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Quasi quasi mi faccio un frullato

Cambiano i gusti nell’abbigliamento (e meno male, non potrei più andare in giro con quegli enormi scarponi da pallacanestro che a dodici anni mi sembravano forti), cambia il modo di trascorrere il tempo libero (a quindici anni per esempio non dovevo stirare), cambiano le priorità (ho capito che non vincerò mai il Nobel per la letteratura e me ne sono fatto una ragione). Gli anni ci fanno cambiare, ma difficilmente cambiano i gusti a tavola. Mi piacevano le orecchiette con le cime di rapa, mi piacciono ancora. Mi piaceva il panino col salame, mi piace ancora (ma non posso mangiarlo più, maledetto colesterolo). Non impazzivo per la cioccolata e affini, ancora adesso non capisco cosa ci troviate di così eccezionale. Mi piaceva il frullato, mi piace ancora.

C’era qualcosa di magico nell’inserire diversi frutti in un quel recipiente capiente, schiacciare il pulsante e aspettare che le lame fameliche facciano il loro lavoro. Le avanguardie tecnologiche che hanno riempito di schermi, notifiche e stimoli le nostre vite, a pensarci bene, hanno in buona parte trascurato i frullatori, che continuano a frullare esattamente come facevano quarant’anni fa. Per carità ogni tanto qualcuno prova a introdurre qualche modifica, ci inserisco più lame e parlano di omogeneizzatore,  inspessiscono i filtri e parlano di macchina per i succhi di frutta.

Ma in fondo non è cambiato molto: la banana matura è sempre un elemento affidabile, da affiancare però a qualcosa di aspro come i mirtilli o il kiwi, per evitare una bevanda troppo dolce. La mela funziona sempre, da sola è un po’ triste ma abbinata ad altri frutti regala grosse soddisfazioni, frutto gregario che porta altre prime donne alla vittoria. La fragola dà un tocco di colore ma ha bisogno di un frutto di carattere accanto per non scivolare nella banalità.

Esclusi purtroppo gli agrumi, la cui consistenza impedisce loro di amalgamarsi agli altri, ma d’altronde il succo d’arancia fa storia a sé. 

Oggi come quarant’anni fa mi diverto a combinare diversi ingredienti, limitando il più possibile l’uso di integratori che dopizzino il risultato, come il latte, lo zucchero (giammai!) o il succo di frutta, che uso di tanto in tanto solo per convincere le mie figlie a prendere un po’ di frullato ogni tanto. Purtroppo loro sono abituate a prodotti complessi e ingegnerizzati per piacere e non condividono la poesia di un onesto, trasparente frullato.

Che poi, quanto sarebbe più facile l’esistenza di tutti noi, se imparassimo ad amalgamarci come banane, fragole e mele? Certo, direte voi, bisogna passare per le lame per ottenere il risultato. Ma ogni trasformazione richiede un po’ di sacrificio.

E adesso, se permettete, vado a farmi un frullato.

Siamo alla frutta. O a dolce?

pranzo_servitoUno dei campi di battaglia in cui il sudista al nord si confronta (e si scontra) più frequentemente con gli indigeni padani è senz’altro la tavola. Sono tanti i motivi di dibattito, da rifiuto del meridionale di utilizzare olio che non venga dalla tanica dell’amico di papà, alla difficoltà del padano nel capire il concetto di “pasta con le patate”. Non ce la fa, l’uomo della nebbia, proprio non ce la fa. L’abbinamento carboidrato+carboidrato scardina i principi salutistici del nordista, pronto a giustificare un lipide+lipide+lipide in nome della tradizione, ma assolutamente incapace di cogliere la grandezza delle patate come condimento della pasta asciutta.

Ma il tema che oggi voglio affrontare è un altro, e riguarda la conclusione del pranzo. Si chiude con il dolce, come vorrebbe il sudista, o con la frutta, come sostenuto dalle popolazioni del grande freddo? Il nordista, come accade sovente, cerca la risposta tra i suoi libri  – nordisti –  e subito in merito cita il galateo che prevede che si serva prima il dolce. D’altronde Giovanni Della Casa era fiorentino. A parte il fatto che se fosse per il galateo dovremmo pranzare con due forchette, due coltelli, qualche molletta per le verdure e svariati cucchiai: praticamente occorrerebbe prevedere una lavastoviglie a disposizione per ogni commensale. Ma poi, qualcuno di voi sbuccia la mela con forchetta e coltello, come vuole il galateo? O prende le ciliegie con un cucchiaino, facendo attenzione a lasciar scivolare il nocciolo nel cucchiaino stesso prima di posarlo nel piatto? E allora, non tirate fuori il galateo solo per la storia del dolce, suvvia.

Da un punto di vista filologico, molto più notevole è semmai la posizione dell’indimenticabile “Il pranzo è servito”, che, a dire il vero, si concludeva con il dolce. Anche in questo caso, tuttavia, il sudista ha un’arma con cui rispondere: qualcuno di voi ha mai visto, ad un matrimonio, una macedonia nuziale? Persino il più dozzinale dei matrimoni nordisti, di quelli modelli tavola calda con antipasto frugale di mortadella e parmigiano, un solo primo (al limite un bis, ma nello stesso piatto: che scempio), un solo secondo (e non è mai il pesce), contorno e acqua naturale (succede anche questo, ve lo assicuro, succede), dicevo, nemmeno uno di quei matrimoni nordisti con pranzetto di durata inferiore alle tre ore (praticamente una merenda, per il sudista) si chiude con la frutta. E qualcuno ha mai soffiato le candeline sull’ananas? E dai.
La festa si chiude con il dolce. Prima del caffé e dell’eventuale liquorino. Se il pranzo è una festa, non si può concludere con un mandarino.

Si, lo so, il detto popolare dice “siamo alla frutta”, per indicare che abbiamo toccato il fondo. Ma è ovvio: chi è alla frutta è messo male, perché ha già capito che il dolce non è previsto dal menù.

 

Hai lasciato tutto il meglio!!

Mangia che ti fa bene! Tutta salute! Benedica! Quanti di noi sono cresciuti ascoltando queste frasi? Provenienti da una cultura contadina, genuina e che non tanti anni prima aveva conosciuto la fame, da bimbi abbiamo imparato che se c’era un modo per far contenti i grandi era pulire il piatto. Tanto poi si correva in bici in cortile, si giocava a calcio per strada e ci si arrampicava in posti pericolosi dove i grandi non potevano vederci. Ma Per i bambini di oggi non è così facile. Non è per fare della retorica alla via Gluck, ma certo oggi i cortili non ci sono più, e se ci sono sono invasi di automobili, per giocare a palla bisogna prenotare la palestra (carissima) e gli appartamenti sono talmente piccoli che al limite bisogna arrampicarsi per salire sul letto al castello. E come se non bastasse sempre più spesso c’è del ketchup nel panino al posto del formaggino, i mitici Atene sono sostiuiti da biscotti con glassa e cioccolata, i tarallini boicottati e gelati alla crema preferiti a quelli alla frutta. Il risultato è che un bambino su tre (dati resi pubblici oggi) è a rischio di obesità. Probabilmente diventerà un ciccione, insomma, diciamolo senza troppi giri di parole, è così che lo chiameranno i compagni di classe: mangia troppo e si muove troppo poco. Io quando ero piccolo lasciavo sempre il sugo in fondo al piatto (lo faccio tutt’ora, e non so di preciso perché non ho mai avuto un buon rapporto con la scarpetta) e mi dicevano: che sciocco che sei, hai lasciato tutto il meglio.
Oggi sono contento di averlo lasciato lì e non essermelo accumulato nella pancia…