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Una vita col giallo lampeggiante

Verde, giallo, rosso. Verde, giallo, rosso. è così che è andata per tanti anni, con tempi diversi ovviamente, adattati alla complessità dell’incrocio. Tu pedone arrivavi, guardavi a destra e sinistra, vincevi la tentazione di passare comunque, aspettavi il verde e via.

Qualcosa però è cambiato. Negli ultimi tempi infatti ho notato una variazione nei tempi del semaforo, per cui il verde è praticamente scomparso, sostituito da un lunghissimo giallo. Ci vogliono sempre tesi, i bastardi. Sempre vigili, pronti allo scatto. Porca miseria scatta il verde e tu non hai fatto nemmeno due passi che è già giallo, e devi affrettarti per raggiungere l’altra sponda prima che un diciottenne che ha pippato ti travolga con la fuoriserie di papà.

La salvezza promessa al di là dell’asfalto non è raggiungibile con una semplice camminata, devi fare in fretta, liberare l’incrocio, toglierti di mezzo. Non ho cronometrato, ma non credo che i tempi per i pedoni siano cambiati: semplicemente il giallo si è mangiato il verde.

Che se volete è un po’ una metafora della cittadinanza contemporanea. Abbiamo votato, esercitato il nostro diritto, adesso basta campagna elettorale, no? Macché, niente verde, si riparte per le amministrative, e poi le europee, e le regionali. Giallo continuo. Ho finito gli studi, ho raggiunto il mio verde? Macché è giallo, corri che devi cercare lavoro, e poi cambiarlo, e poi la pensione, sbrigati perché scatta il rosso.

Siamo ossessionati da gialli lampeggianti che vogliono che corriamo,  ci spostiamo in fretta, ci leviamo di torno. Io ho deciso, nel mio piccolo, che me ne infischierò, e proseguirò placido e tranquillo sulle strisce, sperando che il cocainomane mi manchi per stavolta, che tanto il rosso prima o poi arriva per tutti.

ll congegno antivecchiette

Non so se vi è mai capitato di accedere ad uno di quegli edifici dotati di controllo biometrico delle entrate. Quasi sempre si tratta di banche che, prima di farvi entrare, vi infilano in una cabina trasparente e vi chiedono cortesemente l’impronta digitale. Così, se svuotate il caveau e ammazzate le cassiere, almeno sanno subito che impronta avete. O magari hanno un sistema lombrosiano che rifiuta i clienti con le impronte riconducibili al carattere criminale.
Quale che sia l’obiettivo, questi strumenti sono fenomenali per bloccare una delle piaghe sociali di Bologna, e cioè il problema delle vecchiette salta fila. Le vecchiette si infilano ovunque, tu sollevi il braccio per indicare al panettiere lo sfilatino che ti interessa e loro pronte guadagnano spazio, si infilano nell’intercapedine e ordinano tre rosette; tu stai per chiedere un etto di prosciutto con il tuo numeretto salvafila in mano e loro, con un numeretto artefatto che conservano da decenni, ti scartano con indifferenza e ordinano 25 grammi di prosciutto non troppo salatino ma di quello buono. Contro gli accessi biometrici, le vecchiette non possono nulla: si entra uno alla volta. Per non parlare del fatto che il dito incartapecorito spesso e volentieri non viene riconosciuto dalla macchina insensibile che lo cataloga come tessuto inorganico.
 Uno alla volta, anche per chi ha lasciato le finestre aperte a casa o ha fretta perché sta per cominciare il TG4. Voglio l’accesso biometrico anche alla posta e dal medico, lo voglio subito!