia dà un ultimatum al governo dalla fiera dei tessicoltori di alghe, la Marcegaglia chiede maggiore coraggio al governo dal meeting dei commercianti di perline.
Ma un giorno in azienda ci staranno mai questi industriali?
E soprattuto, una buona volta vorranno fareun po’ di autocritica, anziché prendersela sempre con gli altri? Si riempiono la bocca di meritocrazia. E già. Che azienda dirige la Marcegaglia? La Marcegaglia SpA. Ma che coincidenza, si chiama come lei! Sicuramente però il suo ruolo è solo legato al suo merito. E Marina Berlusconi, che rigide selezioni del personale ha superato per dirigere la Mondadori? E Lapo Elkann? Ha vinto un concorso che l’ha visto competere con altri centinaia di brillanti giovani per occuparsi del marchio Fiat?
Le aziende italiane spesso e volentieri danno l’impressione di essere strutture familistiche con una gestione del potere di stampo medievale che anziché domandarsi come mai la Apple non si chiami la “Jobs” sperano solo di sopravvivere riducendo pensioni e pausa pranzo.
Anzi, aboliamolo del tutto questo pranzo, tanto per loro c’è sempre il catering abbondante di qualche convegno…

Al lavoro!

Da più parti in questi giorni si stanno sollevando polemiche contro le celebrazioni per i 150anni dell’unità d’Italia, che prevedono (prevederebbero) un giorno di festa. Gli industriali hanno detto che perderanno 4 miliardi di euro per colpa di un giorno di riposo.

Praticamente il nostro pil è legato più al fatto che quest’anno non ci saranno feste per il 25 aprile e il 1° maggio che per le capacità imprenditoriali della cosiddetta classe dirigente. Ma allora osiamo, andiamo oltre.
Quanti miliardi perdiamo per colpa delle inutili soste settimanali della domenica (e addirittura anche del sabato in alcuni casi)? Quanto scaleremmo le classifiche della produttività se portassimo la giornata lavorativa a 15, 16 ore (con eventuali due ore di straordinario), come accade nei paesi più redditizi?

E perché non liberarci di questi assurdi vincoli burocratici legati al novecento che impediscono per esempio di migliorare i rendimenti attraverso lo sfruttamento della mano d’opera infantile? Se i bambini meridionali, per esempio, anziché andare a scuola lavorassero in fabbrica, otterremo un valido taglio alla spesa pubblica e saremmo più competitivi sui mercati nazionali.

Per non parlare della sacrosanta abolizione delle ferie estive, che ingolfano le autostrade e le spiagge d’Italia che invece devono essere libere per incrementare il turismo straniero.

Insomma, le strade per far felici gli industriali sono tante, basta volerlo.