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Delusione Coliandro (seconda parte)

Siamo onesti, quindici morti ammazzati (se non ho perso il conto) in una puntata che si snoda in pochi giorni fanno scivolare il testo nel ridicolo nvolontario. Neanche a Joahnnensburg o a Rio de Jainero ci sono certi episodi. Ad un certo punto si cita la Uno Bianca quasi che agli autori l’esagerazione sia parsa evidente, ma si tratta di una pezza che non copre la falla. Poi perché si ripete continuamente che Bologna è una citta di m…a, e anche se non sono bolognese alla quinta ripetizione non ne posso proprio più. Non mi piacciono le fiction sponsorizzate dalle regioni come cartoline promozionali per il turismo, ma qui si esagera nel senso opposto. E in generale non ripeterei ossessivamente di nessuna città che è una città di m…a con la voce fuori campo: al limite lo racconti con le immagini, se sei bravo, e lo spettatore coglie.
[Attenzione: spoiler]. Ma è la storia che è veramente imbarazzante nella sua debolezza: c’è una rapina (con la solita carneficina) uno dei rapinatori viene curato da un farmacista corrotto. Il tutto senza nemmeno curarsi di abbassare una serranda. Un ragazzo vede la scena, e da lì via ammazzare tutti quelli a cui lo racconta. Tutti tranne il farmacista, che infatti parla. Vabbè che si tratta di delinquenti di second’ordine, ma qui siamo veramente impaludati nelridicolo. Anche se il punto più basso lo si raggiunge quando una poliziotta capisce che alcuni sacchi da box contengono cocaina perché c’hanno stampato sopra "Colombia"…
Dopo una delusione così grande non so se vedrò la seconda puntata di questa serie e con quale stato d’animo. Di certo spero che finalmente si impari la lezione dei telefilm americani dello sviluppo orizzontale: va bene le storie autoconclusive, ma i personaggi devono evolvere, crescere, maturare. Il cliché di Coliandro eroe maledestro che si fa tutte le volte una bella maledetta e non vede mai il suo lavoro premiato è logoro. Fate crescere Gargiulo, trovate un pubblico magistero diverso ogni tanto (se poi sapesse anche recitare…), evitate di schiacciare i personaggi in macchietta.
E ridateci la Balboni, che mandarla via così è stato veramente meschino…

Ma gli UFO non rottamano i vecchi dischi volanti?

Tutte le volte che vedo pubblicate sui giornali o mandate in onda in televisione le immagini degli Ufo penso: ma questi qui non si evolvono?
Avevano i loro dischetti volanti un secolo fa, quando noi giravamo in carrozza o al limite su cassettoni a due tempi. Noi adesso andiamo a gpl o metano con macchine dotate di ogni confort, abbiamo autoradio e aria condizionata, e questi qua ancora con i loro dischetti demodé?
Per carità non sono scettico in linea di massima rispetto alla presenza di vita aliena ma occorre che l’immaginario si aggiorni altrimenti continueremo ad avvistare sempre dischi volanti dei primi anni cinquanta

Il parcheggio delle fiction

È risaputo come nel cinema non ci siano tempi morti (tranne che in certi film francesi d’autore, ma questa è un’altra storia). Se un protagonista deve spostarsi da casa all’ufficio, lo vediamo uscire di casa, al limite prendere l’auto, poi nella scena dopo è con i colleghi.
Non ci interessa il tragitto e il parcheggio, anche perché altrimenti il film durerebbe una settimana. Li diamo per scontati. Anche in questo caso ci sono delle eccezioni: si pensi ai parcheggi esilaranti di Frank Drebin nella Pallottola Spuntata. Ma insomma, in generale i parcheggi non ci interessano.
Nelle fiction la questione è diversa. Lì i parcheggi diventano essenziali, per due motivi: alla produzione interessa spesso mettere in mostra le auto degli sponsor, e quindi una bella inquadratura della berlina del bello della situazione ci vuole. Ancora più frequentemente, poi, alla produzione interessa mettere in luce le bellezze architettoniche della regione che, attraverso qualche film commission, ha investito parte dei soldi dei contribuenti in quello sceneggiato.
Come coniugare allora l’esigenza di tagliare i tempi morti con quella della inquadratura per l’assessore al turismo? Semplice: il protagonista parcheggia sempre in posti bellissimi, dove non c’è mai nessuno – sennò dovrebbe fare manovra – e dove non esiste il divieto di sosta. Ecco allora Montalbano che accosta l’auto alla cattedrale di Noto, ecco l’autista di Mastrangelo che lascia tranquillamente la macchina in Piazza del Duomo a Lecce. Nella vita reale te la portano via dopo qualche minuto, nelle fiction si può. Si può anche nel cinema spazzatura: in "Sognando la California" dei Vanzina uno degli interpreti sgommava tranquillamente in Piazza Maggiore a Bologna, dove ti abbattono con i mitra anche se vai in monopattino.
Le fiction sono l’evoluzione della pubblicità, ce ne sono di belle e di brutte. Ma in ogni caso non c’entrano mai con la vita reale, dove parcheggiare è il tempo più morto di tutti.