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Riapre il museo di Taranto

Voglio cominciare il nuovo anno con un post di speranza, rivolto alla mia terra d’origine. ? stato infatti riaperto dopo un periodo incredibilmente lungo (anni e anni, 7, 8, non ricordo più, comunque troppi) il Museo Nazionale Archeologico, che adesso, seguendo la moda degli acronimi, si chiama Marta (Museo ARcheologico di TAranto).
A dire la verità ne è stata aperta solo una sezione, una piccola parte corrispondente ad un quarto o forse meno dei tesori della collezione tarantina. Chiudere il museo a Taranto è stato spegnere la fiaccola della cultura dal territorio jonico. Un delitto, che non per niente ha più o meno corrisposto agli anni bui del collasso economico. Non so perché ci hanno messo tanto, lo immagino, ma non è quuesto il tema. Adesso spero solo che facciano in fretta a riaprire il resto di quello che secondo me – non sono uno specialista, ma di musei ne ho visitati parecchi – è uno dei musei sull’antichità più importanti d’Italia.
Se passate in Puglia, va bene la visita folcloristica ai trulli, va bene la pizzica e i tamburelli salentini, va bene il mare, il sole e il barocco leccese, ma un giro da Marta dovete proprio farlo.
Forse vi stupirà scoprire di quale accecante splendore si rivestì questa terra che ora Report menziona solo per gli scandali.

Il pisciatore di mare

Gli economisti inglesi parlano di free rider, “passeggero non pagante”: colui che sale sull’autobus senza pagare il biglietto, e, in questo modo, arreca un danno alla comunità traendo un vantaggio per sè.
I free rider sono ovunque, questo va da sè, e da sempre approfittano come parassiti del bene comune che altri cercano di preservare.
Un economista che studiasse il meridione d’Italia probabilmente farebbe un passo avanti, analizzando l’evoluzione del free rider: il pisciatore di mare. Il pisciatore di mare – il nome è eloquente e spiega bene quello che fa – è la versione ancora più negativa, perché non solo usufruisce di un bene pubblico a scrocco, ma addirittura lo danneggia.
I pisciatori di mare sono ovunque: e non mi riferisco tanto alle correnti d’acqua calda di certi litorali, che in fondo il mare può anche riciclare, ma a chi costruisce sulla spiaggia, a chi brucia le pinete per poi farci il residence ed invitarci il sindaco per la convention, a chi piazza la spazzatura, anche tossica, nei dirupi e nelle cave.
Il free rider, male che vada, causerà un aumento del prezzo del biglietto per gli onesti, tutto qui. Al contrario, se nessuno lo ferma, il pisciatore ci sommergerà del frutto del suo lavoro…

Parole e musica

Capita spesso di sentire una bella canzone con dei testi imbarazzanti (soprattutto le cover: indimenticabile “Ridi”, la versione italiana di “Wind of change” degli Scorpions cantata da Fiorello). Oppure delle autentiche poesie sostenute appena da un accompagnamento musicale non sempre all’altezza (capitava a volte con Giovanni Lindo Ferretti).
In questi giorni, mi vergono un po’ a dirlo, ho canticchiato una canzone di Tiziano Ferro, Dimentica. Porca miseria, l’arrangiamento mi piace, con quelle tastiere un po’ vintage, quella batteria elettronica anni 70, persino i coretti ci stanno bene. MA I TESTI? I TESTI? Chi gliel’ha scritti, i testi, Cucciolo dopo una colossale sbronza?

“Tutto ciò che so, te lo dirò,
e tutto ciò che non sai dire spiega il mare.”

Cioè, il mare spiegherebbe quello che tu non sai dire? Tu non ci riesci ma il mare sì?

“La bugia che rompe ogni silenzio
è la bugia che dico solo se non penso”

Dunque: se pensi, non menti; se menti vuol dire che non hai pensato. Penso.

“Stop! Dimentica questo silenzio,
non vale neanche una parola nè una sola e quindi,

COSA VUOL DIRE IN ITALIANO NON VALE UNA PAROLA NE’ UNA SOLA? Sòla alla romanesca, nel senso di fregatura?

Una storia grande come il mondo

Ok, è grande.

una storia lunga tutto il giorno

ma se era grande come fa a finire in un giorno?

una , una storia
una bugia di una parola sola

Uhm… una bugia di una parola sola… sarà un si o un no?

è la tua più affascinante storia

Ma se la bugia era di una parola sola ed è la storia più affascinante, vuol dire che questa storia è composta solo da una parola?

Ma basta! Parole a casaccio messe lì solo per assonanza! Non c’è un senso, uffa!
Non so che dire. Se il testo l’ha scritto lui, che si faccia aiutare da un vero autore. Se l’ha scritto un altro, spero che l’abbia fatto perché ha vinto una scommessa, non adesso perché dopo si può penso come spiega il mare.

