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Ciao papà

Papà questa mattina ci ha lasciato.

Per ricordarlo ho preso tre foto.

La prima è quella che lui stesso aveva scelto per il suo profilo di WhatsApp. Una foto di anni fa, accanto come sempre alla mamma.

Fu scattata durante una mia presentazione. Papà è sempre stato in prima fila a sostenermi. Cercherò sempre il suo sguardo e il suo sorriso tra le prime sedie, anche se non sarà lo stesso.

La seconda è di questa estate, c’è il suo inconfondibile sorriso, aperto, affettuoso, sincero. Quello con cui spero stia bussando alle porte del Paradiso.

Antonio Caputo

La terza è uno dei suoi quadri che amo di più, quello di Statte con la neve, forse perché per me è un ricordo di infanzia. Da più di trent’anni infatti non vedo Statte con la neve.

Papà amava Statte più di quanto io non abbia mai compreso. Era nei suoi dipinti, nei suoi affetti, nelle sue storie.

Aveva provato, nemmeno ventenne, a cercare fortuna nella grande città, all’Alfa Romeo. Ma come un albero non può germogliare lontano dalle sue radici, lui aveva sempre bisogno di tornare a Statte. Provò anche a vivere a Modugno (avrei potuto nascere barese, brrrr….) ma niente, lui era di Statte e qui aveva bisogno di tornare. Le sue radici gli permettevano al massimo di stare via qualche settimana, per venirci ad trovare a Bologna, ma poi la nostalgia di casa pervadeva tutto.

Papà sapeva di non potere vivere lontano da Statte, ma ciò nonostante ha permesso a noi suoi figli di cercare un percorso familiare e professionale altrove.

Non riesco a immaginare amore più grande di chi lascia andare chi ama sapendo di non poterlo seguire.

Grazie papà per tutto quello che hai fatto per me.

Buon viaggio, hai sempre avuto fretta di partire per non arrivare tardi, stavolta avresti anche potuto prenderti un po’ di tempo ma ormai è andata. Ormai sei andato.

PS Nel 1993 presi la tua auto per andare al cinema e parcheggiando ruppi un fanale. Con la complicità della mamma lo feci sostituire il giorno dopo senza dirtelo. L’hai sempre saputo, lo so, ma hai sempre fatto finta di niente per non mettermi in imbarazzo.

Grazie.

Spero di essere un papà alla tua altezza, anche se sarà difficile.

Mi mancherai, mancherai a tutti, mancherai a Statte almeno quanto lei mancava a te.

Ciao papà.

Non chiamateli gialli

Da sempre la letteratura poliziesca e la cronaca nera rappresentano due vasi comunicanti: le vicende criminali alimentano la fantasia degli scrittori e a loro volta c’è chi – nel male ma anche nel bene – nella vita si ispira a personaggi letterari.

Personalmente trovo molti spunti nei fatti di cronaca realmente avvenuti, utili a tracciare le vicende dei miei romanzi, perché mi sembra che così le storie siano più realistiche. Può darsi che in questo incida anche la mia formazione giornalistica.

Non ci trovo niente di male in tutto ciò: è il contrario che mi mette in imbarazzo. L’utilizzo cioè di tecniche letterarie per raccontare la cronaca nera, a cominciare dall’abuso della parola “giallo”.

Sappiamo bene che l’origine del termine per indicare la narrativa poliziesca nasce dal colore della famosa collana Mondadori. Però il giallo è fantasia, è divertimento, intrattenimento.

Anche nelle versioni più crudeli, spietate, nel noir più angosciante, alla base c’è l’immaginazione dello scrittore. Che può fare riflettere, appassionare, denunciare, angosciare forse, ma un pubblico di lettori che ha scelto di farlo. E che in ogni momento può chiudere il libro, o spegnere la tivù. Nella vita è diverso. Non ci sono gialli, nella vita, ma tragedie. C’è gente che soffre, non fantasie. Gente che non ha scelto di essere lì, di vedere morire un proprio caro, un parente, un amico. Sono persone, non personaggi. Invece, dai plastici agghiaccianti di certi salotti televisivi al proliferare di documentari che adesso si chiamano “true crime”, la passione morbosa verso queste storie cresce e disorienta chi, come me, non riesce a non essere empatico nei confronti delle vittime, ma anche dei carnefici, che spesso sono vittime a loro volta.

Per cui, cari colleghi giornalisti, documentaristi, cineasti, continuate a raccontare la cronaca perché è un presidio della libertà e nessuno ha nostalgia negli anni in cui era sparita dai quotidiani perché andava tutto bene e i treni erano puntuali. Però con il tatto e la consapevolezza di incidere nella carne viva delle persone.
In caso contrario, potete sempre scrivere romanzi.

PS. Chiudo con una civetta di alcuni anni fa per sdrammatizzare un po’.
Ritrovato dito mozzato di un cinese.
È giallo.