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Un futuro monacale

Amici tranne...

Nella palestra che frequento c’è un ragazzo giovane il cui compito è tenerla aperta negli orari più scomodi, per esempio a tarda sera o durante il fine settimana.

È un ragazzo educato, io personalmente mi limito a salutare perché ho sempre poco tempo, grugnisco qualcosa e lo libero dai suoi doveri di ospitalità. Tanto lo so che lui preferisce chiacchierare con le ragazze, non gli faccio perdere minuti preziosi.

Oggi l’ho visto impegnato con una ragazza giovanissima, la conversazione sembrava più accesa del solito, io come di consueto ho pensato ai fatti miei.

Più tardi però l’ho visto stordito, messo all’angolo, difendere le sue orecchie sanguinanti con argomenti terra terra da neoliberista fascista all’acqua di rose, argomenti da ragazzo che tiene aperta la palestra, insomma.

Lei invece gli puntava contro il dito sollecitando la necessità impellente di riaprire un dibattito profondo e scevro da sociologismi artefatti che rifletta in maniera franca sulla condizione femminile subalterna nel contesto contemporaneo.

L’ho lasciato lì, grugnendo divertito.

Che tu e il tuo personaggio siate maledetti, Valerio Mastandrea.
Già era difficile rimorchiare prima. Ma adesso.

Per i giovani d’oggi la prospettiva di una vita monacale si fa sempre più concreta.

La finestra sul porcile

Ho frequentato negli anni diverse palestre (ma chi? Tu? Dici davvero? Staranno dicendo quelli che mi conoscono e conoscono il mio stato di forma). Sì, io, con risultati evidentemente insoddisfacenti. Anche perché mi alleno molto meno di quanto sarebbe necessario per ottenere un benché minimo traguardo. Ma il punto non è questo. Nel mio girovagare fra abbonamenti, ho frequentato palestre moderne, ambienti che sembravano usciti da un gangster movie anni cinquanta, micro-palestre ricavate nel seminterrato al posto della tavernetta, palestre universitarie, palestre in centro e nelle periferie ai margini della città. Non ho mai frequentato però una palestra con le vetrate, e ho paura che se questa tendenza continuerà, considerando che non sono un cliente fedele, prima o poi la palestra con la vetrata toccherà a me.

Credo abbiate capito a cosa mi riferisco: a quelle palestre in cui il progettista al posto del muro frontale ha scherzosamente installato una grande parete di vetro. Il che sarebbe anche simpatico se si trattasse di una di quelle pareti in cui tu osservi fuori la strada ma loro NON vedono le tue budella adipose sballonzolare sotto la magliettina di acrilico lucente, NON posano lo sguardo sulle gambe storte della segretaria dello studio legale e non apprezzano gli sforzi della libera professionista che nonostante trent’anni di vita sedentaria e alimentazione ipercalorica crede ancora ci sia qualche possibilità di recupero. E invece no. Lo scherzo atroce è che da quelle finestre si vede proprio tutto.

Ma perché, mi domando? Oltre tutto non si tratta di palestre ben evidenziate da pannellistica fosforescente e nomi in americano maccheronico: in quel caso ti giri dall’altra parte, eviti così l’imbarazzante incrocio di sguardi con il sessantenne occhialuto che annaspa sul tappeto rullante come se una mandria di bufali inferociti lo inseguisse famelico. No, ormai dissimulano la loro presenza: l’altro giorno ero appena uscito dalla stazione di Bologna quando davanti a me si è palesata la visione di un ragioniere in canottiera della salute, oltre tutta questa palestra ben illuminata è al primo piano, per cui ti godi la vista di un Nettuno sovrappeso senza tridente e con il sudore al posto degli zampilli.

Che poi, ci fosse una sola volta che da queste vetrate si apprezzasse una bella figliola: no, quelle sono nella sala pilates, che oltre a non avere finestre magari è pure insonorizzata. Fatela finita, per favore. Non vi chiediamo tanto, solo una tendina. Viviamo nell’era della trasparenza, è vero, ma ci sono momenti in cui ne facciamo volentieri a meno. Riprendetevi il ragioniere e dategli da bere prima che svenga.

I vecchi in palestra

palestraHo cominciato a frequentare le palestre verso i diciassettenne anni. All’epoca avevo lasciato la pallacanestro, dopo qualche anno di attività agonistica giovanile, perché mi ero reso conto che l’età dello sviluppo per me si era ormai definitivamente arrestata sul metro e settanta, un po’ poco per continuare con questo sport, se non ti chiami Spud Webb. Andare in palestra mi è sempre piaciuto, perché è un modo di trascorrere tre quarti d’ora (mai fatto di più, e d’altronde i risultati mediocri lo attestano) con il cervello in stand-by. Che tu faccia la cyclette, esercizi per gli addominali o sollevi qualche manubrio, ti riappropri di una fisicità che la nostra vita quotidiana ha cancellato. Oggi bicipiti o deltoidi, per dire, letteralmente, non ci servono più. A meno che non facciamo attività sportiva, non li usiamo mai, se non per portare a casa la spesa o per riporre sull’armadio la cassa con le coperte invernali. Un po’ poco.
Da adolescente, osservavo dei vecchi che frequentavano la palestra. Con i loro capelli grigi e il loro viso grinzoso, mi domandavo cosa diavolo perdessero il loro tempo sulle panche. Non mi riferivo agli adulti trentenni, che tutto sommato avevano ancora qualche motivo per stare in forma, ma a vecchi di quarant’anni, forse qualcuno in più. Hai quarant’anni, potresti avere un infarto da un momento all’altro, hai passato ormai gli anni migliori, cosa fai qui? Tornatene a casa a guardare Quark, o prendere una tisana. Oltre tutto con ogni probabilità sei pure sposato, noi dobbiamo darci da fare per allargare le spalle se non vogliamo rimanere dei nerd che le ragazze non si degnano di guardare, ma tu? Tu hai la patente e l’auto, e te ne stai qui su questi tappetini usurati?
Inconcepibile.
Negli anni ho frequentato diverse le palestre, passando da quelle chic con le signore che prima di arrivare si fanno la messa in piega (poche e lasciate subito, a dire il vero) a quelle più truci, chiuse probabilmente dall’AUSL, con un ring nel mezzo sul quale si affrontavano atleti in calzamaglia tra urla e scricchiolii di ossa (giuro). Mai andato oltre i tre quarti d’ora, mai pensato di gonfiarmi come certi personaggi con le braccia e il petto talmente grossi da non riuscire più nemmeno a toccarsi la punta del naso. Nel 2008 sono diventato papà, pannolini e biberon hanno preso parecchio spazio alla mia vita privata, nel 2012 ho fatto il bis, e insomma, la mia attività fisica è diventata un ricordo.
Fino a qualche giorno fa, in cui sono finalmente tornato a sentire la puzza dei tappetini di gomma e il freddo contatto dei manubri di ferro. Il sudore sulla panca degli addominali, lo sguardo commiserevole dell’istruttore e quella scarica di endorfine che solo l’attività fisiche può produrre.Sono ritornato ai miei tre quarti d’ora, due volte alla settimana. C’erano dei ragazzi molto giovani, nella palestra dove mi sono iscritto. Mi hanno guardato. E ho capito.
Stavolta il vecchio ero io.

Ma non c’è bisogno che spieghi loro perché sono qui. Lo capiranno da soli col tempo.