Il mare di Taranto

Il mare a Taranto si divide su costiere, quella salentina e quella jonica, che rappresentano due modi diversi di concepire la vita. La litoranea salentina, quella orientale che va verso Gallipoli, è fatta di gioiellini, piccole insenature con sabbia e scogli, dove l’acqua è bellissima e l’orizzonte limpido. Però si parcheggia dove capita, si sta stesi facendo attenzione a non finire con il piede sul naso del vicino (troppo vicino) di ombrellone, si finisce due volte su tre imbottigliati nel traffico. La litoranea Jonica che va verso Metaponto è fatta di chilometri quadrati di spiaggia: il fondale sabbioso dà però al mare un colore verdastro che ricorda Rimini, e in lontananza le sagome minacciose della città industriale rovinano la visuale. Però si sta larghi, si trova il parcheggio custodito a prezzi umani, si arriva percorrendo la statale 106 in pochi minuti senza alcun problema di traffico. La litoranea Jonica è da DS, è fatta di servizi, comodità, rispetto, monotonia: quella salentina è da Margherita, si spintona, sgomita, si litiga per un posticino al sole e un tuffo dallo scoglio in nome dell’acqua limpida.
Le spiaggie di destra sono quelle a pagamento, ordinate e prepotenti, mentre mi sto chiedendo qual’è la spiaggia da rifondazione. Probabilmente è un’isola meravigliosa immersa nel blu con una vegetazione rigogliosa. I rifondaroli stanno ancora discutendo a riva per capire come ci si arriva…

Visi pallidi e musi neri

La tribù dei visi pallidi si aggira intorno al ferragosto nervosa, irritabile, con l’occhio fisso sull’orologio e una tendenza inconsueta a rimandare tutti gli impegni gravosi. Di tanto in tanto i suoi membri vengono sorpresi a fissare poster e cartoline con un sorriso ebete sul viso. Stanno bene con i loro simili con i quali conversano per ore dei vantaggi dell’aereo sul treno e degli hobby da riscoprire e valutare. Viceversa entrano immediatamente in conflitto con i loro acerrimi nemici, la tribù dei musi neri. Questi ultimi hanno un’aria riposata, capelli luminosi e pelle abbronzata, ma a contraddistinguerli è soprattutto il velo di malinconia che traspare da ogni loro azione. I musi neri sospirano continuamente, sotto il neon asettico dell’ufficio come di fronte alle polpette rosa della mensa, blaterano continuamente di mollare tutto e partire per aprire un pub in Costa Rica, la mattina inclinano la testa e fissano il monitor senza accenderlo. Anche loro stanno bene con i loro simili, con i quali discutono della scarsa lungimiranza di chi va in ferie tardi e prende sono cattivo tempo e del fatto che a luglio il mare, la montagna, i laghi e tutto l’universo (tranne gli uffici) è senz’altro più bello. Ovviamente si può passare da una tribù all’altra, ma solo in momenti specifici: questo fine settimana si aprirà l’ultimo portale spazio temporale che permetterà ai visi pallidi rimasti in giro di passare dalla parte dei musi neri, mentre questi ultimi, con il tempo, torneranno a essere visi pallidi. Per riaffrontarsi a settembre, quando i (nuovi) musi neri non avranno voglia di lavorare, e i visi pallidi invece smanieranno e si lamenteranno di tanta inefficienza. Ma questa è un’altra storia: adesso, se permettete, mi avvicino al portale…

L’interesse più alto è quello di tutti

Si è tenuta oggi a Bologna la quarta giornata nazionale per la finanza etica e solidale, in cui si è discusso delle possibilità e delle prospettive di strumenti come la microfinanza,
le assicurazioni etiche, la lotta alla criminalità. Al centro del modello microcredito c’è l’essere, e non l’avere. Non sono le garanzie patrimoniali la chiave per ricevere finanziamenti, ma le capacità personali, bontà dei progetti, reti (il microcredito non è fatto pr gli individualisti ma per le strutture solidali) e la disponibilità a farsi
accompagnare e formare durante il progetto. Bello, davvero. Così si combatte l’usura, la povertà,l’emarginazione (l’ho ha ricordato PierLuigi Vigna): spesso il microcredito è rivolto a donne, ex-detenuti, immigrati, che con pochi soldi trovano la forza per ricominciare. Parole d’ordine: trasparenza e partecipazione. E se è vero che tante gocce fanno il mare, non si può più parlare di fenomeno di nicchia, come sostenuto da Corrado
Passera, AD di Banca Intesa, visto che la microfinanza muove oggi nel mondo circa 12
miliardi di dollari.
Ma non illudiamoci: ci vuole coraggio. Lo ha ricordato l’esponente di Libera,
l’associazione di Don Luigi Ciotti che rende produttive le ricchezze sottratte alle mafie: ci vuole coraggio, a parlare di finanza etica, oggi, qui, nell’Italia dei bond argentini e dei crack alimentari, nell’Italia dei condoni e dei tagli alle tasse solo per i ricchi. Ci
vuole un bel coraggio…