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Bagnarolasco

Mezza Europa è sconvolta dalle ignobili storie dei preti pedofili. Un reggente regionale del Movimento Cristiano dei Lavoratori è arrestato con l’accuse gravissime di complicità mafiose. E cosa proclama il nostro Bagnarolasco? Che non bisogna votare Emma Bonino perché è favorevole all’aborto. Come dire, il tetto della nostra casa è pericolante, nel muro ci sono crepe larghe dieci centimetri e le fondamenta stanno cedendo, ma è fondamentale che le tende alle finestre siano stirate bene.
PS Per gli amici giornalisti: quando parla il presidente della CEI, non “parla la Chiesa”. Parla un esponente della Chiesa. Ma sono esponenti della Chiesa anche Padre Zanotelli, Kakà, Pupo e il sottoscritto, perché la Chiesa è l’insieme dei cristiani che si riconoscono come figli di un unico Dio. E non esistono figli più importanti di altri, anche se a volte i giornalisti sembrano pensarlo

ll congegno antivecchiette

Non so se vi è mai capitato di accedere ad uno di quegli edifici dotati di controllo biometrico delle entrate. Quasi sempre si tratta di banche che, prima di farvi entrare, vi infilano in una cabina trasparente e vi chiedono cortesemente l’impronta digitale. Così, se svuotate il caveau e ammazzate le cassiere, almeno sanno subito che impronta avete. O magari hanno un sistema lombrosiano che rifiuta i clienti con le impronte riconducibili al carattere criminale.
Quale che sia l’obiettivo, questi strumenti sono fenomenali per bloccare una delle piaghe sociali di Bologna, e cioè il problema delle vecchiette salta fila. Le vecchiette si infilano ovunque, tu sollevi il braccio per indicare al panettiere lo sfilatino che ti interessa e loro pronte guadagnano spazio, si infilano nell’intercapedine e ordinano tre rosette; tu stai per chiedere un etto di prosciutto con il tuo numeretto salvafila in mano e loro, con un numeretto artefatto che conservano da decenni, ti scartano con indifferenza e ordinano 25 grammi di prosciutto non troppo salatino ma di quello buono. Contro gli accessi biometrici, le vecchiette non possono nulla: si entra uno alla volta. Per non parlare del fatto che il dito incartapecorito spesso e volentieri non viene riconosciuto dalla macchina insensibile che lo cataloga come tessuto inorganico.
 Uno alla volta, anche per chi ha lasciato le finestre aperte a casa o ha fretta perché sta per cominciare il TG4. Voglio l’accesso biometrico anche alla posta e dal medico, lo voglio subito!

La casa dalle finestre che ridono

Non mi piacciono i film horror, li trovo piuttosto ripetitivi, con quel continuo via vai di
pugnalate, vocine gracchianti, vecchie infide, scricchiolii e morti ammazzati. Questo però
l’ho guardato con attenzione perché trent’anni dopo è diventato una sorta di film culto,
per le sue atmosfere molto anni settanta, le sue ingenuità narrative, ma anche il gusto per
il bozzetto. Il regista è un signor regista, quel Pupi Avati che poi abbandonerà il genere
ritornandoci di tanto in tanto (sua la sceneggiatura di Dove comincia la notte, del 91). La
storia è piuttosto sgangherata, un restauratore si trova alle prese con un dipinto di
un’artista morto suicida famoso perché dipingeva le agonie, ed è facile immaginare che ci
saranno un bel po’ di morti ammazzati (in alcuni casi i personaggi sono talmente mal
tratteggiati che quasi non ci dispiace che l’assassino ce ne liberi). Non mi soffermo sulla
storia perché non voglio rovinare il gusto di chi non l’ha visto, sappiate che traballa
come un pattino sulle cascate del Niagara, però le immagini di una campagna ferrarese
opprimente e inquietante sono veramente belle. Considerando che è stato girato con un pochi
mezzi (il bello dell’horror è che puoi far scrivere tre note al musicista, ripeterle
ossessivamente durante tutto il film e giustificarle come una scelta stilistica e non come
mancanza di quattrini) è una piccola lezione per chi pensa di speventarci con esorbitanti effetti speciali. I veri mostri siamo noi, con la nostra indifferenza, direbbe Tiziano Sclavi. Pupi Avati l’aveva detto un bel po’ di anni fa, e questo va ascritto a suo merito.