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Finalmente

Finalmente riesco a guardare la tua stanza da un’altra luce. Durerà poco, lo so, entro stasera al massimo questo spettacolo alla rovescia che si dipana sotto di me sarà dominato da una collega, il mio tempo è venuto ormai. Certo che sei proprio disordinato, hai il letto perennemente sfatto e la scrivania sommersa di giornali. Per quanto tempo i miei occhi luminosi hanno dato brio al tuo caos, alle tua vita notturna, ai tuoi orari impossibili! Avevi la capacità di elettrizzarmi e farmi sentire viva, attiva, anche se mi hai lasciato inutilmente sola per tanto di quel tempo.

E poi non ti lamentare se ho le mie incandescenze, vorrei vedere te appeso al mio posto. Comunque basta, tutti questi discorsi, queste chiacchiere, ormai è finita. Ho perso la mia lucentezza ormai. Pensavo di essere semplicemente una svitata, ora so che non è così. Mi hai stretta, sfruttata, alimentata, dimenticata. Alla fine mi hai fulminata con il tuo comportamento insensibile.
Spero solo che la prossima lampadina abbia maggior fortuna.

La becapponite

Non so se anche voi come me siete sempre più vittime della becapponite.
 Si tratta di una malattia che spinge l’individuo a sentire come sempre più urgente la necessità di creare una copia di riserva dei propri dati (un back-up, appunto). O
ppure di conservare dati inutili. Io per esempio conservo sei anni di posta aziendale: non solo l’ordine di una ristampa di una brochure del 2001, per dire, ma anche l’email del collega che nel 2002 mi invitava a pranzare insieme. Ho tutto conservato. Non mi serve a niente, e presto, quando non ci saranno più lettori dvd tradizionali, o quando Outlook avrà inventato un sistema di posta non compatibile con i precedenti, tutto sarà inutile. Per non parlare delle mia tesi di laurea, che ho salvato in decine di copie sui computer di praticamente tutti i miei conoscenti, oltre ad averla distribuita online.
Come si cura la becapponite? Non lo so,  aiutatemi a scoprirlo.
Come si prende la becapponite? Questo lo so. Perdendo qualcosa di veramente utile. A me capitò a quindici anni, quando resettarono il computer di famiglia per un virus, e io persi una cinquantina di pagine di un favoloso romanzo che stavo scrivendo. Era propabilmente una porcheria, ma se l’avessi cancellato io, adesso non andrei in giro con pendrive, floppy e cd riscrivibili…