(Continua dal post precedente)
A ll’inizio della passeggiata la visitatrice dissimulerà il suo interesse.
In realtà con la coda dell’occhio sta calcolando distanze, spazi, costi, sta verificando quanti bancomat le potranno servire e quanto tempo ha a disposizione per accaparrarsi vestitini e bijoux. Soprattutto, sta considerando quando potrà verificarsi il dramma di ogni donna, il momento in cui si aprono i furgoncini e i venditori ripongono la merce negli scatoloni tra rimpianti e malinconie. Di solito in questo momento la visitatrice adocchia un oggetto interessante. Si rifiuterà di comprarlo, nonostante le suppliche dell’accompagnatore, forte della tesi del "guardiamo se più avanti c’è di meglio".
Non ci sarà di meglio, più avanti, e dopo due ore di cammino l’unica speranza per non rovinarsi la giornata è recuperare quella bancarella che all’inizio aveva mostrato l’oggetto del desiderio. Per raggiungere questo scopo ci sono varie alternative.
Ci si può munire di una pistola lanciarazzi chiedendo al proprietario della bancarella di esplodere un colpo ad un segnale telefonico. Un po’ scomodo però perché la pistola non sempre è a portata di mani e perché un colpo potrebbe non bastare.
Si può allora segnare su una mappa l’esatta posizione geografica della bancarella: ma questo deve essere fatto al momento del "guardiamo più avanti" e soprattutto la mappa deve essere attendibile. Si possono lasciare briciole di pane o pezzi di stoffa sul cammino, ma la calca tende fastidiosamente a portarli via.
Si può usare un navigatore satellitare anche se incredibilmente ancora in commercio non ne esistono di programmati per mercatini (e mi domando fino a quando l’industria tecnologica attenderà per rispondere a questa impellenza così attuale). Oppure si p0uò costringere la visitratrice al succedaneo: un bene molto più costoso e ingombrante di quello visto all’inizio del mercatino, ma che per le meno è a portata di mano. Per vincere la nostaglia di quell’oggetto, che con il passare dei minuti la fantasia ha trasformato in un’autentica pietra filosofale, nell’arca perduta di tutte le visitatrici, il graal da mercatino, occorreranno almeno tre o quattro acquisti. Il tutto mentre fa un caldo africano, o in alternativa sta piovendo a dirotto.
Siete pronti a tutto ciò per lei? Allora avete trovato la donna giusta.
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La prova d’amore
Se aumentano le separazioni e i divorzi il motivo è uno solo: non si prova abbastanza l’affinità di coppia. Per carità, mica quei giochi demenziali e mescolano i nomi e ti dicono se la relazione ha un futuro.
E nemmeno i complicati calcoli astrali che sulla base di date, orari e segni zodiacali pretendono di sapere se due persone andranno d’accordo. Cavolate. La prova del fuoco è un’altra. Non il weekend nella baia in montagna, troppo facile. Non le vacanze al mare, son buoni tutti. E nemmeno la convivenza, in fondo se ci si ricorda di mettere i calzini in lavanderia e non si lasciano briciole in salotto si può sopravvivere.
Ho deciso perciò di fornire un servizio a quei miei 25 lettori maschietti che per qualche ragione inspiegabile vogliono abbandonare la felice condizione di single. Se volete provare davvero la vostra affinità, dovrete trascorrere un paio d’ore con la vostra compagna in un MERCATINO.
Solo se supererete questa prova drammatica, avrete qualche possibilità che la vostra vita a due non si concluda di fronte ad un costoso avvocato.(continua)
S-A-L-D-I
30, 40, 50%. L’idea di pagare qualcosa la metà spesso ci fa dimenticare che l’altra metà comunque la paghiamo, e in ogni caso non ci serve.
Talvolta sono gli uomini a cadere nel tranello dello sconto, che poi serve solo a tenere a bada la coscienza: si pensi agli incentivi auto, che scontano di due o tremila euro vetture con un prezzo di catalogo maggiorato di quattromila.
Ma più spesso sono le signore a farsi tentare dalle cinque lettere magiche: S come Sconto, A come Adesso, L come Libertà, D come donna, I come Impulso. SALDI.
Scarpe, borse, cappotti. Per le più aggressive anche accessori d’arredo, bigiotteria o bricolage.
Nei casi più patologici ci sono ragazze che comprano software di gestione documentale e guinzagli decorati a mano, e il guaio è che non hanno né computer né cani.
Il serpente che tentò Eva non le propose chissà quale beneficio né l’allettò con chissà quale promessa. Semplicemente, le disse che quella mela era in sconto per i saldi di fine stagione.
Donne al volante, seconda parte
Il secondo momento impossibile per il gentil sesso è quello della rotonda. Qui ne ho viste di tutti i colori.
Ragazze che non hanno il coraggio di entrare, sporgono il collo dal volante fino a spiaccicare il naso contro il parabrezza ma sempre timorose che quell’auto là in fondo possa accarezzarci la fiancata.
