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Il monitoraggio dei problem-maker

Alcune urla pisicurezzauttosto veementi provocano un attimo di sgomento nel settore nord-orientale. L’addetto alla sicurezza incaricato recupera la freddezza e con uno scatto repentino riporta la situazione sotto controllo. Intanto due problem-maker più a sud, già precedentemente attenzionati per alcuni comportamenti non proprio ortodossi, entrano in conflitto, ma per fortuna la rissa è sedata immediatamente prima che possa degenerare. Nel settore generale si ripropone un problema già tante volte segnalato alle autorità, e cioè le carenze di alcuni addetti alla sicurezza, che anziché preoccupasi dei problem-maker loro affidati si distraggono trastullandosi con il loro smartphone. La loro inadeguatezza è manifesta e la loro formazione assolutamente carente, ma purtroppo il sistema di controllo vigente non prevede la possibilità di sostituzione. Per non parlare di quelli che in servizio chiacchierano fra loro anziché monitorare l’evolversi della situazione e ancora quelli ormai avanti degli anni chiamati a sostituire i titolari pur non avendo i requisiti fisici previsti per il ruolo.

L’ordine con cui i problem-maker usufruiscono delle attrezzature nel settore occidentale è improvvisamente messo in discussione da un ribelle, ma in questo caso gli addetti alla sicurezza sono pronti e intervengono con tempismo, sebbene uno di loro abbiamo evidentemente provato a fare il furbo garantendo al suo assistito una posizione che non gli compete.
Un altro tentativo di fuga, l’ennesimo, prova a scardinare le difese della sicurezza sul limite orientale, approfittando di una fase di stanchezza di un addetto che è chiamato alla sorveglienza di diversi problem-maker, alcuni dei quali già conosciuti per il loro carattere burrascoso che più volte li ha portati a tentare l’evasione. Il loro tentativo è velleitario, vengono immediatamente ricondotti nei limiti preposti e sedati con l’ausilio di calmanti ad alto contenuto di saccarosio.

Benvenuti in una giornata al parco non più tesa di tante altre da un addetto alla sicurezza di due bimbe…

Cortili

Era il Maracanà esaurito in ogni ordine di posti dove vinsi la Coppa Intercontinentale con il Taranto, segnando di testa, in rovesciata e persino di tacco. Era la tana dei gangster dove alla guida della mia squadra di agenti speciali sventrai le organizzazioni criminali consegnando alle patrie galere i miei nemici giurati. Era il pianeta azzurro (o forse lillà, i colori non sono mai stato il mio forte) dove atterrai con la mia astronave riorganizzando la rivolta contro l’impero di Mingor e i suoi druidi assassini.

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Era il cortile di casa mia.

Se devo identificare un luogo della mia infanzia, non avrei dubbi nell’indicarlo. Complice una fantasia ipertrofica, in quel cortile ho trascorso intere giornate, vivendo avventure mozzafiato di cui ero regista, interprete e unico spettatore. Quando qualcuno mi vedeva saltare, gridare o addirittura prendere a calci palloni immaginari, chiedeva a mia madre se andava tutto bene, e lei sì, rassicurava che quel figlio non era affatto matto, non del tutto almeno, solo giocava in maniera piuttosto originale.

Crescendo ho affiancato alla fantasia una serie di discipline sportive reali: ciclismo – con i miei cugini e i mie fratelli giravamo in tondo quel cortile per giornate intere, e vinceva chi metteva i piedi per terra per ultimo – calcio – la porta era sotto la finestra di mia sorella, ma quando studiava non si potevano chiudere le persiane e quindi toccava tirare solo rasoterra – pallacanestro.

Come nelle migliori tradizioni hollywoodiane, mio padre assecondò la mia passione mettendo un canestro in cortile. Solo che il cortile era un po’ sghembo, per  cui ero bravo a tirare da fuori da sinistra, mentre da destra potevo riuscire solo con il sottomano. E però dovevo giocare con un ridicolo Super Santos, troppo leggero, perché le piante di mia nonna soffrivano troppo i rimbalzi di un vero pallone da basket.

E poi ancora in quel cortile hanno visto la luce piste per le gare di ciclotappo, epiche sfide con le biglie, persino partite di pallavolo (alle ragazze piaceva). Era in quel cortile che mio padre installava il suo enorme plastico per treni elettrici, e rimaneva deluso nel rendersi conto che non mi entusiasmava vedere il treno girare in circolo e preferivo mettere un po’ di pepe alla sceneggiatura lasciando una macchinina bloccata sul tragitto e guardandolo deragliare.

Se c’è un frustrazione che provo come giovane papà è il fatto di non poter dare alle mie figlie un cortile. Negli appartamenti non ci sono. Alcuni hanno il giardino, altri uno spazio condominiale, ma un cortile è un’altra cosa. A Bologna i cortili sono quei giardini meravigliosi all’interno di palazzi signorili dove si affacciano studi notarili e cliniche odontoiatriche per vip,  e dove un bambino con una palla verrebbe allontanto con male parole e rinchiuso in riformatorio, in caso di recidiva.

Per fortuna per ora per Natale mi hanno chiesto bambole, pupazzi e altri regali prevedibili. Se un giorno mi dicessero: papà, vorrei un cortile, sarei costretto ad ammettere che Babbo Natale non può permetterselo.

Un papà lo riconosci

alla_coopUn papà lo riconosci perché è quello che si gode il suo impianto surround 5.1 che gli è costato tanti sacrifici per ascoltare i grugniti della famiglia Pig con il ritorno del subwoofer.

Un papà lo riconosci perché è quello che non ricorda dov’è il suo portatile ma ha una mappa mentale della maggior parte dei ciucci disseminati per la casa, compreso quello nascosto per le emergenze.

Un papà lo riconosci perché è quello che da quando qualcuno lo sveglia tre volte a notte ha risolto ogni forma di insonnia da stress professionale.

Un papà lo riconosci perché è quello che cambia canale quando c’è una scena di sesso in tivù e il giorno dopo prova a recuperarla su Youtube.

Un papà lo riconosci perché è quello che alla Coop usa il carrello al contrario (per chi non l’avesse capita, guadate la foto. Ta-da, bravi bravi, adesso tornate a leggere il resto)

Un papà lo riconosci perché l’ultimo numero di telefono in agenda che una donna gli ha passato era di una babysitter.

Un papà lo riconosci perché è quello che magari esce senza cellulare e occhiali ma ha sempre le salviettine e un pannolino d’emergenza.

Un papà lo riconosci perché è quello che ha cancellato Playboy dai preferiti e l’ha sostituito con Bimbibo.

Un papà lo riconosci perché è quello per cui una punizione non è più il tiro a rientrare di Platini ma i cinque minuti in un angolo per la figlia disubbidiente.

Un papà lo riconosci perché se una volta scriveva romanzi, adesso scrive battutine su facebook; se una volta coltivava l’orto, adesso innaffia una piantina sul davanzale; se una volta leggeva giornali, adesso sbircia i titoli del Televideo. [*l’autore di questo post non ha mai coltivato l’orto, ndr]

Un papà lo riconosci perché è quello contento quando piove, perché dentro di sé pensa almeno oggi niente parco.

Un papà lo riconosci perché è quello che è tranquillo quando arriva in ufficio perché sa che lì nessuno gli nasconderà le chiavi.

Un papà lo riconosci perché è quello rannicchiato in fondo allo scivolo con le braccia aperte, in attesa che dieci chili di felicità lo riconoscano e gli si lancino contro, e tutto il resto non conta.