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Sabato pomeriggio – terza parte

Il giovane papà lava con delicatezza la piccola che mostra di gradire. Man mano che il blub giallo lascia le parti intime della bambina aderisce perfettamente alle mani del giovane papà dove ne rimarrano traccia per giorni e giorni. Nuovo pannolino. Ok. Tiriamo su la bimba, si lascia sollevare con estrema docilità, ora che ha il culo pulito la sua visione del mondo è più serena. Infilare il pannolino. No così ovviamente no. E neanche così, il giovane papà ricorda di aver notato che la parte colorata andava avanti.
Facile, più facile del previsto. Ce l’ho fatta.
Povero illuso scemo ecc. ecc.
Il giovane papà non sa che i body per bambini sono disegnati da stilisti frustrati che non potendo dedicarsi al pret a porter autunno inverno confezionano tessuti che niente hanno a che fare con la fisiologia umana. Uno si aspetterebbe due buchi per le gambe, due per le mani e uno per la testa. E invece sono quattro. Cosa sacrificare? Magari le attacchiamo il braccino al petto, non se ne accorge neanche. E poi, dove diavolo sono i bottoni? Il body usato dalla mamma ha una comoda apertura a strappo, quello che tra le mani il giovane papà solo una serie di inutile orletti.
Povero scemo, prendi una decisione e fallo in fretta. Decidi, il body o la bambina.
Il giovane papà lancia il body ancora più lontano e corre a prenderne un altro. Corre all’indietro per non perdere di vista il fasciatoio e ciò complica le operazioni e causa un fastidioso mal di testa post zuccata, ma comunque ce la fa. Il nuovo body non è stato concepito per marziani, la bimba collabora anche perché comincia a temere che quel deficiente le procuri un raffreddore. Tutina: si infilerà da sopra o da sotto?
Da sopra, direi. Ma la testa non ci passa. Non possiamo rischiare di far agitare la piccola ulteriormente, questa ci cresce naziskin. Vada per l’entrata dal basso, allora, meno elegante ma più efficace.
Fatta.
Ritorna la mamma.
Com’è andata data, chiede.
Tutto bene, dice il giovane papà celando a fatica i segni che la battaglia ha lasciato nel salotto e sul suo viso.
La bimba piange: ha fame.
E il ciclo riparte.

Caramel

Abituati come siamo a immaginare le commedie ambientate a Roma, Londra o New York, potrebbe risultare a qualcuno sorprendente l’idea di vederne una girata a Beirut.
Una Beirut che per una volta non è macerie, morte e miseria, ma sfondo a suo modo romantico delle vicende che girano intorno ad un salone di bellezza. C’è la bella mora che vive un amore impossibile con un uomo sposato (scommettiamo che si ravvederà e scoprirà il vero amore?), c’è l’anziana donna che sacrifica tutta la sua vita alla cura di una madre inferma. E c’è la clinica che ridona la verginità a chi l’ha persa sulla strada del matrimonio.
Ma ci sono anche tematiche, come dire, più occidentali, come la ricerca del facile successo televisivo (tra i momenti più divertenti del film ci sono i protagonisti di una donna che non vuole accettare lo scorrere del tempo) o la negazione forzata della propria omosessualità. Il tutto intriso, va detto, di sapiente cinematografia francese che alterna con un montaggio accurato le varie storie e riesce a tenere viva l’attenzione con una fotografia colorata e una sapiente gestione della sceneggiatura, con la battuta simpatica al momento giusto.

Divertente e consigliabile. Onde evitare equivoci: il caramello del titolo non è la solita leccornia post Chocolat per conquistare gli uomini con la gola, ma un impasto che le donne orientali usano al posto della ceretta.