Altre che dopo essere entrate non trovano il coraggio di uscire e girano in tondo fino a notte fonda. Altre ancora che entrano dando la precedenza, escono dando la precedenza, cambiano corsia dando la precedenza. Con il risultato che a loro viene un giramento di testa e all’automobilista dietro un orchite.
Perché? Non credo sia colpa dello smalto che si asciuga in ritardo o del bracciale che si incaglia nella freccia. Quelli sono luoghi comuni, e poi non spiegano come mai ci sia questa incompatibilità solo con i parcheggi e le rotonde. E nemmeno credo sia questione di timidezza, ci sono ragazze che che fanno i duecento in autostrada e poi tornano a casa con gli occhi rossi perché hanno pianto a lungo prima chiedere ad un barista di aiutarle a parcheggiare. Io credo si tratti di un problema biologico. Per i parcheggi, l’istinto materno femminile le porta ad affezionarsi a tal punto al mezzo che lasciarlo lì solo soletto nel parcheggio proprio le scombussola, sai mai che passa qualcuno e ci fa una scortesia.
Per le rotonde, invece, la spiegazione è tecnica. Come spiega la fisica, su un corpo in moto circolare agisce una forza reale, quella centripeta, che permette al corpo di muoversi e lo attira verso il centro della circonferenza . Tale forza è bilanciata da un’altra, apparente e diretta verso l’esterno, che impedisce all’autista di essere sbalzato fuori dall’auto, la forza centrifuga. Sostanzialmente è la forza che ci tiene fermi sul sedile.
Quindi c’è qualcosa che costringe le donne a stare ferme contro la loro stessa volontà, impedisce loro di uscire e per giunta si tratta di una forza fittizia!
Ovvio che le nostre amiche non sopportano questo stress e danno i numeri.
Donne al volante, prima parte
La mia esperienza di automobilista mi porta a dire che in genere le donne guidano meglio degli uomini.
Sono meno prepotenti, meno sicure di sé e quindi meno temerarie, più rispettose del codice della strada. Sicuramente più creative e quindi imprevedibili: mentre di un cafone in gippone lo capisci subito che ti affiancherà mettendosi in preferenziale per tagliarti la strada in fondo al rettilineo, la cafona in gippone ti stupisce, perché magari si inventa un allungo in frenata o un sorpasso da destra che ti lascia senza parole ma quasi sempre incolume.
Ci sono solo due momenti della vita di automobilista incompatibili con l’essenza femminile. Il primo è il parcheggio. Per le donne l’unico parcheggio buono è quello a pettine, sul lato del senso di marcia, possibilmente tra due auto molto distanti e senza strisce per terra che denunciano noiosamente l’imprecisione nella svolta. Tutti gli altri parcheggi sono una rottura di scatole. Quello perpendicolare al senso di marcia richiede un movimento a 90° della vettura che anche alla signorina più abile riesce due volte l’anno. Quello dei centri commerciali (di solito anche lui trasversale) crea gli stessi disagi con l’aggravante che l’ansia da astinenza da shopping innervosisce ancora di più le automobiliste che il più delle volte abbandonano l’auto in fondo all’ultimo padiglione del parcheggio sotterraneo, quello con il muschio e le pozzanghere per le perdite dal tetto, perché almeno lì non ci sono quei noiosi pensionati che ti guardano e scuotono il capo.
Quello in retromarcia poi non ne parliamo: quattro botte alla macchina dietro, una strisciata a quella davanti, e quando scendi ti accorgi che il marciapiedi ti saluta sorridente e ti domanda ingenuo perché non ti avvicini di almeno mezzo metro.
Ho visto auto parcheggiate in seconda fila senza che ce ne fosse una prima: auto parcheggiate quasi sempre da signore.
Le collegomani
Sorriso malizioso, mano che passa allusiva sulle labbra e poi sistema una ciocca di capelli, gambe accavallate e risata pronta a scattare per qualunque evenienza.
È arrivato in ufficio il collega maschio e potente, e la collegomane gioca tutte le sue carte. Il tono di voce si alza di due ottave, improvvisamente discorsi maschilisti osceni del tipo ti ho sognato stanotte e non ti dico cosa facevamo diventano umorismo intelligente e raffinato, e anche violazioni formali della riservatezza quali mani sulle spalle o buffetti sulle guance si trasformano in simpatici gesti di apprezzamento. La collegomane ama questi siparietti e non disdegna un pubblico che possa apprezzarli.
Sguardo fisso sul monitor, leggera sbuffatina, scarpe slacciate e vaffanciullo in pista di lancio.
È arrivato in ufficio il collega brutto e soprattutto privo di potere, la collegomane finge di non vederlo e solo dopo un paio di tentativi risponde con un cenno del capo e un sono molto impegnata prima di passare la richiesta a qualcun altro. Il tono di voce è basso e annoiato e improvvisamente anche chiedere dov’è l’ufficio commerciale diventa un insulto razzista non sono mica un vigile chi ti credi di essere, e avvicinarsi a meno di un metro per attirare l’attenzione e ricevere una risposta è praticamente una molestia da denuncia.