Archivi tag: appennino

Io e il mio scaldacollo

Il nostro amore è nato in maniera tardiva, e come tutti gli amori maturi è risultato essere più profondo e completo. Una mattina lo trovo sul divano, solo, trascurato: mia moglie mi spiega che è un regalo per mia figlia, che l’ha rifiutato. Lo scruto, ne prendo le misure, mi ci butto a capoffito, e da allora siamo inseparabili, io e il mio scaldacollo.

L’unico rimpianto è quello di averlo scoperto ben oltre i quarant’anni. Perché lo scaldacollo prima di tutto scalda sul serio, e questo, per un pugliese che lavora sull’Appennino, è un dettaglio fondamentale. Poi perché non ti scappa via nel vento, è avvinghiato a te e non ti tradisce come certe sciarpette infingarde. Sì perché io con le sciarpe ho sempre avuto un rapporto conflittuale: troppo corte, tanto da non riuscire nemmeno ad annodarle per bene, troppo lunghe, con il risultato di penzolare svogliatamente fino ad andarsi a impigliare nella cerniera del giaccone. E il nodo, poi? Quello doppio che fa tanto modello Armani ma produce un cappio che nemmeno negli spaghetti western di peggior livello, quello singolo che ti finisce dietro la schiena dando di te l’immagine di un labrador che è scappato al guinzaglio. Certo, la sciarpa puoi sempre portarla sulle spalle senza legarla, ma stiamo parlando di Appennino, e la bronchite è dietro l’angolo che ti aspetta sorniona.

Con lo scaldacollo tutto ciò appartiene ad un passato lontano che non tornerà. Se ho voglia di starmene da solo, posso addirittura tirarlo su con uno stile rasta fricchettone, e nessuna vecchietta in treno oserà attaccare bottone.
L’unico problema è che arriverà la primavera, e io e il mio scaldacollo dovremo separarci, fino all’autunno prossimo. Almeno che non ne trovi una versione in cotone da indossare in spiaggia.

La pupù degli angeli

Quand’ero piccolo mi piaceva la neve. Perché ero piccolo. E perché non c’è la neve, in Puglia.
Magari a Martina Franca, lassù, sulle vette ben oltre i 300 metri, un po’ di neve c’era. Ma dalle mie parti era giusto un’infarinatura buona per fare festa a scuola e giocare a palline di neve prima che si sciogliesse.
Quella dell’Appennino invece è neve.
È neve eccome perché ti entra nelle ossa e te le attraversa come raggi x, solo che anziché stampare una lastra stampa te su una lastra di ghiaccio.
È neve perché mentre ci affondi senti una voce dentro che si avvicina gridando “reumatismiiiiii”.
È neve perchè altro che infarinatura, quando supera un metro la frittata è fatta. Anzi, la ciambella, e inutile fare riferimenti al buco tanto si è capito di chi è la parte offesa.
È neve perché il tuo corpo nemmeno trema, tale è lo shock termico a cui si è sottoposto, e decide che è meglio congelare in fretta piuttosto che battersi e ghiacchiarsi tra inutili agonie.
È neve perché le tue gomme termiche scivolano come quelle normali, ma con più eleganza.
È neve e non è vero che sotto c’è il pane, sotto al massimo c’è la merda congelata del cane del tuo vicino che tornerà a fiorire fra qualche giorno come se appena sfornata.
Quando mia figlia ha visto la prima volta la neve, le ho detto che quella è la pupù degli angeli.
Ma mentre noi bravi genitori provvediamo subito alla rimozione, nostro Signore, con tutti gli impegni che ha, talvolta ci mette dei giorni prima di ripulire le strade.