Siamo uomini o utenza?

© Moreno Soppelsa/Photomicrostock

Venerdì 12 dicembre: c’è lo sciopero nazionale e un gran traffico a Bologna, io ho appena donato il sangue e prendo l’autobus per tornare a casa. Osservo una scena surreale.
L’autista – che non è in sciopero, perché loro si fermeranno alle 16 – non parte perché aspetta il cambio. Da 45 minuti. Chiama l’ATC ma non gli risponde nessuno.
La gente comincia a spazientirsi. Si innervosisce
Si innervosisce il vecchio balilla che quando c’era lui altro sì che le cose funzionavano, e smadonna due o tre volte contro l’autista. Si innervosisce la signora con il sacchetto della boutique chic, si innervosisce la ragazzina che ha fatto filone (ma qui si dice fughino) e vuole tornare a casa.
Si innervosisce anche la signora progressista che afferma che non è che sia la prima manifestazione che si fa a Bologna, e che non è che il giorno prima non si sapesse. Ci si poteva organizzare. L’autista le dà ragione e le spiega: lo vada a raccontare ai miei dirigenti dell’ATC.
A quel punto il colpo di teatro: un’altra autista, più anziana, è con un gruppo di colleghi sul marciapiedi e ha osservato la scena. Comincia a contestare quello che dice la signora. Poi si avvicina al collega e con fare aziendalista mormora: ti ricordo che non si deve discutere con l’utenza.
Dice proprio così, con l’utenza, poi se ne va con l’aria di chi sta per preparare un rapporto contro quell’autista sovversivo.
Io in cuor mio spero non lo faccia. Ma non voglio discutere con lei: in fondo sono utenza anch’io