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E chi li conosce?

 I pubblicitari li chiamano teaser. Sono campagne che servono solo a incuriosire, stuzzicare l’opinione pubblica, senza chiarire troppo il messaggio. Dopo il teaser c’è il follow-up, la campagna pubblicitaria vera e propria che nei colori e nello slogan deve richiamare il teaser che l’ha preceduta. Uno strumento rischioso, sicuramente, di cui si ricordano errori clamorosi (la Mercedes organizzò una campagna di teaser che anticipò di un anno l’uscita della Classe A, poi quando la macchina fu presentata si scoprì che si accappottava in curva). L’idea comunque è vecchiotta, molto sfruttata, e se non c’è un lavoro di creatività fatto bene, allora non funziona. Spesso viene associata al guerrilla marketing, cioè a quelli strumenti di comunicazione non convenzionale che si basano sull’idea di diffondere una leggenda metropolitana o del coinvolgimento involontario dei media per svelare un mistero dietro il quale c’è una operazione commerciale.

I geni del PD hanno usato entrambi questi strumenti. L’hanno fatta in maniera mediocre, ricalcando cioè cliché già abbastanza usurati, senza quell’audacia e quella voglia di osare che devono essere alla base di questi strumenti. E anche da un punto di vista esecutivo, teaser e follow up sono davvero scarsini. Ma il punto non è questo, in fondo chi li accusa esagera, a parte il fatto di aver appeso abusivamente i manifesti (pratica che ha svelato la loro natura politica visto che sono i politici a non pagare mai per le affissioni), per il resto la campagna ha attirato l’attenzione, tutto sommato non è stato questo flop di cui parlano tutti. Il punto è: perché devo usare strumenti che servono tutto al più a vendere scarpe e bevande analcoliche per promuovere il tesseramento ad un partito?

Su quali valori si basa un partito che cita le commediole hollywoodiane e si propone con una grafica che ricorda le patatine fritte più economiche?

Se vogliono conquistare i voti dei giovani di sinistra, cerchino di spiegare perché mai i giovani di sinistra dovrebbero votare per Enrico Letta. Quando avranno trovato una sola ragione, allora potranno farne la base per una campagna di abbonamenti.

Fiera del libro

Eccomi a documentare la prima presentazione realizzata per “Bologna l’oscura”,  alla la Fiera dei piccoli e medi editori di Roma. In fondo il primo incontro del libro con il pubblico si è avuto lì.

Una fiera a cui cerco di non mancare mai perché si ha davvero l’opportunità di incontrare lettore appassionati e curiosi, senza l’effetto Show di Torino dove talvolta si ha l’impressione che ci sia più attenzione per le poesie introspettive del cantante pop e per la raccolta di ricette della diva del reality che per quei quattro sfortunati che continuano a pensare che i libri li debbano scrivere gli scrittori.

Tra i momenti indimenticabili, quello della signora di mezza età che dopo aver comprato una copia del libro, è tornata dopo un’oretta con alcune omiche che ne volevano una copia a patto che facessi anche a loro una bella dedica. Questo si chiama viral marketing!

Fiera del libro di Roma
Eccomi con l'editore Raffaele Calafiore, nel momento sempre piaceviole delle dediche e mentre mostro il mio profilo di 32enne sfatto